Abbiamo avuto l’occasione di intervistare il regista Toby L. che si trovava al Seeyousound Festival per la prima italiana del suo nuovo documentario Blur: To The End.
Innanzitutto: congratulazioni per il film. Abbiamo visto il successo che ha avuto in Inghilterra. Hai delle aspettative sulla proiezione italiana che avverrà questo venerdì al Seeyousound Festival?
Ottima domanda, so che potrebbe suonare stupido quello sto per dire, ma quando stai facendo un film o un documentario molto spesso ti dimentichi che qualcuno lo vedrà, io l’ho realizzato soltanto alla première. (ride, ndr)
Può sembrare una cosa terrificante. È bellissimo accorgersi che il tuo progetto non finirà nella spazzatura, ma è stato fatto appositamente perchè le persone potessero vederlo e apprezzarlo. Il film verrà distribuito nelle sale di tutto il mondo ed ancora fatico a rendermene conto. Lo scorso anno ero a Barcellona e sono andato a vederlo, non ci potevo credere. Domani (21 febbraio, ndr) ci saranno migliaia di persone al cinema a vederlo ed è un vero privilegio per me.
Non so ancora come reagiranno le persone, devo ancora capire se il fatto di essere una british story renda difficile la traduzione negli altri paesi, nonostante i sottotitoli. Però, nonostante la lingua, mi auguro che le persone possano rispecchiarsi emotivamente in questa storia.
Forse, quello che viene apprezzato all’estero è avere la possibilità di partecipare ad un’esperienza che non abbiamo vissuto. Quindi, quello che affascina di questo documentario è l’occasione di essere a Wembley, vero?
Sì, assolutamente. Questo per me è stato un aspetto molto importante durante il set: assicurarsi di catturare il più possibile la magia di un evento del genere. Sai, avevamo una ventina di macchine da presa a disposizione, centinaia di membri della troupe che ci aiutavano per le riprese ed un paio di macchine a mano, all’interno del parterre, per catturare la sensazione di far parte di quell’onda di caos di persone. Abbiamo cercato, nel migliore dei modi, di riportare quell’energia nel filmato.
Com’è iniziata la collaborazione con i Blur?
Grazie alla mia etichetta discografica, la Transgressive Records, creata con i miei amici Tim, Dylan e Mike, ho avuto l’occasione di conoscerli e lavorarci assieme.
Dopo alcuni mesi, mi è giunta voce che avevano intenzione di suonare a Wembley quindi ho colto l’occasione per proporgli un documentario che non raccontasse solamente del live ma che raccontasse la loro storia con un approccio più romantico. Grazie a Dio, hanno accettato la proposta e nel giro di 1-2 settimane ero con loro in studio a registrare le prime scene del film.
“To The End” non racconta solo la reunion di una delle band più importanti del mondo ma è anche una storia di amicizia. Le riprese delle sessioni di registrazione sono accompagnate da momenti veramente intimi della band. Come vivi queste situazioni? E, come ti comporti durante le riprese?
Credo che la cosa più importante sia essere rispettoso e ricordare a me stesso che il film riguarda la LORO storia e che io sto “semplicemente” catturando questi momenti. Molto spesso, è solo questione di creare una forte energia e metterli nella condizione di accettare volentieri la tua presenza in ogni istante.
È comunque importante cercare di essere quasi invisibile: non interferire in nessun modo nei loro discorsi, nei loro rapporti e nel loro lavoro. Ma, la mia principale responsabilità da regista è quella di decidere quando fare le domande e spingerli a rispondere.
Prima di iniziare la produzione abbiamo avuto un incontro con la band in cui abbiamo evidenziato ciò che era importante fare, ovvero essere il più possibile onesti e reali. L’obiettivo era di non cadere nella finzione e non creare qualcosa di troppo pulito perchè era fondamentale riportare la roughness che li ha sempre caratterizzati.
