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Whitemary in concerto all’Hiroshima Mon Amour

Nuovo progetto, nuovo disco, nuovo tour: tre elementi di un percorso che rinnova le stagioni musicali e il rapporto tra pubblico e artisti. Ma le strade si possono percorrere in modi diversi, come nel caso di Biancamaria Scoccia in arte Whitemary, che ha scelto l’elettronica quasi per vocazione, lasciando da parte il canto jazz. Dopo aver presentato il suo ultimo album New bianchini in varie esibizioni in solitaria sotto il titolo di New bianchini sound system, si presenta ora con una band, con un live che partendo dall’ultimo album sintetizza il suo intero percorso.

Foto di Alessia Sabetta

Siamo andati ad ascoltarla venerdì 24 gennaio all’Hiroshima Mon Amour, nella sua prima esibizione a Torino, davanti a un pubblico curioso e partecipe sin dal primo minuto. Sul palco troviamo tre sintetizzatori analogici al centro e due batterie ai lati, sullo sfondo un grande schermo che riporta il nome dell’artista in rosso. 

Foto di Alessia Sabetta

Entrano prima i musicisti Sergio Tentella (del duo Ephantides) e Davide Savarese, entrambi con un kilt marrone. Poi arriva Bianca, con in testa un cappellino e corna rosse, si avvicina al microfono e dà il via al concerto con “OH! MA DAI”. Così, pian piano, ci tira e ci trascina in un flusso denso, senza interruzioni, in un continuo cambio di luci da vero club techno, in cui si salta e si balla senza mai fermarsi.
La scaletta alterna brani dell’ultimo disco e del precedente Radio Whitemary. Vediamo la cantante spesso chinata sui synth, agitarsi nel buio, una silhouette in contrasto con lo schermo su cui scorrono video in loop, con i testi delle canzoni o artefatti generati e manipolati a partire dall’impulso vocale.
Non mancano momenti di pausa e dialogo col pubblico, in cui Bianca parla del valore di alcuni brani come “DITEDIME” e “MI DISP”, che prelude al rush finale. Proprio la seconda pausa incide molto sull’intero senso della performance. Il trio esce dal palco, mentre rimangono solo le ‘macchine’ a suonare. Sullo schermo nero vediamo una farfallina blu che gira intorno a un cerchio, iniziano a salire i battiti dei bassi, il pubblico tiene il ritmo, è l’orecchio umano che percepisce la transizione, l’ingresso in nuovo vortice, in uno spazio diverso, alternativo e vertiginoso.
Il finale è emozionante ed esplosivo, con “Ti dirò” che chiude in maniera esemplare un concerto folle… ma senza troppa folla. Un peccato: chi non c’era non sa cosa si è perso. Whitemary abbraccia il pubblico, adesso siamo tutti un po’ amici, tutti un po’ “bianchini”. Lei che crea tutto da sola insieme ai suoi synth adesso si inchina di spalle e ribadisce il carattere ludico dello stare insieme agli altri, in modo libero e spontaneo.

It’s interesting and I think it’s also what

the human ear picks up

Quite a lot of electronic music which

is just made with presets like

a machine and it have like ninety-nine pieces

You’re not really doing anything

(estratto da “Presets / Doing anything”)

A cura di Alessandro Camiolo

I Selton all’Hiroshima Mon Amour: la giusta dose di divertimento, serietà e intimità

Grazie ai Selton l’Hiroshima Mon Amour la sera di giovedì 23 gennaio ha visto il suo palco animarsi, a partire dagli schermi colorati di verde neon fino al grande entusiasmo del pubblico, che dalla prima nota non ha mai smesso di ballare.

Mentre il gruppo italo-brasiliano sale sul palco e si prepara a suonare, una voce registrata parla di Barcellona, luogo magico in cui i membri si sono conosciuti nel lontano 2005. Ramiro Levy, Daniel Plentz ed Eduardo Stein Dechtiar, dopo aver passato un anno a suonare cover dei Beatles, sono stati scoperti da un produttore italiano di MTV, e la loro carriera è iniziata ufficialmente a Milano con il disco Banana à Milanesa.

Foto di Alessia Sabetta.

La prima cosa a colpire è la disposizione del palco: creando una simmetria, Ramiro e Eduardo sono ai due lati; in centro una batteria doppia, suonata da una parte da Daniel, e dall’altra dalla talentuosa Giulia Formica, che sta accompagnando il gruppo durante questo tour, insieme alla tastierista Daniela Mornati. L’introduzione strumentale ci trasporta subito nel mondo dei Selton: ritmi energetici, melodie pop e una grande sintonia.

