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“Volevo essere un duro” – e invece mi sono addormentata durante la finale di Sanremo 2025

Questa autrice fa parte della generazione che ha iniziato a vedere Sanremo poco prima che scoppiasse la pandemia da covid-19 e che ha continuato un po’ per abitudine, un po’ perché fra zone rosse/gialle/arancioni non si poteva fare granché, un po’ perché Amadeus e Fiorello alimentavano il trash di edizione in edizione ed era divertente aspettare di vedere fin dove si sarebbero spinti. 

La selezione musicale era diventata quasi un’appendice, una piccola postilla in fondo alla pagina di cui ogni tanto qualcuno si ricordava, senza mai prestarci troppa attenzione perché tanto c’era altro da guardare. D’altronde si sa, Sanremo è anche – e soprattutto – intrattenimento, e va bene se qualcuno cerca di renderlo più “attuale”, l’importante è che per gli over 50 ci sia sempre una Giorgia o una Bertè o un Ranieri da poter appoggiare incondizionatamente contro tutti gli altri. 

E poi? Che succede quando spogli l’intrattenimento dall’intrattenimento? Quando rimangono solo le canzoni, i volti, le parole? Che succede se ci sono 29 brani in gara ma te ne ricordi giusto tre perché gli altri sembrano uno il prolungamento dell’altro? Su cosa sposti allora la tua attenzione? …Siamo tutti d’accordo che la conduzione di Carlo Conti non sia la risposta giusta. 

In un calderone musicale governato dai soliti, cari, vecchi autori – Federica Abbate, Davide Petrella, Davide Simonetta, Jacopo Ettorre –, l’originalità sembra essere stata sostituita dal diktat basta che sia orecchiabile. Niente da dire a riguardo, la maggior parte di questi brani li sentiremo per tutta l’estate e li canteremo in macchina, in spiaggia, sotto la doccia. Manca però una cosa a mio parere fondamentale: l’eredità

Le canzoni devono essere libere di viaggiare. Devono essere associate a ricordi brutti e ricordi belli. Devono farti venire la pelle d’oca e riflettere e farti piangere. Soprattutto, devono poter passare di generazione in generazione. È questo che rende la musica – e più in generale l’arte – eterna. Senza eternità rimane una progressione di accordi poco pensati, la bozza di un autore annoiato.

Il festival di Sanremo è tante cose. Lo è sempre stato, d’altronde. Sanremo è politica, moda, commedia, pubblicità. Peccato che abbia perso il suo aspetto più importante, il suo sottotitolo: la canzone italiana

Peppe Vessicchio in un’intervista diceva che Sanremo è diventato ormai il festival dei cantanti, e forse sarebbe il caso di cambiare dicitura. 

A cura di Ramona Bustiuc