Le paure e le verità degli Atlante a sPAZIO211

C’è una Torino fatta di stadi, palazzetti e teatri e una Torino di piccoli locali storici: sPAZIO211 è senza dubbio uno di questi. Una realtà senza transenne, senza lunghe code per entrare e senza stress da parcheggio. Una realtà intima dove puoi scambiare qualche chiacchiera con l’artista prima che salga sul palco o scorgere tra il pubblico il membro di una band che avevi visto live qualche settimana prima. Lo sanno bene i fan degli Atlante, che non sono di certo mancati al ritorno live della rock band il 28 aprile scorso, quasi un anno dopo dall’ultimo concerto torinese. Il trio composto da Claudio Lo Russo (voce e chitarra), Andrea Abbrancati (basso) e Stefano Prezzi (batteria) ha dato il benvenuto a Luca de Maria, chitarrista che aveva già collaborato e suonato con la band, ma che da ora in poi sarà una presenza fissa sul palco.

Andiamo con ordine: ad aprire le danze ci pensano gli Est-Egò, band torinese che aveva suonato all’Eurovillage al Parco del Valentino in occasione della scorsa edizione dell’Eurovision Song Contest. Dall’allora, però, tante cose sono cambiate per la band, che si presenta sul palco con una formazione nuova, ma con lo stesso sound onirico e psichedelico di sempre. Basta una manciata di brani, per lo più strumentali, per scaldare il pubblico, che timidamente si appresta sottopalco.

Gli Est-Egò (credits foto: Martina Caratozzolo)

È il momento degli Atlante: il frontman imbraccia la chitarra e suona le prime note distorte di “Materia”, che i fan riconoscono in pochi secondi e iniziano a cantare a colpi di headbanging. Il loro marchio di fabbrica sono le sonorità rock, fatte di riff energetici, combinate a sonorità elettroniche, che Lo Russo propone egregiamente al synth, in linea con il suo progetto solista Lorusso.

Claudio Lo Russo (credits foto: Martina Caratozzolo)

La scaletta è un susseguirsi dei brani di paure/verità, l’ultimo album pubblicato dagli Atlante a fine 2021 firmato Pan Music Production. Non mancano, però, altri brani come “Atlas” e “Bivio” dagli album precedenti e lo spazio per un brano inedito.

La serata avanza e l’atmosfera è calorosa: ci sono cartelloni con dediche, sguardi d’intesa e momenti di pogo. La band lascia il palco, ma il pubblico non è ancora soddisfatto. Difatti, non è ancora finita: mancano tre brani, tra i quali “Venere”, il più apprezzato dai fan, che chiude la scaletta tra gli applausi.

Gli Atlante (credits foto: Martina Caratozzolo)

A concerto finito, ritornando alla normalità, si ha la sensazione che il live sia durato il tempo sufficiente per farti venire voglia di ascoltare gli Atlante in nuove occasioni, in attesa di nuova musica. Gli Atlante sono una delle band emergenti torinesi più note e l’entusiasmo vissuto a sPAZIO211 è la prova dell’affetto che Torino nutre per loro.  

A cura di Martina Caratozzolo

Al Teatro Regio Madama Butterfly: oggi come allora

Si conclude sabato 10 giugno, il ciclo “Anteprima giovani” del Teatro Regio con la messa in scena di Madama Butterfly. Lo spettacolo, con la regia di Damiano Michieletto e Dmitri Jurowski alla direzione d’orchestra e coro, è stato firmato dal regista stesso per il teatro torinese nel 2010 e questa è la terza ripresa dopo quelle del 2012 e del 2014. 

Madama Butterfly è l’eterna dicotomia tra la globalizzazione americana contro un Oriente che prova a tenere strette le proprie tradizioni; è una storia struggente di una donna (in questo caso ancora una bambina) sedotta e abbandonata; potrebbe essere uno dei numerosi casi di turismo sessuale (minorile) che continuano a verificarsi nella società odierna. Però Madama Butterfly, prima di ogni cosa, è un’opera in tre atti composta all’inizio del ‘900 da Giacomo Puccini, su libretto di Giuseppe Giacosa e Luigi Illica. E il fatto che continui ad essere ancora così contemporanea fa riflettere.

Dalla cartella stampa del Teatro Regio (ph Andrea Macchia)

Niente abiti tradizionali o la consueta, idilliaca ambientazione ottocentesca: il pubblico è catapultato di fronte a una metropoli asiatica come tante, con cartelloni pubblicitari, insegne al neon, food truck, vestiti moderni e una lussuosissima macchina bianca − al posto della nave − che sta ad indicare lo status symbol di Pinkerton (Matteo Lippi nei suoi panni). Non una tipica casa di legno giapponese con il tatami e le porte scorrevoli, ma una teca in plexiglass − proprio come quelle in cui si tengono le farfalle − piena di peluche e giocattoli, ma anche «pochi oggetti da donna…» che Cio Cio San (per l’occasione interpretata da Barno Ismatullaeva) chiede il permesso al neo-marito di possedere. Anche questi a simboleggiare una dicotomia di una bambina chiamata a crescere troppo in fretta, forse senza neanche volerlo davvero e la donna che sarebbe potuta diventare. E infatti, dopo tre anni in cui è persa nella sua ingenuità, è costretta ad avere la sua metamorfosi (da bambina a donna), in una notte sola, quando, finalmente consapevole di quello che le è successo, si punta una pistola alla tempia −anche in questo caso, non un pugnale, non un coltello, ma una pistola − e pone fine alle sue sofferenze. 

