L’Unione Musicale ci ha fatto un regalo prezioso la sera del 26 marzo, portando sul palco del Conservatorio «Giuseppe Verdi» uno dei musicisti più importanti a livello globale, Maxim Vengerov, di origine russa, che fin da bambino si è messo in luce come violinista. In questa serata è stato accompagnato al pianoforte dalla pianista Polina Osetinskaya, la quale condivide con il violinista non solo le origini russe, ma anche il talento mostrato sin da piccola.
Osservando il pubblico accomodarsi, si percepiva l’attesa: si potevano notare subito, sul palco, le custodie dei violini,come una muta promessa di quello che stavamo per ascoltare. Infatti, i due musicisti, al loro ingresso, sono stati accolti calorosamente con un lungo applauso.
Il concerto è stato aperto dalle Cinque melodie op. 35 bis di Sergej Prokof’ev. Dal primo attacco di Vengerov si è rimasti subito colpiti: un suono deciso ma allo stesso tempo dolce, che ha dato dimostrazione immediata della tecnica acquisita negli anni. Le Cinque melodie, però, erano soltanto l’antipasto. Nella Sonata n° 2 in re maggiore, op. 94 bisdello stesso compositore abbiamo assistito a qualcosa di unico. Nel secondo movimento, Scherzo. Presto, entrambi i musicisti hanno dato il meglio di sé: si percepiva il divertimento nel suonare questo brano. La pianista si muoveva a tempo di musica per accompagnare Vengerov e, per la carica di un fortissimo, ha anche sobbalzato sullo sgabello. Il movimento è stato eseguito con tale perfezione da scatenare un applauso vigoroso, fuori dalle normali consuetudini dei concerti cameristici e sinfonici (nei quali l’applauso è consentito solamente alla conclusa del brano), ma doveroso vista la perfezione della performance. La sonata si è conclusa ovviamente in modo impeccabile: ogni sfumatura delle dinamiche è stata eseguita in modo eccezionale, tra sorrisi accennati e precisione reciproca.

La prima pausa del concerto è servita al pubblico per assimilare l’euforia e lo stupore nato da quello a cui avevano appena assistito. Il concerto è poi proseguito con la Sonatina in sol minore, op. 137 n° 3, D. 408 di Franz Schubert: un inizio forte e all’unisono, come scaturito dal primo respiro intenso del violinista che si è sentito fino alle ultime file della sala. Balzi dell’arco precisi, che nel secondo movimento si sono trasformati in un canto legato nato dal pianissimo: sembrava che i due musicisti stessero parlando tra di loro attraverso gli strumenti con estrema naturalezza.
La Sonata n° 3 in re minore, op. 108 di Johannes Brahms ha concluso il concerto, facendo già affiorare il dispiacere perché la serata volgeva al termine. Ad amplificare la sensazione ci ha pensato il secondo movimento, Adagio con la sua soavità venata di tristezza. Il suono di Vengerov era completamente legato: sembrava che l’arco non avesse inizio e fine per come riusciva a non staccare i suoni, facendoli continuare anche attraverso le doppie corde e trilli malinconici. Il Presto agitato ci ha riportato alla realtà. La pianista Osetinskaya, quando veniva richiesto il forte, ci metteva davvero tutta se stessa e Vengerov rispondeva con la stessa audacia.

Vengerov e Osetisnskaya ci hanno regalato ben quattro bis, preceduti anche da un «grazie mille» nell’italiano impacciato del violinista russo. Eravamo noi a dover ringraziare, per quanto avevamo appena ascoltato e per ciò che stavamo per ascoltare. I primi tre bis sono stati Schön Rosmarin, Liebesleid e Liebesfreud di Fritz Kreisler e anche qui, in tutti e tre i brani, era impossibile non ammirarlo: siamo infatti stati avvolti da un fraseggio elegante e una cantabilità travolgente.
L’ultimo bis è stato un brano davvero emozionante di Rachmaninov, tratto da Rapsodia su un tema di Paganini, op. 43: Variazione n° 18, Andante cantabile. Qui i due musicisti sono entrati in un altro universo: il vibrato di Vengerov è riuscito a scuotere gli animi, con una dolcezza, un’esplosione di suono che trasmette sia energia che malinconia, come solo lui sa fare.
Con i presenti visibilmente emozionati si conclude questo concerto. Sicuramente, quanti fra il pubblico erano violinisti o musicisti in generale sono tornati a casa con un bellissimo ricordo, ma anche con una lezione: se ha colpito il modo in cui Vengerov maneggia l’arco ed esegue passaggi tecnicamente complessi con estrema naturalezza, dando l’impressione che siano facili, forse più ancora ha impressionato l’umiltà con cui si è presentato sul palco. Non tutti, peraltro, avrebbero la generosità di offrire quattro bis, nonostante la grande fama che li precede.
Vengerov ci ha ringraziato sempre con un sorriso, mentre era lui a donarci, per una sera, il suo suono inimitabile.
Francesca Modoni