Articoli di dominio generale, senza alcuna specifica. Possono essere conferenze stampa, eventi che uniscono più discipline – es. mostra con musica – etc…
Il 2 maggio, nello Studium Lab di Palazzo Nuovo, si è tenuta la prima rappresentazione di Beethoven: La sinfonia del silenzio, spettacolo teatrale scritto e diretto da Milena Sanfilippo (sono cinque le repliche organizzate in Università). Al suo fianco, Matteo Chenna e Simone Manzotti nel ruolo di Ludwig van Beethoven. I tre attori decidono di collaborare per mettere in scena quello che è – a tutti gli effetti – uno scorcio di vita di uno dei più grandi compositori della storia musicale.
Beethoven (Simone Mazzotti) e “l’amata immortale” (Milena Sanfilippo), foto di Ludovica Gaetini
La scenografia è composta da pochi e semplici elementi: una scrivania, un pianoforte, un letto e qualche elemento decorativo. La vera forza motrice di questa storia sono gli interpreti che, incalzati dalla musica e dalle luci – abilmente manovrati da LudovicaGaetini – trasportano lo spettatore all’interno della mente di Ludwig van Beethoven. Quante persone si sono mai chieste chi fosse veramente il «Maestro», come lo chiama il suo copista Holz (Matteo Chenna)? Quanti suoi ascoltatori hanno pensato a quali potessero essere i suoi affetti? Beethoven: La sinfonia del silenzio ci prende per mano, accompagnandoci nella tanto agognata composizione della Decima (rimasta incompiuta), nel legame con il nipote Karl e in quello con la sua “amata immortale” (interpretata da Milena Sanfilippo); o meglio, del ricordo che il compositore ha di lei. Senza tralasciare il rapporto con il principe Lichnowsky, figura decisiva per il sostegno economico di Ludwig e quello con il padre, Johann van Beethoven (Matteo Chenna), uomo anaffettivo e poco presente.
Il viaggio verso il lato umano di Beethoven non è solo visivo, ma passa anche e soprattutto per la musica. I brani scelti vengono legati attentamente con momenti particolari della sua vita (come durante la lettura della corrispondenza con Karl), invitando lo spettatore ad ascoltare, oltre che vedere. Che la musica sia parte fondamentale delle giornate e degli anni di Ludwig è chiaro sin da subito: le pareti della stanza sono ricoperte di spartiti, note, chiavi di violino. «Queste pareti sono il riflesso della follia nella mia testa» commenta amareggiato Beethoven poco prima della lettura del testamento quando abbatte la quarta parete e, guardandoci negli occhi, parla con noi. «Tra queste pareti, Voi, Maestro, avete toccato l’infinito»: così, invece, lo saluterà Holz.
Inizio con il botto per l’Eurovision Song Contest 2023, che il 9 maggio, ha visto esibirsi nella sua prima semifinale tutti i super favoriti dell’edizione. Durante la serata hanno inoltre presentato i loro brani anche Marco Mengoni (Italia), La Zarra (Francia) e Lord of the Lost (Germania), che ascolteremo durante la gran finale del 13 maggio. Tatuaggi, regine ed unicorni: ora che abbiamo scoperto le dieci nazioni che continueranno il loro viaggio in quel di Liverpool, è il momento di rivedere insieme i brani di ieri sera.
Queen of Kings – Alessandra (Norvegia)
Singolo di debutto per la giovane italo-norvegese, che ha l’onore di aprire l’edizione 2023 dell’ESC. Un classico pezzo da Eurovision trionfante e incalzante, nonché un tempismo perfetto considerando la recente incoronazione.
Voto: 26/30
Dance (Our Own Party) – The Busker (Malta)
Loro sono la quota Citi Zēni del 2023 (non a caso la posizione in scaletta è la stessa): performance energica con qualche pseudo passo di danza improvvisato, ma la canzone non lascia il segno e la band rimane fuori dalla finale.
Voto: 23/30
Samo mi se spava – Luke Black (Serbia)
Brano sul desiderio dell’artista di evadere dal caos del mondo…dormendo. Atmosfere dark e una produzione elettronica degna di nota, che permette al brano di volare in finale nonostante la debole esibizione vocale del cantante.