dalla cartella stampa del Teatro Regio (Ph Andrea Macchia)

Il tutto è svuotato da qualsiasi sfumatura fiabesca o da quell’esotismo che ha sempre caratterizzato l’opera: la storia si svolge tra il completo cinismo di Pinkerton, che è solo avido di addentare la sua preda e la sua spietata moglie americana pronta a strappare il bene più prezioso di una madre (ovvero la creatura che ha messo al mondo); l’opportunismo di una donna che vende una figlia in cambio di becero denaro; l’indifferenza degli altri protagonisti tra cui Sharpless (Damiano Salerno) di fronte alla realtà dei fatti. Un girotondo intorno ad una Butterfly che, purtroppo ancora oggi, impersona la storia di tante altre farfalle a cui sono state spezzate le ali.

Gli attori sono perfettamente calati nei loro ruoli: coinvolgenti e persuasivi rendono la drammaticità del racconto che, anche grazie alla loro interpretazione, arriva ancora di più agli spettatori in sala. La scelta dell’ambientazione non convenzionale (così come per Il Flauto Magico), esempio di grande coraggio da parte di un regista già conosciuto per il suo spirito provocatorio, viene premiata dal pubblico che, alla fine della rappresentazione, scoppia in un forte e caloroso applauso. Soprattutto, in questo modo, è più facile leggere la vicenda in chiave contemporanea e capire che non è una storia poi così lontana dalla nostra quotidianità. E questo è importante.

a cura di Alessia Sabetta

Amour Toujours: presentata la stagione 2024 del Teatro Regio

La nuova Stagione del Teatro Regio ha compiuto il passo prefissato nella precedente: “Amour Toujours” è il titolo della produzione 2023/2024, dedicata in particolar modo a Giacomo Puccini, per festeggiarne il centenario. A spiegare il perché di questa scelta e a presentare le quattordici opere della Stagione, ci hanno pensato nella mattinata del 7 giugno il sindaco Stefano Lo Russo, il sovrintendente Mathieu Jouvin e il nuovo direttore artistico Cristiano Sandri, protagonisti della conferenza tenutasi nel Foyer del Toro. 

Dal 21 settembre 2023 al 4 luglio 2024 il Teatro Regio ospiterà allestimenti importanti – otto sono i nuovi – ma vedrà anche il ritorno di interpreti che abbiamo già conosciuto durante la Stagione 2022/2023, (come Mariangela Sicilia, Donna Elvira e Riccardo Zanellato, Il Commendatore, dal Don Giovanni). Altro grande ritorno sul palcoscenico del Regio, questa volta con Un ballo in maschera, sarà anche quello del direttore Riccardo Muti. A fianco di titoli già conosciuti, come La bohème (con il contributo di Reale Mutua), ci saranno quelli più ‘di nicchia’, come La rondine (con il sostegno di Italgas; direttore d’orchestra Francesco Lanzillotta, già presente alla Norma nella scorsa stagione), e persino prime esecuzioni a Torino – con Un mari à la porte, di  Jacques Offenbach (operetta in un atto) – e in Italia – con The tender Land, di Aaron Copland (opera in tre atti). Entrambi gli allestimenti saranno presentati in lingua originale, così come lo sarà anche Der fliegende Holländer (L’Olandese volante), di Richard Wagner

dalla Cartella Stampa del Teatro Regio, il nuovo logo

Il Regio non perde occasione di mantenere gli impegni presi nell’anno di piena pandemia da Covid-19, tanto che Mathieu Jouvin precisa che nella nuova Stagione sarà presente anche un titolo che doveva essere allestito in precedenza: Don Pasquale, di Gaetano Donizetti. Non manca lo sguardo rivolto al balletto: tra le produzioni anche La bella addormentata, di Marcia Haydeé – balletto in tre atti basato sulla fiaba di Perrault, con musica di Čajkovskij – che vedrà sul palco solisti e corpo di ballo del Balletto Nazionale di Praga; Don Chisciotte, su libretto di Marius Petipa – balletto in tre atti, tratto dall’omonimo libro di Cervantes –, con il corpo di ballo del Balletto dell’Opera di Kiev; e Le villi, su libretto di Ferdinando Fontana, a richiamare un’altra opera, Giselle. Ad aprire la stagione del balletto nel nuovo anno, però, sarà Roberto Bolle and Friends, a gennaio 2024. 

La prima e l’ultima produzione sono, tuttavia, le più particolari: ad aprire la Stagione 2024 sarà La Juive (l’ebrea), di Halévy Scribe, con regia di Stefano Poda, già scritturato per Turandot nell’allestimento 2021/2022 – partner di quest’anno sarà Intesa San Paolo –, mentre a chiuderla sarà il trittico Il tabarro, Suor Angelica e Gianni Schicchi di Giacomo Puccini, a suggellare questo cartellone all’insegna dell’amore. Stagione che, come detto poc’anzi, si aprirà con un’opera francese, così come lo è il titolo della stessa: “Amour Toujours”, a riprendere – parole di Jouvin – la canzone di Gigi d’Agostino, il dj torinese che (paradossalmente) ha dato l’idea di un’unione tra due paesi, l’Italia e la Francia.

