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Un mondo deforme: “Rigoletto” di Leo Muscato

Il Teatro Regio continua ad attirare molto pubblico con una nuova produzione sold out fino all’11 marzo. Con l’anteprima giovani, il 27 febbraio viene inaugurato il nuovo allestimento di Rigoletto firmato da Leo Muscato. Reduce dal successo di Agnese di Paër, nel 2019, Muscato torna al Teatro Regio di Torino insieme alla scenografa Federica Parolini e alla costumista Silvia Aymonino. La carriera di Muscato è costellata di collaborazioni con teatri d’opera prestigiosi e importanti premi quali il Premio Abbiati come Miglior Regista d’Opera (2012), l’International Opera Awards (2016) e il Premio Internazionale Ivo Chiesa come Miglior Regista d’Opera (2023).

A dirigere l’orchestra c’è Nicola Luisotti, ex direttore dell’Opera di San Francisco insignito della San Francisco Opera Medal per i suoi meriti artistici e riconosciuto come uno specialista del repertorio verdiano. Con Verdi torna a Torino dopo otto anni per presentare un’opera che ha segnato la storia del melodramma, la prima delle tre opere della trilogia popolare del compositore composta nel 1851.

Foto da cartella stampa Teatro Regio di Torino, foto di Mattia Gaido e Daniele Ratti

Siamo persone con identità fragili che si nascondono dietro maschere ingannevoli e tutto il mondo intorno a noi è deforme. Questa è l’epoca in cui viviamo, dove apparenza e finzione spesso prevalgono sulla realtà, ma è anche il tema in cui un’opera come Rigoletto trova le sue radici. Non è facile attualizzare opere del passato per raccontarle in maniera trasversale – ha sottolineato Muscato durante la conferenza stampa – ma la messa in scena di Rigoletto sul palco del Teatro Regio è riuscita magistralmente a rendere l’opera vicina al sentire contemporaneo.

La deformità di Rigoletto è frutto dell’ambiente che lo circonda e della società corrotta primo novecentesca che danza tra le due guerre. Il preludio iniziale introduce una scena dominata da una struttura muraria ondulata, realizzata con superfici riflettenti e deformanti, che trasforma il palco in un mondo precario e straniante.
Solo sul palco, Rigoletto, il giullare dal naso rosso, contempla la sua immagine nell’unico specchio reale che gli mostra la sua vera essenza: è un uomo solitario e triste, con la gobba e l’alopecia, costretto a nascondersi dietro una maschera per sopravvivere a corte.
Nasce probabilmente da qui l’idea di giocare con una scena fissa ma girevole: l’allestimento scenografico diventa un protagonista che sussurra l’ambiguità dei personaggi e la fragilità di un mondo in disfacimento. La scenografia di Parolini svela e nasconde: i personaggi sentono ma non vengono visti, il pubblico vede ma costruisce nella propria immaginazione gli spazi in cui si svolgono le azioni. Improvvisamente le mura cittadine ruotano svelando la festa in corso all’interno del palazzo ducale, presentata da un tableau vivant di personaggi aristocratici. Nasi e maschere da suino deturpano i volti di alcuni personaggi accentuando il grottesco e la decadenza che permea ogni angolo.

Foto da cartella stampa Teatro Regio di Torino, foto di Mattia Gaido e Daniele Ratti

L’illuminazione di Alessandro Verazzi gioca un ruolo cruciale nel rafforzare il senso di straniamento. Il gioco di luci rapisce lo sguardo di tutti e scuote gli animi trasformando il palcoscenico in un labirinto di emozioni, personalità e di ambienti. Ogni fascio di luce, calibrato al millimetro, genera riflessi o ombre tragiche sulla struttura muraria rivelando verità taciute e crea dei veri e propri quadri dando vita ad un ulteriore livello di lettura dello spettacolo. Durante la tempesta del terzo atto, il pubblico, abbagliato da luci intermittenti, diventa parte integrante del dramma, condividendo paure ed emozioni con i personaggi. Un’intuizione registica che ha creato un’esperienza sensoriale partecipativa.