Voto: Halo?/30
Aijā – Sudden Lights (Lettonia)
La Lettonia porta sul palco un brano non memorabile e prevedibilmente non riesce a superare la semifinale: ritentate il prossimo anno.
Voto: 18/30
Ai Coração – Mimicat (Portogallo)
Estetica un po’ vintage e molto, molto portoghese per Mimicat, soprannominata la Amy Winehouse del Tago. Con tutto quel rosso sarebbe stata sicuramente la preferita di Cristiano Malgioglio.
Voto: 24/30
We Are One – Wild Youth (Irlanda)
I premi performance più sottotono e canzone più basica della serata vanno all’Irlanda: brano sulla solidarietà che risulterebbe indigesto anche come colonna sonora dei prossimi Mondiali di calcio, non stupisce nessuno che abbiamo dovuto salutarli prima della finale.
Voto: I Cugini di Campagna l’hanno indossato meglio/30
Mamašč! – Let 3 (Croazia)
La Croazia ci presenta una folla satira sulla guerra, tra spogliarelli a metà performance e un uomo con due missili che sparano effetti pirotecnici: il caos regna sovrano per tre minuti buoni e conquista il televoto, che premia i Let 3 con la finale.
Voto: WTF/30
Watergun – Remo Forrer (Svizzera)
Dopo la canzone a tema volemose bene e la prospettiva provocatoria sulla pazzia della guerra, abbiamo una riflessione più emotiva e commovente sulla crudeltà bellica, presentata dalla terza evoluzione dell’archetipo del rappresentante svizzero. Tutto molto bello, ma è ora di cambiare registro.
Voto: 24/30
Unicorn – Noa Kirel (Israele)
Le acrobazie e la presenza scenica della rappresentante israeliana mascherano il fatto che “Unicorn” sia un mix confuso di tre canzoni diverse senza un’apparente soluzione di continuità, e ci ritroviamo così in finale la massima “I got the power of the unicorn / Don’t you ever learn?”.
Voto: 20/30
Soareleşi Luna – Pasha Parfeni (Moldavia)
Ritorno all’Eurovision per Pasha Parfeni che porta sul palco una canzone d’amore a sfondo folkloristico e con un drop suonato da un nano con il piffero. Incredibilmente, funziona.
Voto: 26/30
Tattoo – Loreen (Svezia)
Altro grande ritorno: Loreen, già vincitrice nel 2012 con “Euphoria”, si presenta con una performance di impatto e un pezzo pop che sembra confezionato alla perfezione per l’occasione. Favorita per la vittoria, riuscirà a confermare i pronostici o verrà insediata dal fenomeno finlandese?
Voto: 27/30
Tell Me More – TuralTuranX (Azerbaigian)
Schiacciati tra Loreen e le Vesna i rappresentanti dell’Azerbaigian non possono che funzionare come pausa bagno, e infatti il pubblico si dimentica di votarli per la finale.
Voto: 19/30
My Sister’s Crown – Vesna (Repubblica Ceca)
La Repubblica Ceca canta un inno femminista che riprende il campo semantico dei reali, presentando perciò molte affinità con il pezzo norvegese: potrebbe risultare meno immediato a causa dell’uso prevalente della lingua madre, ma il pubblico premia il gruppo e lo fa volare in finale.
Voto: 26/30
Burning Daylight – Mia Nicolai & Dion Cooper (Paesi Bassi)
Tra gli autori del brano appare anche l’ultimo vincitore olandese, Duncan Laurence, ma questo non basta per raggiungere la finale: il duetto non ha convinto il pubblico, probabilmente per la poca chimica tra i due interpreti e per le loro doti vocali scarsine.
Voto: 23/30
Cha Cha Cha – Käärijä (Finlandia)
Chiusura di fuoco per la prima semifinale con Käärijä, ovvero l’unico che secondo gli scommettitori potrebbe far vacillare il (già annunciato?) trono di Loreen. A sentire i boati della Liverpool Arena, sembra che la partita sia ancora assolutamente aperta.