Il nuovo inizio del Teatro Regio è dimostrato anche dal logo che, in occasione del cinquantenario, coglie lo spunto per rinnovarsi. Infatti, il toro – che la faceva da padrone – ora condivide il posto con una musa, che a sua volta tiene una lira tra le mani come simbolo del legame tra la città di Torino e la musica. I tre elementi sembrano protrarsi in avanti, in una corsa verso il futuro, che richiama sempre e comunque al passato: il disegno è stato realizzato da Undesign Agency a partire da un bozzetto originale e inedito di Carlo Mollino, originariamente pensato per il pavimento del Teatro. 

A completare la Stagione i concerti 2023/2024: dodici appuntamenti, otto con l’Orchestra, il Coro e il Coro di voci bianche del Teatro Regio e quattro con la Filarmonica TRT, che nel 2024 compirà vent’anni. Ad aprire la Stagione sarà il direttore russo Timur Zangiev; a seguire, salirà sul podio dell’orchestra Nathalie Stutzmann, per il concerto del 25 novembre. Il periodo pasquale vedrà protagonisti il Salve Regina e lo Stabat Mater, diretti da Claudio Fenoglio, e Vetrate di chiesa e Requiem (di Cherubini), diretti da Diego Ceretta. Agli appuntamenti con la Filarmonica TRT saranno presenti il direttore Felix Mildenberg, con la Sinfonia n. 4 di Gustav Mahler, Yutaka Sado, a dirigere la Sinfonia n. 4 di Anton Bruckner e la direttrice sudcoreana Kim Eun-sun, che si cimenterà con Johannes Brahms. Non mancherà nemmeno il consueto appuntamento con il cinema e le colonne sonore, affidate a Timothy Brock: in programma la proiezione con colonna sonora eseguita dal vivo di The Great Dictator, con regia di Charlie Chaplin

A cura di Chiara Vecchiato

TOdays: presentata la nuova edizione del festival

121 artisti nazionali e internazionali, 12 band da 29 diversi paesi nel mondo, delle quali 8 in esclusiva nazionale e 9 per la prima volta a Torino. Sono queste le premesse della nona edizione del TOdays, il festival torinese in programma dal 25 al 27 agosto a sPAZIO211 e in hub culturali sparsi per la città, come il Mercato Centrale di Porta Palazzo e Cascina Marchesa.

Martedì 6 giugno proprio a Cascina Marchesa si è tenuta la conferenza stampa per presentare la nuova edizione del festival. A presentare gli artisti che saliranno sul palco ci hanno pensato Alessandro Isaia, Segretario Generale di Fondazione per la Cultura Torino, Rosanna Purchia, Assessora alla Cultura di Torino e Gianluca Gozzi, direttore artistico del festival.

Alessandro Isaia, Rosanna Purchia e Gianluca Gozzi (credits: Martina Caratozzolo)

Lo scopo è quello di promuovere tre giorni di musica al di fuori dall’ordinario, proponendo al pubblico artisti non-mainstream e accrescere la città con una proposta culturale inclusiva e sostenibile. Il direttore artistico Gozzi promette un’edizione per un pubblico transgenerazionale, con la volontà di abbattere ogni genere musicale e sessuale, in quanto vi sarà una rappresentazione femminile altrettanto ricca quanto quella maschile.

I colori scelti per il logo di quest’anno non sono casuali, ma rappresentano i valori che il festival incarna: il rosso, che richiama le emozioni e la passione in continuo divenire e l’argento a cui si associano l’avanguardia, l’innovazione e la modernità.

Il main stage del festival sarà l’open space di sPAZIO211, dove si alterneranno i concerti tra le ore 18.00 e le 24.00 per tutte le tre giornate. Wilco, Verdena e Christine and the Queens sono gli headliner di ciascuna serata, ma la line up è variegata e accontenta ogni gusto.

Il programma e la timetable del festival:

  • Venerdì 25 agosto

18.30 – King Hannah

19.45 – Les Savy Fav

21.05 – Warhaus

22.30 – Wilco

  • Sabato 26 agosto

18.30 – Gilla Band

19.45 – Anna Calvi

21.05 – Sleaford Mods

22.30 – Verdena

  • Domenica 27 agosto

16.00 Enrico Gabrielli in «Le canzonine» con ospiti (all’Auditorium Cecchi Point)

18.30 – Porridge Radio

19.45 – Ibibio Sound Machine

21.05 – L’impératrice

22.30 – Christine And The Queens

Per saperne di più e acquistare i biglietti è possibile consultare il sito ufficiale: http://www.todaysfestival.com/.

