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Sinfonia n. 9 di Mahler : un viaggio emotivo all’Auditorium Rai

La superstizione secondo cui il nove sia il numero massimo di sinfonie componibili, si diffuse dopo Beethoven e fu alimentata dalla morte di compositori come Shubert e Dvořák. Questa credenza, nota nel periodo tardo-romantico come la “Maledizione della Nona”, instillò il timore che la composizione di una nona sinfonia potesse presagire la morte del compositore.

Gustav Mahler, che ne era consapevole, provò a superare il limite componendo la decima, ma morì prima di poterla completare.
La Sinfonia n° 9 in re maggiore, composta tra il 1909 e il 1910, rimane l’ultima sinfonia che Mahler riuscì a terminare, ma non ebbe mai l’opportunità di ascoltarla eseguita.
Il 14 febbraio 2025 , all’Auditorium RAI Arturo Toscanini di Torino, è stata eseguita dall’Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI, per l’appunto, la Nona sinfonia di Mahler, diretta dal maestro Robert Treviño.

Credits: Rai Cultura

La sinfonia, suddivisa in quattro movimenti, riflette su temi legati alla morte ed è uno specchio dell’interiorità del compositore durante un periodo tragico della sua vita.
Molti la interpretano come una premonizione della sua scomparsa e del declino socio-politico europeo, ma queste rimangono interpretazioni personali. Innegabile però è il suo stile che, per le tematiche affrontate, la avvicina al post-romanticismo e al decadentismo.

Composta per la maggior parte durante un periodo di pausa estiva dall’attività di direttore, il primo movimento in re maggiore (Andante comodo, Con Rabbia, Allegro risoluto, Appassionato, Tempo I Andante) si distingue per le sonorità malinconiche evocatrici di immagini campestri e di una felicità ormai perduta. Treviño esalta questi sentimenti con un’interpretazione emotiva capace di toccare l’animo degli spettatori.

Nel secondo movimento in do maggiore (in tempo di un tranquillo Ländler, un po’ goffo e molto rude), avviene un cambiamento: la musica diventa più danzante e allegra, riprendendo lo stile del Ländler, una danza popolare austriaca, ma in modo deformato e ironico. Questo movimento si anima grazie a veri e propri dialoghi tra strumenti. L’Orchestra RAI ne propone un’esecuzione precisa e raffinata, preservando l’idea mahleriana ma senza cadere in un’esecuzione grossolana. Il movimento dimostra un senso ironico e satirico che si prolunga anche durante il terzo movimento in la minore (Rondò-Burleska, Allegro assai, Molto ostinato-Adagio) più brusco del precedente, che evoca sensazioni di ansia e irrequietezza che riflettono il caos e la frenesia della vita urbana. L’orchestra dimostra tutta la sua potenza che ci riporta nella consapevolezza del periodo storico degli inizi del Novecento, con uno stile meno romantico ed un utilizzo audace della polifonia con un effetto di caos controllato, un’immagine un po’ alla Tempi Moderni di Charlie Chaplin.

Il quarto, nonché l’ultimo movimento, in re♭ maggiore (Adagio. Molto lento e ancora ritenuto) riprende un po’ l’immagine e le tematiche del primo ma con l’abbassamento della tonalità di un semitono, rendendo l’atmosfera ancora più malinconica. Il costante calare d’intensità porta la sinfonia verso un graduale spegnimento. Dopo un’ora di dinamiche variabili ma tendenti al forte o fortissimo, la sinfonia si chiude con un intero movimento dalle intensità moderate, che simboleggiano la resa dell’uomo di fronte alla morte.

Treviño porta l’orchestra, dopo un movimento delicato ed emozionante, a sfociare in un ppp che va ad assottigliarsi fondendosi con il silenzio della sala con un ultimo soffio vitale delle viole. Il direttore non abbassa le braccia e la sala rimane nel silenzio per 40 interminabili secondi. La tensione accumulata durante la precedente ora e venti rimane in sospeso, finché Treviño rilassa le braccia lungo i fianchi. A quel punto il silenzio si rompe con uno scroscio di applausi che riportano il pubblico alla realtà.

Credits: Rai Cultura

La Sinfonia n°9 di Mahler è dunque un’opera potente e profondamente introspettiva. Un vero e proprio viaggio emotivo. L’interpretazione di Robert Treviño con l’Orchestra RAI ha saputo catturare a pieno l’essenza, donandoci un’esecuzione memorabile.

Per chi avesse perso l’evento, la replica del 13 Febbraio è stata trasmessa in diretta su Rai Radio 3, ed è pertanto disponibile su Rai Play Sound a questo link.

A cura di Marta Miron

La settima sinfonia di Šostakovič: arte, politica e guerra

Tra le tante funzioni della musica nelle nostre esistenze, quella di catalizzatore di ideali e princìpi sociali comuni è di certo rilevante. Soprattutto nei periodi di guerre, tragedie umanitarie e disastri ambientali, la musica ha sempre avuto un ruolo primario. Come oggi iniziative collettive cercano di contribuire alla resistenza di popoli oppressi, anche ottant’anni fa c’era chi componeva musica al fine di difendere la propria città, la propria patria, la propria musica.

Dmtrij Šostakovič diede il suo vibrante contributo con la Settima Sinfonia, dedicata alla sua città natale, Leningrado, assediata a sorpresa dalle truppe tedesche nell’estate del 1941. Si tratta di una composizione per grande orchestra, oltre cento musicisti, che abbiamo avuto occasione di ascoltare giovedì 6 febbraio eseguita dall’Orchestra Rai e diretta da Pietari Inkinen, subentrato al direttore principale Andrés Orozco-Estrada.

Credits: DocServizi-SergioBertani/OSNRai

Nella sala dell’Auditorium “Arturo Toscanini”, gremita come poche volte in questa stagione, si è svolto un concerto molto atteso e di grande qualità. L’intera esecuzione, durata più di settanta minuti, è stata caratterizzata da una direzione essenziale e precisa di Inkinen, che ha mostrato la sua eleganza in gesti ampi, marcati e pieni di espressività. I momenti culminanti sono stati evidenziati in modo attento e solenne, come nel primo o nel terzo movimento, centro drammatico dell’intera composizione. I musicisti, specialmente nei passaggi solistici, hanno dimostrato la sensibilità di sempre, seguendo in modo fedele le indicazioni del direttore. 

Credits: DocServizi-SergioBertani/OSNRai

Il finale, eseguito come previsto senza pausa di seguito al movimento precedente, viene interpretato in modo grandioso, come a voler erigere un enorme monolite al cospetto del pubblico. Si creano così forti suggestioni, quasi cinematografiche. Non è un caso che le vicende dell’assedio di Leningrado abbiano ispirato a Sergio Leone l’idea per un film, di cui scrisse però solo la sceneggiatura.

Credits: DocServizi-SergioBertani/OSNRai

Il concerto si chiude con lunghi applausi di apprezzamento per una prova che ha convinto i più. Il direttore richiama le diverse famiglie strumentali, abbraccia le prime file di musicisti e infine l’orchestra gli dedica un saluto di ringraziamento. La musica di Šostakovič continuerà a ispirare e alimentare la resistenza, la speranza e l’ingegno di chi fa arte con onestà, dedizione e senso di appartenenza a un ideale, oltre ogni ostacolo. 

A cura di Alessandro Camiolo