Voto: 27/30
Le dieci nazioni che hanno superato la prima semifinale
La quinta edizione del festival Sonic Park Stupinigi 2023 riparte da alcuni dei nomi più interessanti della musica italiana e internazionale e dal forte impegno turistico di promozione del territorio in maniera sostenibile. Sono questi i temi emersi alle OGR durante la conferenza stampa di presentazione della nuova edizione del festival torinese. Più precisamente dal 4 al 13 luglio saranno previste sette serate concerto nel giardino storico della Palazzina di Caccia di Stupinigi di Nichelino.
Quest’anno, per la prima volta, la rassegna di concerti vedrà la collaborazione proprio con OGR Torino: il primo concerto firmato Sonic Park Stupinigi si terrà proprio nella sala Fucine delle Officine, dove il 26 giugno gli Interpol apriranno le danze e saranno protagonisti (dopo cinque anni dopo l’ultima apparizione) di uno dei loro cinque concerti italiani.
credits foto: Martina Caratozzolo
Il festival nasce da un’idea della fondazione Reverse Agency, capitanata dai fratelli Fabio e Alessio Boasi, che in collaborazione con la Regione Piemonte e la città di Nichelino ha l’obiettivo di promuovere e connettere tra loro cultura ed eventi musicali, in un luogo patrimonio dell’Unesco come la Palazzina di Caccia di Stupinigi. Durante la conferenza hanno dato il loro in bocca al lupo anche il sindaco di Nichelino Giampiero Tolardo e di Torino Stefano Lo Russo, quest’ultimo in collegamento streaming.
credits foto: Martina Caratozzolo
Il programma che si sviluppa lungo nove giorni, vedrà sette concerti di artisti italiani e internazionali, di ogni genere e gusto. Il 4 luglio si apre con i Simply Red, capitanati da Mick Hucknall, i quali presenteranno al pubblico italiano il loro nuovo album Time. Il 7 luglio è il turno del ritorno dal vivo di Biagio Antonacci. L’8, invece, salirà sul palco Madame – fresca dell’esperienza sanremese e del suo nuovo album L’amore – anticipata dall’opening act della torinese Ginevra. Il 9 luglio il festival continua con la coppia di rapper Guè ed Emis Killa. L’11 luglio il clima sarà internazionale con l’arrivo dei Placebo con special guest i Bud Spencer Blues Explosion.Il nome più atteso arriverà il 12 luglio: Sting, il quale porterà sul palco i suoi brani più famosi da solista e da frontman dei Police. L’ultima data sarà il 13 luglio: i Black Eyed Peas torneranno in Italia dopo la partecipazione come ospiti allo scorso Festival di Sanremo.
Ecco il riepilogo della line-up del festival:
Simply Red – 4 luglio;
Biagio Antonacci – 7 luglio;
Ginevra e Madame – 8 luglio;
Guè ed Emis Killa – 9 luglio;
Placebo e Bud Spencer Blues Explosion – 11 luglio;
Con un po’ di ritardo, ma finalmente è arrivata la top 10 dei singoli del mese di aprile.
Wish You The Best – Lewis Capaldi
Con il suo nuovo singolo Lewis Capaldi racconta una situazione in cui ognuno di noi almeno una volta si è trovato: parlare con una persona che ormai non fa più parte della nostra vita. Un non-detto che lascia la bocca amara e il cuore aperto, e – perché no – fa anche cadere una lacrima.Il singolo fa parte dell’albumBroken by Desire to Be Heavenly Sent, in uscita il 19 maggio.
Voto: 30/30
TI DIREI – Nitro
Nitro ritorna dopo 3 anni con un nuovo progetto: Outsider. Tra i brani spicca ‘‘TI DIREI’’, che arriva come una mazzata sul cuore: è un’intima e introspettiva dedica alla sua fidanzata, in cui esprime chiaramente tutto quello che prova. La produzione, affidata a Mike Defunto, è minimal, con pochi suoni, ma giusti per evidenziare l’effetto dedica/lettera che Nitro vuole dare al testo. Una canzone che cattura l’attenzione fin dalle prime barre.