A cura di Martina Caratozzolo

Jazz is Dead! 2023: gli Irreversible Entanglements al Cinema Massimo

La sera del 3 giugno nella sala 1 del Cinema Massimo si è tenuto lo spettacolo Irreversible Entanglements: Men at Work, evento nato dalla collaborazione tra il festival Jazz is Dead! e il Museo Nazionale del Cinema. Dopo l’anteprima al Cap10100 e le serate del 26, 27 e 28 maggio al Bunker, la sesta edizione del festival torinese è proseguita con una produzione volta a valorizzare una parte del Fondo Vittorio Zumaglino dedicata al lavoro nella Torino degli anni ’30 e ’40, con l’accompagnamento musicale del collettivo free jazz americano Irreversible Entanglements.

Foto di Elisabetta Ghignone.

Solo un paio di riflettori e la luce dello schermo del cinema illuminano la band, che inizia a suonare quasi in punta di piedi mentre viene proiettato il montaggio delle immagini di Vittorio Zumaglino curato da Nadia Zanellato: l’intensità della performance aumenta gradualmente e segue pari passo lo sviluppo del montaggio, che più diventa serrato e più porta la musica a creare un’atmosfera ipnotica e affascinante, dando vita a percorsi sonori apparentemente infiniti.

Foto di Elisabetta Ghignone.

Gli Irreversible Entanglements portano sul palco testi dedicati alla centralità dell’amore nella nostra vita e all’importanza delle proprie radici, rivolgendo inoltre uno sguardo al futuro: le parole vengono pronunciate dalla voce perentoria e decisa di Moor Mother, leader del gruppo, che con un piglio da predicatrice si rivolge al pubblico e si lascia andare ai suoni del resto del collettivo, formato da Luke Stewart, Keir Neuringer, Aquiles Navarro e Tcheser Holmes.

Al termine dell’esibizione, gli organizzatori dell’evento, con il sostegno del pubblico, chiedono un piccolo bis, immediatamente concesso: Moor Mother chiede di pronunciare con lei la frase “We can be free”, e su queste quattro parole si chiude ufficialmente lo spettacolo della band.

Foto di Elisabetta Ghignone.

Si conclude tra gli applausi del pubblico e anche alcuni gridi di approvazione l’iniziativa extra del Jazz is Dead! 2023, che è riuscita a creare un paesaggio sonoro assolutamente inedito unendo l’immagine di una Torino lontana e a noi sconosciuta a suoni appartenenti ad un altro mondo e ad un’altra epoca, ancora poco familiari nel mainstream italiano odierno. Sicuramente, coloro che hanno avuto modo di vedere gli Irreversible Entanglements all’opera non potranno fare a meno di desiderare di immergersi ancora una volta nel loro mondo: un’occasione perfetta per farlo sarà l’uscita del loro nuovo progetto a settembre, annunciato in esclusiva proprio durante la serata.

Foto in evidenza di Elisabetta Ghignone.

A cura di Giulia Barge

Jazz is Dead, serata finale: il Bunker nel segno della musica

Terzo appuntamento del Jazz is Dead, pomeriggio del 28 maggio: il clima decisamente instabile, fatto di rannuvolamenti e piogge passeggere, non scoraggia i presenti, accorsi all’evento gratuito per godersi l’ennesima giornata di musica. Teatro della kermesse, giunta ormai alla sesta edizione, è il Bunker; la line-up è molto variegata, in accordo con le giornate precedenti e lo spirito del festival (la tematica di quest’anno ragiona sull’identità: “Chi sei?”). Tantissimi gli artisti coinvolti, così come le proposte, i generi, addirittura gli strumenti che figurano sui diversi palchi. Insomma, ce n’è per tutti i gusti, come sottolinea nei suoi interventi il direttore artistico della rassegna, Alessandro Gambo.

Ad aprire le danze all’interno del tendone, primo di due scenari, è l’orchestra Pietra Tonale. Le temperature, elevate in quello che è uno spazio ristretto e stracolmo di gente, non impediscono di godersi lo spettacolo: l’ensemble porta in scena una musica che combina i suoni della tradizione orchestrale con la sperimentazione moderna e contemporanea. Grande enfasi sulla componente ritmica (le batterie sono ben due) e sulla genesi sonora, che culmina in momenti di notevole apertura melodica. L’esibizione è apprezzabile sia per l’originalità dei contenuti che per l’atmosfera creata, a un tempo raccolta e suggestiva, con la proiezione sullo sfondo di immagini vagamente psichedeliche.

Pietra Tonale. Foto: Amalia Fucarino

È dunque il turno del trio del trombettista Gabriele Mitelli, accompagnato dal contrabbassista John Edwards e dal batterista Mark Sanders. Sempre all’interno del tendone, il jazz eclettico dei musicisti incontra sonorità sintetiche ed elettroniche; da questa combinazione traspare la volontà precisa di esplorare, in senso letterale, ogni possibilità esecutiva offerta dalla strumentazione. E soprattutto, di divertirsi nel farlo. Piatti suonati con l’archetto, corde pizzicate sopra e sotto il ponticello, trombe stridenti e trasfigurate, voci solo accennate, quasi suggerite; tutto indirizza a una ricerca condotta sul suono, e lo sviluppo dei brani pare descrivere un vero e proprio flusso di coscienza, intrigante e imprevedibile.