Muscato ci regala un Rigoletto che si allontana in alcuni punti dalla fedeltà al libretto originale, arricchendo e sfaccettando il dramma non solo dal punto di vista scenografico ma anche dal punto di vista narrativo. Monterone, dopo aver lanciato la sua maledizione, muore per poi riapparire, in altri quadri, come un fantasma vestito di bianco e illuminato da una luce fredda e intensa, un costante promemoria del destino che incombe su Rigoletto.
Gilda viene presentata come una giovane ragazza affidata alle cure di un convento o di un convitto, un’anima pura e innocente in un mondo corrotto.
Nell’atto finale, la drammaturgia si discosta ulteriormente dal libretto di Piave con l’ambientazione della scena in un postribolo, una fumeria d’oppio. La forte carica teatrale è amplificata dall’uso di luci e fumo che dividono il palco in tre sezioni: una luce blu a sinistra per la scena di “La donna è mobile”, una luce viola per il postribolo al centro, e una luce più calda per Gilda e Rigoletto che, esterni, osservano la scena. Improvvisamente un taglio di luce tragico, in gusto noir, attraversa i volti di Gilda e Rigoletto, sopraffatti dalla visione e ascolto del cantabile “Bella figlia dell’amore”.

Foto da cartella stampa Teatro Regio di Torino, foto di Mattia Gaido e Daniele Ratti

L’inizio del primo atto è risultato musicalmente sottotono, con una certa difficoltà nel percepire le voci e le parole di alcuni interpreti i quali, probabilmente nel tentativo di preservare la propria voce per le repliche, hanno optato per un’esecuzione a mezza voce. Tuttavia, dalla conclusione del primo atto, l’orchestra e i cantanti hanno espresso il loro pieno potenziale emotivo e vocale, con passaggi dinamici di notevole impatto. Nicola Luisotti ha diretto le sfumature musicali con maestria, mantenendo la fedeltà al tema centrale dell’opera e arricchendolo di nuove sfaccettature emotive. Un plauso speciale va al Coro del Regio, guidato da Ulisse Trabacchin, che ha saputo trasformare i momenti corali in autentiche manifestazioni di espressività.

Un piccolo ma significativo gesto è stato quello di Luisotti che, al termine della rappresentazione, è rimasto sul suo podio, seminascosto, per applaudire l’intero cast, dimostrando grande rispetto e apprezzamento per il lavoro di tutti.
La rappresentazione di Rigoletto, come preannunciato durante la conferenza stampa, è stata frutto di un lavoro di squadra eccezionale che ha dato vita ad una fusione armoniosa di talenti artistici e legami umani.

A cura di Ottavia Salvadori

Conferenza stampa all’insegna dell’amicizia: “Rigoletto” al Teatro Regio

Quante volte abbiamo partecipato a conferenze stampa che sembravano interminabili successioni di formalità e discorsi tediosi?
Fortunatamente, l’appuntamento del 24 febbraio al Teatro Regio ha decisamente cambiato registro, offrendo un’atmosfera amichevole, serena, divertente ma con contenuti interessanti e stimolanti. La conferenza stampa del Rigoletto preannuncia una messa in scena accattivante e avvincente.

A fare gli onori di casa, Luigi Lana, presidente di Reale Mutua e Michele Coppola, vicepresidente del Teatro Regio, i cui interventi si concentrano sul tema della collettività. Ma i veri protagonisti sono coloro che, dietro le quinte o in prima linea, danno vita allo spettacolo. Tra questi, a presentare Rigoletto nella Sala del Caminetto, ci sono: Cristiano Sandri – direttore artistico, Nicola Luisotti – direttore d’orchestra, Leo Muscato – regista, Federica Parolini – scenografa, Silvia Aymonino – costumista, Giuliana Gianfaldoni – interprete di Gilda, George Petean – interprete di Rigoletto.