Tra italiano, portoghese, inglese e spagnolo, vengono suonate molte canzoni dell’ultimo album GRINGO Vol.1, ma anche vecchi successi, tra cui alcune delle diverse collaborazioni con artisti italiani e non, come “Karma Sutra” (con Margherita Vicario) e “Estate” (con Priestess). Il pubblico, tra chi conosce tutti i pezzi a memoria, e chi può cantare solo i ritornelli più celebri, rimane ugualmente contagiato dai ritmi brasiliani e le sonorità dal pop, passando per l’indie fino al rock: a ballare sono proprio tutti.

Foto di Alessia Sabetta.

Un momento degno di nota è quello di “Calamaro Gigante”, che spezza la leggerezza della serata per aprire una parentesi più seria. Si tratta di un breve monologo scritto dal punto di vista di un mostro marino, che maestosamente tocca l’argomento delicato e tragico dell’immigrazione, ma più in generale parla di natura umana, riuscendo a essere politico il giusto senza cadere in banalità poco originali.

Il momento serio non lascia però l’amaro in bocca, almeno non fino alla fine del concerto, perché i Selton hanno una grande capacità di muoversi fra i sentimenti più disparati in modo fluido e funzionale. Torna un momento danzante, seguito da “Smoking Too Much”, la ballad che conclude l’ultimo album, registrata ad Abbey Road, come a chiudere il cerchio aperto agli inizi della storia del gruppo. Una vera perla.

Foto di Alessia Sabetta.

E quando ci sembra di aver già visto tutto, il palco si svuota e il pubblico viene diviso, formando uno spazio vuoto in centro alla sala. Velocemente compaiono degli sgabelli posizionati in cerchio. I musicisti ci salgono sopra con i loro strumenti, ed eseguono ancora due pezzi. L’atmosfera si fa ancora più intima di prima, ora le persone si guardano in faccia.

I Selton sono una chicca della musica italiana, che ha già fatto tanto ma lascia comunque l’impressione di avere molto altro da offrire, qualche nuova influenza, un diverso sound, un’inaspettata collaborazione…

A cura di Enea Timossi 

I “Sentieri” che uniscono: Avital, Sollima, Tondo e Copia a Torino

Volendo racchiudere in poche parole il messaggio che il concerto Sentieri ha trasmesso, si potrebbe affermare che la musica, in fondo, è un rituale che unisce. E non parliamo di un rito noioso, ma di un rito che fa battere i cuori all’unisono, che ti trascina in un sentimento collettivo. Mercoledì 22 gennaio Unione Musicale ha portato sul palco del Conservatorio «Verdi» un quartetto straordinario di artisti, capitanato dall’eclettico Giovanni Sollima, che fa ritorno a Torino dopo il successo in Piazza San Carlo dei 100 Cellos, gruppo fondato dal violoncellista insieme a Enrico Melozzi. Con Sollima c’era Avi Avital, uno dei più importanti mandolinisti del panorama internazionale e il primo ad essere nominato ai Grammy Award per la musica classica. A completare il quartetto la voce autentica e naturale di Alessia Tondo, membro del Canzoniere Grecanico Salentino e, alla chitarra battente e alla tiorba, Giuseppe Copia specializzato in musica barocca e rinascimentale.

Foto di Luigi De Palma, da profilo Facebook di Unione Musicale.

Il concerto va oltre i confini, abbatte tutte le barriere: le tradizioni si fondono, la distinzione tra generi musicali viene meno e anche la nota ‘quarta parete’ che separa il palco dal pubblico viene demolita. Nessun muro, nessun limite, ciò che conta è l’armonia e la sintonia che nasce da un incontro sincero tra artisti, pubblico, musica, emozioni e tradizioni. I suoni si trasformano in narrazioni, emozioni, ed energia. Ogni strumento e ogni ‘voce’ si intrecciano alla perfezione dando vita ad una fusione unica di suoni e sensazioni che hanno coinvolto ogni singolo spettatore. I quattro musicisti con le loro individualità diventano un magico superorganismo.

Giovanni Sollima, con il suo violoncello, sfida ogni convenzione: sussurra e urla allo stesso tempo, trasmettendo una profondità emotiva evidente non solo all’orecchio ma anche agli occhi. Le sue mani, i suoi movimenti e le espressioni del viso mostrano un virtuoso del violoncello ma anche un narratore-attore di storie, emozioni e pensieri. Il mandolino di Avital, con i suoi virtuosismi e la sua delicatezza, conferisce al concerto una dolcezza sognante che si contrappone all’energia vitale emanata da Sollima, e allo stesso tempo la completa.

L’interazione con il pubblico nasce da un invito di Sollima a battere a tempo le mani. Il concerto procede e l’interazione diventa spontanea. Da spettatore a protagonista: il pubblico si trasforma in coro – sorprendentemente preciso e intonato –, diretto da Alessia Tondo che gratifica la platea dissipando malinconia e negatività. «Cacciala fore malinconia, cacciala fore è malattia» cantavamo tutti insieme, unendo le voci in un «rito del buon pensiero che funziona solo se viene cantato», un’occasione quindi da non sprecare!