Da sinistra: Gabriele Mitelli, John Edwards, Mark Sanders. Foto: Roberto Remondino

Ci spostiamo poi all’interno del club, ovvero lo spazio interno del Bunker, dove si esibisce Brandon Seabrook, chitarrista e banjoista americano, accompagnato da due musicisti d’eccezione quali il batterista Gerard Cleaver e il pianista e compositore Cooper-Moore. Quest’ultimo è impegnato con uno strumento molto particolare, ovvero il diddley bow, monocordo originario dell’Africa. Gli intrecci melodico-armonici, spesso rapidi e frenetici, sono i protagonisti assoluti dello show: ne risultano suoni singolari, talvolta aspri, insoliti, apprezzabili anche per il carattere sperimentale e improvvisativo. A farla da padrone sono la grana sonora – materica – delle corde e un dialogo musicale a dir poco acceso, soddisfacente da vedere e ascoltare.

Da sinistra: Cooper-Moore, Gerard Cleaver e Brandon Seabrook. Foto: Amalia Fucarino

I quarti artisti della serata sono i Moin, progetto musicale che vede la collaborazione tra la band londinese Raime e la batterista pugliese Valentina Magaletti. Con i Moin si entra in un terreno del tutto nuovo, lasciandosi alle spalle quasi ogni cenno del jazz finora suonato, così come di quello citato nel nome del festival: il marchio di fabbrica del complesso è un sound elettronico cupo, dove il sintetizzatore si unisce a chitarre distorte e a potenti riff di basso e batteria, con sembianze di matrice post-rock e post-punk. Interessante – anche un po’ inquietante – l’ingresso sul palco del gruppo, con alcune basi di voce registrata in loop; il prosieguo dell’esibizione sviluppa la scaletta sul suddetto mood, muovendo spesso verso un’atmosfera satura di suono e marcando uno stile definito, quasi ritagliato su misura.

Moin. Foto: Roberto Remondino

Ultimo gruppo in programma sono i giapponesi Boris, band attiva da più di trent’anni, che infiamma l’evento in modo definitivo. Protagonisti di una fusione musicale che accosta il metal a generi quali ambient, noise rock e hardcore punk, i musicisti esprimono da subito la loro natura di animali da palcoscenico. Il bassista e chitarrista Takeshi Ōtani sfoggia entrambi gli strumenti in uno, a doppio manico, il che già di per sé ruba la scena; dietro la batteria si staglia un grandioso gong, percosso spesso e volentieri dal batterista nella successione di ritmi serratissimi; il cantante, Atsuo Mizuno, si scatena senza soluzione di continuità, coinvolgendo il pubblico in modo costante e facendosi addirittura portare in trionfo dalla folla a più riprese. A completare la formazione è la chitarrista Wata, la quale si occupa anche delle tastiere, in particolare in “[not] Last Song”. Neanche a dirlo, i presenti si abbandonano a un folle pogo lungo tutta la durata del concerto, facendo sentire il loro entusiasmo specie in pezzi come “Question 1” oppure “Loveless”. Il climax giusto per chiudere la serata e la rassegna.

Boris. Foto: Amalia Fucarino

Il Jazz is Dead si conclude col botto, confermandosi un’importante realtà della scena torinese, aperta più che mai all’incontro tra generi differenti, alla ricerca e alla sperimentazione artistica, dal respiro e dalla portata a tutti gli effetti internazionale. Un appuntamento da non perdere, insomma, che fa dell’inclusione e dell’accessibilità i suoi punti di forza, suggellando il tutto con un’interessante selezione musicale.

A cura di Carlo Cerrato

Jazz is Dead – Chi sei? Prima serata

Quest’anno, alla sua sesta edizione, Jazz is dead si conferma festival che sa proporre una musica di confine, poco definibile, e che nella sua ecletticità sa coinvolgere un pubblico ampio, eterogeneo per l’età, ma anche per i differenti interessi musicali. Così un appassionato di jazz in cerca di nuovi orizzonti può incontrare un ventenne che è lì per ballare sotto cassa della buona musica elettronica. Lo stesso vale per gli artisti chiamati a suonare. Jazz is dead fa dello spazio del Bunker, stracolmo di persone, il luogo di possibili incontri inaspettati. Il titolo scelto per questa edizione è “Chi sei?”, dove il punto interrogativo può anche riferirsi al festival stesso, diventando un invito a chiedersi quale sia il filo conduttore che porta così tante persone a partecipare, che cosa sia la musica che ogni anno Jazz is dead accoglie e propone.

Jazz is dead
Jazz is Dead, prima serata – foto di Elisabetta Ghignone

Ad aprire la prima serata di festival, venerdì 26 maggio, sono i Leya, duo formato da Marilu Donovan (arpa) e Adam Markiewicz (violino e voce) che hanno debuttato nel 2018 con l’album The fool. I due artisti rileggono in chiave contemporanea due strumenti antichi come il violino e l’arpa, creando nuove possibilità sonore. A partire dalle 18.30 nel tendone del Bunker la loro musica ha immerso il pubblico in un’atmosfera intensa e magnetica.