Voto: 29/30
Boat – Ed Sheeran
Ad un anno e mezzo dall’uscita dell’ultimo album, ecco che Ed Sheeran torna, finalmente, con un nuovo progetto. Substract uscirà il 5 maggio e dopo il singolo “Eyes Closed” ha diffuso un altro spoiler: “Boat’’. Il brano utilizza la metafora di una barca in mezzo all’oceano per raccontare un periodo di depressione. Nulla da dire: il solito Ed Sheeran che racconta i problemi che la realtà ci pone davanti nel modo più sincero e comprensibile possibile, per non farci mai sentire soli.
Voto: 26/30
Mille Voci – Mecna feat. Drast
Mecna annuncia l’uscita del suo ottavo album, Stupido Amore, con questo singolo, in collaborazione con Drast, membro del duo degli Psicologi. Il brano è una lunga richiesta di perdono del passato: chi ha sbagliato ammette le proprie colpe e chiede all’altro di non avere più paura, perché le cose andranno meglio. Chissà se sarà davvero così. Intanto aspettiamo il 5 maggio per vedere quali altri amori ed esperienze ci racconterà il nostro caro Corrado.
Voto: 26/30
Altamente Mia – Bresh, SHUNE
Finalmente dopo poco più di due mesi scopriamo cosa voleva spoilerarci Bresh con gli ultimi secondi del videoclip del singolo “Guasto d’amore”, uscito a gennaio. Come suo solito Bresh fa quello che gli riesce meglio: raccontare storie, utilizzando immagini semplici e quotidiane, ma ben congegnate. Insomma: Andrea non avrà fatto nulla di nuovo, ma non è un problema.
Voto: 24/30
A cura di Roberta Durazzi
Let Me Go – Daniel Caesar
Il talento di uno dei grandi nomi del panorama R&B emerge nel suo nuovo album Never Enough, dopo quattro anni di assenza dalla scena musicale. In particolare, convince il singolo “Let Me Go”, nel quale la voce dell’artista si mescola ad un coro di voci oniriche in sottofondo.
Voto: 28/30
Il Colore Si Perde – Sick Tamburo
I Sick Tamburo anticipano l’uscita del loro nuovo album Non credere a nessuno con il singolo “Il colore si perde”. Un brano dalla melodia piacevole, che ci ricorda con malinconia che il tempo passa troppo in fretta.
Voto: 28/30
Un Briciolo Di Allegria– Blanco, Mina
Dopo il capitolo Blu Celeste, date su date sold out e la polemica di Sanremo Blanco torna alla ribalta con il nuovo album Innamorato. La ciliegina sulla torta è il singolo con Mina, un brano che funziona e che non oscura il giovane artista al cospetto di uno dei mostri sacri della musica italiana. L’incontro tra due generazioni che nessuno poteva aspettarsi.
Voto: 27/30
Something To Hide – grandson
In uno scenario musicale bulimico di nuove uscite grandson resta fedele al suo stile e pubblica un EP intitolato come il singolo, “Something To Hide”. Un basso dirompente fa da accompagnamento del brano e nel ritornello scoppia in un groove elettronico che fa venir voglia di ballare: ormai un marchio di fabbrica dell’artista canadese.
Voto: 26/30
DNA – Iside
La band bergamasca, dopo il convincente album d’esordio ANATOMIA CRISTALLO, torna con un nuovo singolo dal testo cupo, ma convincente. Da non ascoltare in loop se ci sente già particolarmente giù. Poi non dite che non vi avevamo avvisati.
Dopo i due concerti di Stefano Bollani in Danish Trio e Eve Risser con la Red Desert Orchestra, la Giornata Internazionale del Jazz celebrata a Torino si conclude con il ritorno in solitaria di Stefano Bollani sul palcoscenico dell’Auditorium Giovanni Agnelli del Lingotto.
Alcuni spettatori si aspettano che il pianista suoni i brani dell’ultimo album Blooming, uscito due giorni prima: il concerto si apre proprio con due di essi, “Vale a Cuba” e “All’inizio”, e Bollani spiega che il titolo si riferisce alla fioritura, vista da più punti di vista.
Le doti di showman del pianista – reduce dal programma televisivo Via dei Matti n. 0 – intrattengono come di consueto il pubblico, anche rendendolo partecipe dei titoli e della storia dei brani, che vengono sempre presentati . Essendo da solo sul palco, la vena comica di Bollani è accentuata, fino a regalare momenti di puro spasso tra aneddoti e sketch esilaranti. Tra i tanti il “momento educational”, in cui fa scoppiare le risate del pubblico con il racconto di un compositore fittizio, tal Oliver Ending, chiamato per tagliare composizioni lunghe che sarebbero potute finire molto prima.