Foto da cartella stampa di Unione Musicale.

Sentieri è stato un viaggio lungo le strade del cuore, dove ogni passo era un incontro, un racconto, una condivisione. È stato anche un viaggio nel tempo che ha attraversato diversi territori musicali, dal barocco di Scarlatti alla musica tradizionale sefardita, turca, macedone, salentina, fino ad arrivare alla contemporaneità con musiche di Sollima – padre e figlio – e di Tondo. Un dialogo intenso tra epoche e tradizioni apparentemente lontane ma sorprendentemente vicine. La Sonata n. 2 di Scarlatti, sebbene affondi le sue radici nel barocco, si è integrata perfettamente con la vitalità della “Pizzica di Aradeo” e la freschezza di “Sta Notte” di Alessia Tondo.
Le differenze culturali non sono mai un limite, sono nutrimento e arricchimento che permette alla musica di raggiungere le corde più profonde.

Se il pubblico si fosse alzato per ballare la tarantella, la sala del Conservatorio si sarebbe trasformata davvero in una meravigliosa festa senza fine. Le due ore e mezza di concerto sono volate via in un soffio grazie a una performance coinvolgente che nessuno voleva più smettere di ascoltare e guardare. Al termine del programma ufficiale, l’entusiasmo del pubblico ha spinto gli artisti a tornare sul palco per due bis: la “Pizzica di San Vito” come brano ‘sorpresa’ e la “Pizzica di Aradeo”, brano che pur essendo stato riproposto ha riscontrato lo stesso travolgente successo della prima esecuzione.

Foto da cartella stampa di Unione Musicale.

La sala, animata da un’energia inconsueta, ha visto un pubblico partecipativo ma allo stesso tempo completamente incantato, attratto da un magnete potentissimo. La domanda sorge spontanea: sarà stata anche la presenza di molti studenti del Conservatorio a fare la differenza? Forse è il segreto del fragore degli applausi: una generazione giovane, coinvolta e pronta a condividere un’esperienza che richiama i rituali dei concerti di musica pop-rock.

Un pubblico, insomma, che ha saputo cogliere l’invito al viaggio nascosto in ogni nota e ogni gesto di Sollima e del suo stupefacente quartetto.

A cura di Ottavia Salvadori

Cameristi Cromatici e Cardioteam: Concerto benefico dell’immacolata a Torino

L’occasione festosa a scopo benefico, proposta da Carlo Romano con l’Ensemble Cameristi Cromatici e dalla Cardioteam Foundation Onlus, ha regalato un viaggio musicale nel tempo: dall’eleganza del Barocco alle intense colonne sonore contemporanee.

L’Ensemble Cameristi Cromatici nasce nel 2017 dall’amicizia tra Carlo Romano, storico Primo oboe dell’Orchestra Sinfonica Nazionale RAI e per quarant’anni oboe solista preferito da Ennio Morricone, e Roberto Bacchini, organista e compositore. L’Ensemble, formato da strumentisti dell’Orchestra Sinfonica Nazionale RAI, ha generosamente prestato, senza risparmio di energie, la propria professionalità al progetto benefico nato dalla volontà del Maestro Romano di omaggiare la Cardioteam Foundation Onlus del Dr. Diena che dal 2008 è impegnata in screening gratuiti di prevenzione cardiovascolare effettuati con l’ausilio di ambulatori medici itineranti, camper e barca a vela, per piazze e porti italiani.

foto di Joy Santandrea

Un breve saluto di ringraziamento dai cardiochirurghi Marco Diena e Maria Teresa Spinnler dà il La al programma musicale, appositamente arrangiato da Roberto Bacchini e diretto da Carlo Romano, in un crescendo di emozioni arricchito con tre fuori programma.

La prima parte inizia con l’energia di Vivaldi con degli estratti dai movimenti delle Quattro Stagioni, prosegue con la poetica di Mozart, passando per la famosissima «Nessun dorma» di Puccini e l’intermezzo della Cavalleria Rusticana di Mascagni. Conclude il fuori programma il Waltzer n.2 di Šostakovič, eseguito dall’emozionata Spinnler, in versione violinista, accompagnata da Costantin Beschieru.

foto di Joy Santandrea

La seconda parte, aperta a sorpresa dal giovanissimo e applauditissimo talento del violoncello Daniel Beschieru, prosegue con la suite da Il Padrino di Nino Rota, la struggente colonna sonora di Schindler’s List di Williams, le note danzanti del valzer del film Il Gattopardo di Verdi arrangiato da Nino Rota, per arrivare al clou con una suite di brani tratti dai film con colonna sonora di Ennio Morricone. Toccando l’animo dell’ascoltatore con le splendide note di C’era una volta in America, passando dolcemente attraverso la bellezza di brani indimenticabili soprattutto per gli amanti della settima arte, si raggiunge l’acme con Gabriel’s Oboe: ascoltare Carlo Romano dal vivo nella famosissima esecuzione di questa iconica melodia è un attimo di puro raccoglimento.