La serata poi ha continuato nello spazio al chiuso alle 21 con il live di Sarah Davachi, che in un loop infinito di droni ha reso il tempo e lo spazio quasi impercettibili, trasportando gli spettatori in un viaggio surreale. Seduti sulle loro sedie, tutti rimangono immobili, quasi ipnotizzati, per circa un’ora.

jazz is dead
Jazz is Dead, prima serata – foto di Elisabetta Ghignone

A seguire sale sul palco Pan Daijing. L’artista originaria del sud-ovest della Cina, ma di stanza a Berlino, confida al pubblico di volersi prendere una pausa e sarà per tanto una delle ultime occasioni in cui assistere a un suo concerto.

Dopo una breve pausa, il pubblico attende con calore Nziria, che appare tra le luci avvolta in un ampio impermeabile nero, la testa rasata e una presenza scenica che sprigiona energia. Nziria, che in napoletano significa “capriccio molto ostinato e fastidioso, spesso senza un motivo preciso”, è l’ultimo progetto di Tullia Benedicta, musicista di origine partenopea e cresciuta in Romagna. La sua musica sembra lasciarsi contaminare dalle diverse esperienze vissute, ma mantenendo sempre una forte e sotterranea presenza; un personale punto di vista gli permette di rivisitare la musica napoletana e neo-melodica creando un nuovo immaginario di riferimento, svincolato da cliché e categorizzazioni.

Jazz is Dead, prima serata – foto di Elisabetta Ghignone

I djset di Upsammy e Stefania Vos chiudono la prima serata del festival, lasciando il pubblico più che soddisfatto e con la voglia di partecipare anche nei giorni successivi.

A cura di Stefania Morra


Passaggi d’estate: gioie musicali nella corte del cielo

Otto concerti, dall’8 al 22 luglio, un repertorio pensato per un pubblico differenziato messo a punto dal Direttore artistico Cristiano Sandri. Protagonisti l’Orchestra Teatro Regio Torino, i Solisti del Regio Ensemble e il Coro di voci bianche del Teatro Regio.

«È un clima positivo motivo di grande orgoglio quello che si respira al Teatro Regio» afferma il Sindaco Stefano Lo Russo in apertura di conferenza stampa il 26 maggio per la presentazione del programma. Dopo i ringraziamenti alla Direttrice dei Musei Reali di Torino Enrica Pagella, il Sovrintendente Mathieu Jouvin sottolinea il clima di accoglienza che caratterizza l’iniziativa. Oltre ai cittadini e ai turisti, l’attenzione sarà rivolta ai giovani con un biglietto ridotto dedicato agli Under30, proseguendo sull’onda di Anteprima Giovani progetto particolarmente riuscito in quest’ultima Stagione 2022-2023. Giovani sono anche i protagonisti scelti dal direttore artistico Cristiano Sandri, i Solisti del Regio Ensemble e il maestro Riccardo Bisatti, interpreti di un repertorio classico apprezzabile da un pubblico non necessariamente di specialisti.

Nella foto: Mathieu Jouvin, Stefano Lo Russo e Cristiano Sandri durante la presentazione a Palazzo Reale. Foto dal comunicato stampa del Teatro Regio.

Ad inaugurare l’evento una selezione di arie d’opera tratte dalla grande tradizione italiana dell’800, con un primo appuntamento previsto per sabato 8 luglio,e interpretato dalle voci dei Solisti del Regio Ensemble – Irina Bogdanova e Amélie Hois (soprani), Ksenia Chubunova (mezzo soprano), Lulama Taifasi (tenore) e Rocco Lia (basso) – accompagnati al pianoforte da Giannandrea Agnoletto. Domenica 9 luglio, condotti dal maestro Claudio Fenoglio, il Coro di Voci bianche e i Solisti del Regio Ensemble Irina Bogdanova (soprano) e Ksenia Chubunova (mezzo soprano) eseguiranno un repertorio di generi e stili diversi, passando da brani del passato a compositori contemporanei. Martedì 11 luglio dirige l’Orchestra del Regio Riccardo Bisatti, in un concerto interamente dedicato al repertorio mozartiano. Sabato 15 e domenica 16 due i protagonisti, Mozart e Schubert, eseguiti dall’Orchestra diretta sempre da Bisatti. Martedì 18 luglio sarà la volta dei Solisti del Regio Ensemble – Irina Bogdanova e Amélie Hois (soprani), Ksenia Chubunova (mezzosoprano), Lulama Taifasi (tenore) e Rocco Lia (basso) – accompagnati al pianoforte da Giulio Lugazzi, si cimenteranno con i compositori della tradizione mitteleuropea. In chiusura gli appuntamenti di giovedì 20 e sabato 22 luglio, con l’Overture da Le nozze di Figaro di Mozart, la Sinfonia in sol maggiore n.88 di Haydn e la Sinfonia n. 2 in re maggiore op. 36 di Beethoven. Sul podio ancora una volta Bisatti.

Sarà inoltre possibile per i possessori del biglietto accedere, a partire da un’ora prima dall’inizio dei concerti, al Giardino Ducale per godere di una passeggiata esclusiva in uno dei luoghi simbolo della città di Torino. Per consultare il programma completo e acquistare i biglietti: https://www.teatroregio.torino.it/passaggi-destate

A cura di Alessandra Mariani

MUSIDAMS CONSIGLIA: i 10 migliori singoli di maggio

Ecco la top 10 dei migliori singoli di maggio 2023 secondo MusiDams!