Stefano Bollani, foto di Fiorenza Gherardi De Candei
Con il programma televisivo il pianista – racconta – ha avuto la possibilità in questo anno e mezzo di stare vicino a sua moglie, l’attrice e cantante Valentina Cenni, con cui conduceva, portando in televisione la vita di coppia quotidiana, fatta di rispetto reciproco e di stimoli. «E perché non stimolarci pure a Torino?», presenta sul palco la moglie (che qualcuno si aspetta). Ma chi si aspettava che avrebbero omaggiato la città raccontando dei Cantacronache, collettivo nato nel capoluogo piemontese nel 1957? E ancor più, che uno degli autori, Fausto Amodei, omaggiato con il suo brano “Il Tarlo”, fosse presente in sala? (occhiolino agli studenti del Dams).
Tra omaggi e colonne sonore varie, arriva il momento in cui chi è stato già a un concerto di Bollani sa essere quello del medley (ormai un must dei suoi spettacoli), dove il pianista raccoglie richieste di brani i più disparati dal pubblico. Più diversi sono l’uno dall’altro e più sarà assurdo il collegamento tra di essi – come le “Variazioni Goldberg” di Bach o la sigla di “Heidi”: Bollani parte con uno e inserisce all’interno la citazione di un altro, come solo lui riesce a fare.
Rispetto al trio, Bollani in solo può prendersi ovviamente molte più libertà sul piano del tempo, delle dinamiche e dei virtuosismi. Continua a suonare il pianoforte mentre il pubblico ride, batte le mani o ascolta in religioso silenzio in base a ciò che suona. Perfetto erede di Victor Borge, Stefano Bollani gioca e si diverte con la musica, mettendosi al suo servizio come intrattenitore, sempre come grato e umile giullare delle folle.
La Giornata Internazionale del Jazz promossa dall’UNESCO conclude l’XI edizione del TJF2023
Stefano Bollani Danish Trio
Da diversi anni, il 30 aprile, si festeggia la giornata dedicata al Jazz per i suoi valori di inclusività e comunicazione tra culture; al Torino Jazz Festival lo si celebra con un triplo appuntamento al Lingotto, con la marching band della Jazz School di Torino in apertura.
Nonostante non suonino da un po’ di tempo, fin da subito si percepisce come i tre siano ben amalgamati: suonano, giocano e si divertono e, consapevoli di non essere chiusi in una sala prove, lanciano continuamente segnali al pubblico tra una citazione e una battuta.
Jesper Bodilsen, foto di Alessandro Bosio
Bollani balla, si snoda sul pianoforte, alza la gamba, il tutto con un’eleganza che farebbe quasi invidia a Keith Jarrett. Bodilsen fraseggia delicatamente, mai invadente, cantando le note insieme al contrabbasso. Lund dal canto suo trasforma anche il leggio in una parte della batteria e accompagna con il suo tocco leggerissimo, che mantiene, senza mai esagerare con il volume, anche durante i suoi soli. Tutti e tre in realtà suonano delicatamente, come accarezzando le orecchie degli ascoltatori e arrivando a livelli di quasi silenzio. Inoltre suonano per puro divertimento (e non per mero virtuosismo), ed è comprensibile dalle risate e dagli sguardi. Il punto di riferimento di pensiero del trio è il pianista Ahmad Jamal, scomparso lo scorso 16 aprile, a cui hanno dedicato il concerto e l’intera la giornata .
Morten Lund, foto di Alessandro Bosio
Il repertorio include qualche inedito, qualche brano proveniente dagli album registrati insieme dal trio, fino a “Legata ad uno scoglio” come omaggio a Lelio Luttazzi, con la voce di Bollani (che scherzosamente sostituisce nel testo della canzone il nome di “Bevilacqua Vinicio” con quello di Capossela).
Eve Risser & Red Desert Orchestra – “Eurythmia”
Terminato il concerto ci si sposta nella Sala 500, dove è previsto l’appuntamento con Eve Risser insieme alla Red Desert Orchestra.