Foto di Ottavia Salvadori

Rigoletto, in scena dal 28 febbraio all’11 marzo (con l’anteprima giovani il 27 febbraio) è frutto di un percorso creativo intenso e appassionato che, come afferma Luisotti, nasce da “collisioni” che si trasformano in “fusioni”, per poi diventare “armonia” e dare finalmente vita all’opera che vedremo sul palco.

L’équipe è di altissimo livello e già dalla conferenza stampa esprime sinergia, coesione e amicizia tra gli artisti. A fare da collante è la stima reciproca, a partire da Leo Muscato e Nicola Luisotti che scherzano sul loro amore corrisposto, una coppia di “fidanzati” che si versa l’acqua nel bicchiere nonostante le sedute distanti.

A rubare la scena è proprio Luisotti, un direttore d’orchestra dirompente e anticonvenzionale, capace di negare il proprio ruolo con un’ironia irresistibile. «Che cosa fa un direttore d’orchestra? Non fa niente!», ha esordito, e per dimostrarlo ha parodiato se stesso, riducendo la direzione d’orchestra a movimenti delle mani e ad una mimica facciale intensa. Cosa rende quindi il gesto del direttore d’orchestra un elemento significativo? Come ha spiegato Luisotti, il senso del suo gesto «apparentemente inutile» è possibile solo grazie alla collaborazione con musicisti, cantanti, attori e tutti coloro che contribuiscono a realizzare l’idea musicale. Il direttore d’orchestra fa suonare la stessa cosa a tutti, non solo a orchestra e cantanti ma anche al direttore artistico. Un’opera d’arte non nasce sola: ha bisogno degli artisti, di tutta la troupe, del pubblico, della stampa e del mondo intero. Solo attraverso questa sinergia si crea una serata magica.

Foto di Ottavia Salvadori

Il regista Leo Muscato aggiunge: «Uno spettacolo è il risultato di un percorso condiviso da diverse persone. Un’opera può prendere forme diverse a seconda di chi lo realizza»; e per questo si spinge ad affermare che Luisotti oltre ad essere un grande direttore d’orchestra e poeta dell’esistenza, potrebbe essere un bravissimo regista.

A differenza del dramma di Hugo, testo di natura politica censurato per cinquant’anni, Rigoletto di Verdi di focalizza sull’umanità, sulle fragilità e sui sentimenti umani. La regia di Muscato vuole proprio porre l’attenzione sul problema dell’identità: tutti i personaggi, ad eccezione di Gilda, non hanno nomi propri. Rigoletto è probabilmente la maschera di un uomo-giocattolo, il Duca ad ogni atto cambia identità passando da aristocratico a studente fino a trasformarsi in militare. Quello di Rigoletto è, dunque, un mondo deforme, che influenza tutti. La scelta scenografica di inserire specchi che distorcono le immagini diventa metafora di una società in cui l’identità è frammentata e mutevole, ispirata alla pittura espressionista che, con i suoi colori accesi, mette in scena punti di vista discontinui.

Foto di Ottavia Salvadori

Rigoletto è un’opera che parla di fragilità, di emozioni, di miseria, di conflitti e, come afferma Giuliana Gianfaldoni, è una storia che può rivelare alcuni lati personali. Il soprano ogni volta che interpreta Gilda, figlia di Rigoletto, riscopre alcuni aspetti del suo rapporto personale con il padre. Dimostrare l’amore è difficile e Rigoletto è l’emblema di questo amore complesso che riesce ad esprimere solo in maniera ossessiva e possessiva.

Dalle prime parole della conferenza stampa era chiaro: questo Rigoletto è frutto di un lavoro di squadra appassionato e il sold out di tutte le date lo presagisce. Non ci resta che attendere l’anteprima giovani del 27 febbraio e scoprire come i valori dell’amicizia e dell’armonia si traducano in emozione pura.

A cura di Ottavia Salvadori