Dance the Night – Dua Lipa 

Il primo brano della colonna sonora di Barbie, l’attesissimo film di Greta Gerwig in uscita a luglio, è firmato da niente meno che da Dua Lipa con la produzione di Mark Ronson. “Dance the Night” viaggia sulla scia delle vibes anni ’70 di Future Nostalgia, proiettandoci direttamente sulla pista da ballo con Margot Robbie e Ryan Gosling

Voto: 28/30

America has a problem – Beyoncè feat Kendrick Lamar 

Il featuring a sorpresa fra Beyonce e Kendrick Lamar, uscito il 19 maggio, trasforma un brano sulla dipendenza affettiva in una critica alla dipendenza del mercato discografico statunitense nei confronti dello stesso Lamar, tanto che persino l’intelligenza artificiale cerca di clonare i suoi testi – senza grandi risultati – . Il singolo campiona il brano del 1990 “Cocaine (America has a problem)” del rapper americano Kilo Ali

Voto: 27/30 

Bellu uaglione – Rosa Chemical 

Rosa Chemical e il fantasma di Renato Carosone si uniscono per un revival di “O’ Sarracino”, che viene trasformato in un inno alla fluidità in chiave EDM. Il pride month è ufficialmente iniziato ed è firmato Rosa Chemical.

Voto: 26/30

Mare Caos – Paola e Chiara

È finalmente maggio, il mese dei tormentoni estivi: non poteva ovviamente mancare il singolo delle maestre assolute di quest’arte, Paola e Chiara. “Mare Caos” è il secondo brano estratto dall’album Per sempre, uscito il 12 maggio, e non abbiamo dubbi che con le sue sonorità latin pop diventerà IL tormentone di questa estate 2023. 

Voto: 26/30

Pazza Musica – Marco Mengoni, Elodie

Dobbiamo ammetterlo: aspettavamo questo duetto da anni. E forse le nostre aspettative erano troppo alte, perché il risultato non riesce a soddisfarci pienamente: sa di già sentito. Il brano rimane comunque piacevole e rientrerà sicuramente nelle nostre playlist vacanziere.

Voto: 25/30

A cura di Ramona Bustiuc

Lawnmower – Bent Knee

Il primo singolo della band avant-garde statunitense dopo l’abbandono del sopracitato Ben Levin (ex-chitarrista) e Jessica Kion (ex-bassista) è una ballad che lascia spazio alla voce radiosa della vocalist Courtney Swain, con sonorità che sfiorano il country. Il contrasto con il disco precedente Frosting (composto per lo più da musica cacofonica e ostica) è sorprendente: il brano regala brividi dal quieto incipit, fino al finale distorto, mentre Swain ci racconta di come non taglia più il prato della sua casa in campagna.

Voto: 29/30

Nothing Is As Good As They Say It Is – Sparks

Dopo la prima avventura cinematografica con Annette, gli Sparks tornano in pompa magna con l’ennesimo album (siamo a venticinque!): “Nothing Is As Good As They Say It Is” è il grido punk rock di un bambino appena nato che chiede disperatamente a sua madre di tornargli in grembo. Il titolo dell’album, The Girl Is Crying In Her Latte, ci fa pensare che non ci siano pezzi particolarmente più allegri nel nuovo repertorio, e va bene così.

Voto: 28/30

Prince of Fire – Voyager

Forti del buon risultato al recentissimo Eurovision Song Contest con “Promise”, i Voyager continuano la promozione dell’atteso disco Fearless in Love. “Prince of Fire” va in contromano rispetto a quanto presentato a Liverpool: quasi 5 minuti per un brano dalla struttura irregolare, con synth e melodie sempre presenti, ma stavolta sovrastate dalla potenza delle ritmiche. Il disco esce a luglio e fa già caldissimo.

Voto: 28/30

Home – Einar Solberg ft. Ben Levin

Sebbene sia da sempre il compositore principale e frontman dei Leprous, Einar Solberg si prepara all’uscita del suo debutto da solista 16. Il disco è una buona scusa per esplorare sound che nella band striderebbero eccessivamente, e “Home” non fa eccezione. Una ritmica hip-hop fa da base a un brano pieno dei caratteristici vocalizzi del cantante, stavolta dallo spirito più commerciale che mai. A confermare questi sentori c’è Ben Levin che regala al brano una strofa rappata. Einar, ti vogliamo bene a prescindere, anche con la mazurka.

Voto: 27/30

Under You – Foo Fighters

L’inaspettato ritorno dei Foo Fighters sembra destinato a produrre un disco molto interessante. La band è quanto più vicina al loro esordio, quando Dave Grohl scrisse e registrò in solitaria il self-titled del 1995 – anche questo a seguito di una grave perdita, ovvero quella di Kurt Cobain: Grohl è stato batterista dei Nirvana per 4 anni – . “Under You” è un modo di celebrare quanto è stato Taylor Hawkins – batterista dei Foo Fighters dal 1997 e deceduto a marzo 2022 –  senza scadere nell’eccessivo melenso: il brano è fresco e movimentato, dall’ascolto semplice e d’impatto, che ci riporta a grandi successi come “Learn to Fly” o “Big Me”.