Il progetto vede la pianista francese guidare una nuova formazione di musicisti europei e africani residenti in Francia, «mescolando musica africana, minimalismo e jazz» – citando il direttore artistico Stefano Zenni.
Eve Risser e Nils Ostendorf, foto di Alessandro Bosio
Dopo aver richiamato il paesaggio sonoro di un deserto attraversato dal vento, l’atmosfera diventa suggestiva grazie a un amalgama di strumenti “jazz” (tra cui batteria, chitarra elettrica, basso e fiati) con strumenti di tradizione africana quali djembe e due balafon, xilofono tipico dell’Africa Occidentale sub-sahariana. La sezione ritmica procede su ritmi sostenuti, in particolare su quelli conosciuti come afrocuban. Spicca su tutti il djembe, che – al centro dell’orchestra – ne diventa quasi lo strumento principe con i suoi ostinati ritmici.
Eve Risser & Red Desert Orchestra, foto di Alessandro Bosio
Verso metà concerto, Risser presenta i musicisti e, provando a descrivere i brani suonati senza soluzione di continuità, intenerisce la sala spiegando con qualche difficoltà linguistica «the first piece is about horses, the second is about snakes», rimpiangendo di non essersi preparata qualcosa in più da dire sulle composizioni. Con l’ultimo brano sull’amore, il gruppo riesce a strappare un rapido bis al pubblico, invitato a mettersi in piedi a ballare e scatenarsi, anche se è già ora di scappare all’appuntamento successivo.
«Grazie per averli portati qui!» urla qualcuno a Zenni, facendo scoppiare un fragoroso applauso degli spettatori infiammati dall’aria di festa.
Il teatro è pieno: anche per la data del 25 aprile il Torino Jazz Festival ha registrato il sold out. Prima dell’entrata in scena degli artisti, sale sul palco Stefano Zenni (direttore artistico del Festival) per presentare Steve Coleman che di lì a poco riempirà il teatro con la sua musica, insieme ai Five Elements, gruppo con cui collabora dall’inizio degli anni ’80.
Zenni sottolinea il fatto che il musicista non venga in Italia da diversi anni: la sua esibizione di Torino è davvero straordinaria, anche perché il festival è riuscito a far anticipare l’inizio del tour. Coleman è – spiega ancora Zenni – uno dei musicisti più influenti della storia recente del jazz. Innovatore del jazz dagli ultimi vent’anni, propone una sorta di laboratorio musicale in cui innesta fantasie melodiche più lente − o per lo meno cantabili – a ritmi di matrice afroamericana più corporei e danzanti, ottenendo una musica dal carattere pienamente contemporaneo.
Steve Coleman and The Five Elements – foto dal profilo del TJF
Steve Coleman sale sul palco (con in mano il sax, la custodia e una busta di carta), seguito da Jonathan Finlayson alla tromba (con una macchinetta fotografica a tracolla, che posa subito sul palco), Rich Brown al basso elettrico e Sean Rickman alla batteria. Intervalla la presentazione degli artisti a delle cellule melodiche a cui si collegano subito il bassista, e poco dopo gli altri due musicisti. Non è previsto uno strumento prettamente armonico, motivo per cui l’intero concerto è sorretto dal tocco leggerissimo del batterista che si mescola ai ritmi composti del basso a sei corde di Brown, su cui si poggia il dialogo armonico dettato dal contrappunto tra sassofono e tromba. La ritmica, cadenzata, prende qualcosa dai ritmi hip hop underground, mentre le melodie sono per la maggior parte improvvisate. Non si tratta solo di free jazz o funk. È quel filone a cui Coleman è tanto legato e che si chiama M-Base – acronimo di Macro-Basic Array of Structured Extemporizations – in cui tutte le forme dell’universo sono connesse e hanno come obiettivo finale l’espressione artistica. Alla fine del concerto Coleman prova a raccontarlo: «When you play there’s a energy», e l’energia si sente davvero in platea, dove il pubblico continua a far ondeggiare la testa o muovere le gambe o i piedi, incapace di rimanere immobile.