Il fatto che fossero consapevoli che sarei stato con loro per la maggior parte del tempo, e che sarei stato presente anche durante i momenti più intimi, credo li abbia aiutati ad accettare la mia presenza e quella delle telecamere. Credo che questo sia uno dei punti di forza del film.
Parlando delle riprese, hai qualche artista o regista a cui ti ispiri in particolare?
Ho sempre ammirato il regista britannico Michael Winterbottom grazie al suo stile estremamente naturalistico. Ammiro la sua capacità nel cogliere la realtà.
Mi ha sempre affascinato anche David Lynch, mancato da poco, lo ritengo uno dei registi più importanti di sempre. I suoi film riescono ad essere estremamente sensibili, spaventosi, ma divertenti allo stesso tempo, era incredibile.
Credo, in generale, di amare quei film che ti facciano sentire partecipe in quello che sta accadendo e che creino dei personaggi nei quali ti puoi rispecchiare. È quello che ho cercato di fare con il mio film: volevo mantenere una sincerità e purezza tale da permettere un rapporto di empatia con lo spettatore.
Ci sono molti momenti comici perché loro sono dei funny guys (ride, ndr), ma vengono mostrati anche quelli dolorosi perché, d’altronde, non è sempre tutto rose e fiori, la vita è complessa.
Qual è stato il momento più bello che hai vissuto sul set?
Sul set ho vissuto molti momenti che ricordo con piacere.
Ho amato ritornare alla scuola che hanno frequentato Dave Rowntree e Graham Coxon, è stato veramente divertente perché hanno iniziato a “comportarsi male” come due ragazzini, nonostante siano ormai cinquantenni. (ride, ndr)
Poi, sono state estremamente emozionanti le giornate trascorse nella casa al mare con Damon Albarn e Alex James. In quei giorni, ho avuto modo di condividere con loro attimi veramente speciali nei quali è emerso il profondo legame che li unisce.
Infine, Wembley è stato veramente emozionante, anche perchè io e il mio cameraman siamo saliti sul palco di fronte a migliaia di persone. Credo che aver condiviso l’esperienza del concerto con la band lo abbia reso ancora più speciale.
In generale, l’intera esperienza è stata fantastica, è molto difficile rimanere concentrati sull’obiettivo: seguire la storia che vuoi raccontare, senza perdersi in quello che si sta vivendo.
C’è qualche artista con cui vorresti collaborare in futuro?
(sospira, ndr) Frank Ocean, Bjork e Radiohead. Preferisco le persone impegnative. (ride, ndr)
Anche Tom Waits, Neil Young… Sono attratto dalle persone stimolanti, passionali e intriganti. Molto spesso sono anche persone attive politicamente e questo è un aspetto che mi piacerebbe approfondire. Amo fare i documentari, ma mi piacerebbe realizzare un progetto interamente concettuale o un qualcosa di più surreale. Però, ora come ora, ho intenzione di prendermi una pausa.
Hai qualche consiglio da dare ai ragazzi, come noi, che sognano di lavorare nel mondo dello spettacolo?
Credo che il consiglio migliore che posso darvi sia quello di smettere di ascoltare quella vocina nella vostra testa che continua a ripetervi che non siete abbastanza bravi. Voi continuate a provarci. Tutte le persone che ho conosciuto che lavorano in questo mondo hanno questi pensieri negativi. Tu ignorali e continua a farlo.
Non guardare gli standard di vita degli altri, concentrati su quello che per te è importante.
L’ultima cosa che suggerisco è quella di organizzare un programma per voi stessi in cui ogni anno decidete a quali aspirazioni volete ambire.
I traguardi che non raggiungerai non sono invalicabili perché li puoi sempre spostare all’anno successivo. Scrivendo e visualizzando i tuoi obiettivi la vita ti condurrà consciamente e inconsciamente a raggiungerli. Ma, ricorda, la chiave sta nel capire cosa vuoi davvero.
Trovate la video intervista a questo link
a cura di Sofia De March e Joy Santandrea