Voto: 26/30 

A cura di Mattia Caporrella

Immagine in evidenza: screenshot dal video https://www.youtube.com/watch?v=OiC1rgCPmUQ

Il gioco della serietà: La fille du Régiment al Teatro Regio

Cosa mette di buon umore più della Figlia del reggimento? Quest’opera che ci fa danzare davanti agli occhi soldatini colorati, che mette in scena amori giocosi e ingenui, che usa la musica per creare un mondo dove il Male semplicemente non esiste, è la cura infallibile contro la depressione. Con quest’opera il Teatro diventa quel che è in Fanny e Alexander: gioco di cartone, volo di fantasia, magia che vince il duello con la realtà. Nulla nella Figlia del Reggimento è reale: la Guerra, l’Esercito, la Nobiltà, l’Amore, il Dolore, la Separazione sono tutte figurine in miniatura nelle mani di un bambino. Ma come ogni gioco che si rispetti, va giocato con estrema serietà (i bambini questo lo sanno bene).

La figlia del reggimento al Teatro Regio – Foto di Andrea Macchia

Dunque in un momento triste, come può esserlo l’aria di Marie alla fine del primo atto, Donizetti vuole che tu pianga, e ti fa piangere; e in un momento di gioia, come quando i tre protagonisti si riuniscono nel secondo atto, vuole che la gioia sia incontenibile, e ti folgora con un ritmo offenbachiano perché devi aver voglia di alzarti in piedi e danzare.
È commovente pensare che queste opere non le ha scritte un bambino vero, un piccolo Mozart: le ha scritte un adulto, uno che è nato nella miseria, che a quarant’anni ha perso i genitori e la moglie e i figli, e che ha finito i suoi giorni pazzo: uno, insomma, che ha conosciuto il dolore. L’esilità di certe sue marcette, valzerini o minuetti sembra un rimpicciolirsi davanti al gran caos del mondo, un ritirarsi nel sottosuolo, in una tana dove asciugarsi le lacrime e poter tornare a giocare ai soldatini. Perciò questa musica così fragile è anche quella dove più spesso la malinconia affiora, trascolora e si riassopisce: soltanto in Schubert abbiamo una successione così cangiante di modi maggiore e minore nello spazio di poche battute. Il comico come superamento del tragico di cui è fatta la vita è teorizzato e messo in pratica nelle melodie donizettiane.

La figlia del reggimento al Teatro Regio – Foto di Andrea Macchia

Il Teatro come gioco, dunque, e la creazione artistica come luogo per espungere il Male dal mondo sono gli ingredienti delle opere comiche di Donizetti. Guai al regista che davanti alla Figlia del reggimento punti al realismo, alla verosimiglianza, o quel che è peggio a parlare di noi, parlare del presente, parlare del mondo in cui viviamo: no, no, no, sembra dire quest’opera, viva il mondo in cui non viviamo.

La figlia del reggimento al Teatro Regio – Foto di Andrea Macchia

Nello spettacolo andato in scena al Teatro Regio, i registi Barbe & Doucet hanno seguito questo principio e hanno ricollocato l’opera sul comò di un’anziana signora, tra scatole di medicine, la statuina di una Madonna alta sei metri e una abat-jour di cui non si vede la sommità: davvero un mondo di soldatini, di figurette di cartone. Né si perde l’ambientazione svizzera, poiché sul comò è anche collocato un orologio a cucù a forma di chalet e sul fondo il dipinto di un paesaggio alpino. Il resto, come potete immaginare, viene da sé, ed è meraviglioso. Tanto più che questi due sono dotati della dote più rara tra i registi: l’umorismo, cosa ben diversa dalla caciara o dalla stupidità con cui altri credono di far regie divertenti. L’ambientazione insolita è introdotta da un piccolo film proiettato durante l’Ouverture, dove si vede l’anziana signora, i suoi nipotini, la casa di riposo, il comò e gli oggetti dei ricordi riposti su di esso: la vita trascorsa, probabilmente passata per la guerra, viene delibata nella memoria e trasformata, per chi durante la guerra era bambina, in una favola colorata: cosa c’è di più malinconico e dolce insieme, di più profondamente donizettiano?

La figlia del reggimento al Teatro Regio – Foto di Andrea Macchia

Guidati dai due registi e dalla bacchetta di Evelino Pidò, molto analitica coi timbri dell’orchestra, gli interpreti hanno dato prove ottime e nel canto e nella recitazione, questa assai più difficile da padroneggiare in un’opera che richiede di parlare e non solo di cantare, dunque bravi due volte. Fuoriclasse assoluto Arturo Brachetti nei panni della Duchessa di Crakentorp: come nella migliore tradizione dell’operetta (si pensi al ricevimento nel secondo atto del Pipistrello), si è esibito in un numero extra che combinava al trasformismo la canzone “Ciribiribin”: per un attimo l’immenso Paolo Poli è tornato tra noi.

La figlia del reggimento al Teatro Regio – Foto di Andrea Macchia

A cura di Luca Siri

La webzine musicale del DAMS di Torino