Poi, perentorio, continua: «We have to stay awake for you», spiegando che lui e i suoi musicisti sono stanchi a causa del jet lag, come se volesse giustificarsi di non essere propriamente in forma. Ma se il risultato già così è sbalorditivo, viene da chiedersi come sarebbe con i musicisti nel pieno delle loro possibilità…
I festival, com’è noto, sono anche occasioni per creare esperimenti con produzioni originali che possono avere molteplici esiti. Nel caso del Torino Jazz Festival, la terza serata ha visto la composizione di un trio, si potrebbe dire, inusuale: il sassofonista inglese Shabaka Hutchings, il cantante e suonatore di guembri marocchino Majid Bekkas e il batterista e percussionista americano Hamid Drake.
Shabaka Hutchings, foto di Ottavia Salvadori
Inusuale perché i tre arrivano da background diversi, ma ciò non impedisce loro di trovare un’intesa, rendendo il concerto qualcosa di unico. I suoni emessi dal guembri – strumento tipico della musica degli Gnawa, gruppo etnico che discende dagli schiavi neri deportati nella zona sahariana – di Bekkas sono in un registro medio (tra chitarra e basso, leggermente più ovattato), tale da permettergli di essere il centro portante della performance. Bekkas suona dei riff che si ripetono, su cui canta la stessa melodia, ed è il perno su cui far avvicendare le personalità di Drake e Hutchings, con il loro arsenale di strumenti. Certi riff si sposano perfettamente con alcune delle sonorità afroamericane e afrocubane che il batterista porta avanti tra ritmi funk e tribali, trasformando la batteria in una sintesi di percussioni che spinge il pubblico a ballare. Dal canto suo, Shabaka improvvisa in un linguaggio abbastanza riconoscibile di provenienza jazzistica, spezzando le metriche su una poliritmia che si incastra perfettamente negli spazi dei suoni degli altri due. Hutchings, inoltre, cambia costantemente atmosfera passando dal sassofono ad altri strumenti a fiato di tradizione africana e nativo americana.
Majid Bekkas, foto di Ottavia Salvadori
Il momento più suggestivo della serata accade quando Hamid Drake si siede di fronte al pubblico e, suonando un tamburo a cornice e battendo i piedi nudi per terra, accompagna Shabaka Hutchings e il suo flauto doppio. Il pubblico ascolta con religioso silenzio il momento sacrale che si sta creando e al brano successivo si accoda anche Majid Bekkas, con una kalimba che suona con virtuosismo.
Hamid Drake, foto di Ottavia Salvadori
L’improvvisazione è il principio su cui si fonda tale esperimento: accostando la potenza prorompente di Drake e il fraseggio scomposto di Hutchings, entrambi guidati da Bekkas. In una serata che ha dato l’impressione di essere una jam session tra figure divergenti, il pubblico non ha fatto altro che ballare dall’inizio alla fine.
La leggenda vivente del pianoforte jazz al Torino Jazz Festival
Sold out per la seconda serata del Torino Jazz Festival, per la quale sono addirittura stati aggiunti ulteriori posti a visibilità ridotta. Sullo stesso palco dove la sera prima si è parlato dei grandi musicisti che hanno fatto la storia del jazz, ci è salito proprio uno di loro, il pianista Kenny Barron, in occasione del tour per il suo 80° compleanno. Insieme a lui, Kiyoshi Kitagawa al contrabbasso e Jonathan Blake alla batteria.
Kiyoshi Kitagawa, foto di Ottavia Salvadori
Il pianista statunitense è parte della vecchia leva (avendo suonato con autorità come Dizzy Gillespie, Lee Morgan, Stan Getz e tanti altri) e dimostra da subito un fraseggio e un linguaggio jazzistico molto raffinati, semplici e melodiosi. Senza perdere tempo, dopo un breve saluto Barron introduce il primo brano, “Teo”, «from the great Thelonious Monk». «Si comincia alla grande!» commenta qualcuno tra il pubblico. I due accompagnatori si rivelano immediatamente personalità molto diverse, ma nell’insieme diventano parte di una macchina ben oliata: tra Kitagawa che gioca molto con gli spazi e Blake che spinge con delicata velocità, Barron tiene le redini “tirando indietro” con lo swing, per rimanere fermo e inamovibile nella pulsazione di ogni brano. In circa un’ora e mezza, il trio esegue alcuni standard presi dal repertorio jazzistico, come “How Deep Is The Ocean” e “Nightfall” di Charlie Haden, passando per “The Surrey with the Fringe on Top” tratto dal musical di Broadway Oklahoma e in conclusione, una sua composizione originale, “Calypso”.
Jonathan Blake, foto di Ottavia Salvadori
Al momento del bis accade qualcosa di unico: il trio comincia a suonare “Poinciana” in modo sospeso e leggero, quasi fluttuante. Il brano è famoso per il suo ritmo sincopato atipico e quando la pioggia inizia a scrosciare sul tetto della sala rende l’atmosfera ancora più suggestiva, creando un contrappunto con il pianoforte che trasforma il gruppo in un quartetto. Al termine del brano, le luci si accendono e il pubblico sembra ridestarsi da un sogno, rimanendo ancora incantato da ciò a cui aveva appena assistito. «I hope to see you again!» saluta il pianista, tra i commenti di qualche spettatore che avrebbe voluto sentire ancora altri bis e di qualcun altro tristemente consapevole della sua stanchezza dovuta all’età. Noi, invece, speriamo di rivederlo al più presto, per un’altra umile lezione di swing.
Alle OGR la produzione originale con Peppe Servillo & TJF All Stars
Marching band e ballerini di lindy hop invadono strade e piazze di Torino. Si respira aria di festa: il Torino Jazz Festival è iniziato.
Ad aprirlo ufficialmente una produzione originale sul palco delle OGR (come già annunciato durante la conferenza stampa ) che intende rendere omaggio al jazz attraverso brani scelti da Natura morta con custodia di sax di Geoff Dyer, raccolta di storie romanzate di alcuni grandi jazzisti, ma anche saggio-critico sulla poetica del jazz. A leggere è Peppe Servillo (attore e cantante), accompagnato da una jazz band formata ad hoc per l’occasione con nomi di prestigio internazionale: il trombettista Flavio Boltro, Emanuele Cisi al sax tenore e Helga Plankensteiner al sax baritono, il pianista Dado Moroni, Ares Tavolazzi al contrabbasso e Enzo Zirilli alla batteria.
Foto di Alessia Sabetta
L’attore e i musicisti entrano in scena pronti a suonare quando, dal fondo della sala, partono le note blue di un sassofono che richiamano “Sophisticated Lady” di Duke Ellington e spiazzano il pubblico: il sassofono che sentiamo è quello di Helga Plankesteiner, che per tutto lo spettacolo apparirà in punti diversi della sala, facendo da intermezzo alla narrazione dei musicisti sul palco. La serata vede alternarsi letture dal libro e alcuni degli standard più famosi del jazz, come “In a Sentimental Mood” o “Good Bye Pork Pie Hat”, (brano scritto dal contrabbassista Charles Mingus dedicato al sassofonista Lester Young dopo la sua morte) rivista in chiave soul, passando anche per un “Somewhere Over the Rainbow” capace di far fischiettare anche gli accompagnatori dei molti appassionati presenti, forse meno avvezzi alla musica jazz.
Sembra quasi un rituale liturgico: Servillo legge la Parola del Jazz, mentre i musicisti in piedi e immobili, con atteggiamento solenne, ascoltano le parabole dei grandi jazzisti del passato, per poi incarnarli in ogni standard con la partecipazione attiva dell’assemblea .
Foto di Alessia Sabetta
L’ultimo brano diventa una jam session per la personalità emergente di ogni musicista (nonostante l’audio non fosse dei migliori per un concerto di questo tipo). Il bis, invece, è una sorpresa per il pubblico: Peppe Servillo finalmente canta una canzone napoletana, “Presentimento” di Fausto Cigliano, accompagnato da Moroni. Nel farlo lascia il pubblico ammaliato e cullato dalla poesia di questa dedica. In conclusione: brani letti, standard suonati e soli di sax baritono risuonanti in platea, diventano pezzi sparsi di un puzzle. All’ascoltatore il compito di assemblarli.
A cura di Luca Lops
La webzine musicale del DAMS di Torino
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