foto di Joy Santandrea

Rispondendo alla standing ovation, Romano regala un ultimo fuori programma. In segno di personale gratitudine accenna un gesto sul cuore e, donando un liberatorio sorriso rivolto alla platea in gran parte formata da medici e loro collaboratori, propone col suo Ensemble il medley tratto dalle musiche di Nicola Piovani per il film La Vita è Bella. È impossibile non lasciarsi toccare l’animo da un messaggio di speranza e rinascita così potente, in cui gratitudine e passione si fondono per creare qualcosa di meraviglioso.

Carlo Romano, l’Ensemble Cameristi Cromatici, Medici e Collaboratori della Cardioteam Foundation onlus ci ricordano che il cuore non batte solo per vivere, ma anche per emozionarci.

a cura di Joy Santandrea

Un tuffo nel passato: Cisco all’Hiroshima

La serata del 5 dicembre all’Hiroshima Mon Amour sarà una di quelle che difficilmente potrà essere dimenticata. Una serata all’insegna del folk-rock, dell’energia, del divertimento, della ribellione, della pace, dei pugni alzati, dei racconti di vita e di un ritorno al passato che è tutt’altro che nostalgico: è un passato che risuona attuale e, a distanza di trent’anni, ancora vivo e vibrante. Il mondo è cambiato ma 1994 e 2024 sembrano essere più vicini di quanto si possa immaginare.

Ad aprire il concerto, un opening act del cantautore torinese Carlo Pestelli: sale sul palco con la sua chitarra e incanta il pubblico alternando brani da lui composti, a brani storici del Cantacronache – come “Dove vola l’avvoltoio”, scritto da Calvino. La sua interpretazione è un gioco tra parole e musica: divertita, recitata, con una melodia controintuitiva che rivela le influenze di Amodei e Brassens. Una voce, quella di Pestelli, che rientra perfettamente nello stile del Cantacronache.
Per concludere e creare un “ponte” con l’attesissimo concerto di StefanoCisco” Bellotti, Pestelli suona «una canzone tutt’altro che datata»: “Oltre il ponte” scritta da Calvino e musicata da Liberovici e che tanti artisti, tra cui proprio Cisco, hanno portato sul palco.

Foto di Ottavia Salvadori

Con un doppio appuntamento – 5 e 6 dicembre 2024 – Cisco e alcuni ex membri dei MCR fanno tappa a Torino con il tour invernale Riportando tutto a casa (live!) 30 anni dopo.
Un filo rosso unisce Cisco ai Modena City Ramblers e difficilmente questo legame si può spezzare. Nel 30° anniversario dall’uscita del primo album d’esordio, Cisco riunisce alcuni ex MCR per riproporre quel disco che ha aperto la strada al combat folk-rock. Un tuffo nel passato fatto di sorrisi, complicità e musica che non conosce età. Insieme a Cisco, sul palco alcuni storici amici-musicisti: Alberto Cottica (fisarmonica), Marco Michelini (violino), Giovanni Rubbiani (chitarra), Massimo Giuntini (bouzouki,  uilleann pipes, low whistle), Roberto Zeno (percussioni), Arcangelo “Kaba” Cavazzuti (batteria e chitarra) a cui si aggiungono «i pischelli che non ci potevano essere»: Enrico Pasini (tromba, tastiere) e Bruno Bonarrigo (basso).

Foto di Ottavia Salvadori

Salgono sul palco, accolti da una tempesta di applausi, sulle note di “Mo Ghile Mear”, intro perfetta alla canzone “In un giorno di pioggia”. Una dolce ed energica dichiarazione d’amore per l’Irlanda che ha saputo subito risvegliare la voce e i movimenti del pubblico. Non c’è tempo da perdere: tutti a cantare a squarciagola, tutti a ballare con un entusiasmo e un sentimento che non conosce freni.
Ma è solo l’inizio di una serata che ha trasformato il concerto in un’esperienza condivisa, un “fare musica” che non conosce più confini. Palco e pubblico non sono più entità separate ma si fondono in un’unica grande energia che trasforma la sala dell’Hiroshima in un grande abbraccio caldo e familiare. Cisco si sporge verso il pubblico, lo coinvolge nel canto, lo fa ballare, battere le mani creando – come riesce sempre a fare – una connessione autentica. Ed è in serate come queste che l’imbarazzo sparisce, che la timidezza di qualcuno si dissolve: nessuno resta con i piedi ancorati a terra, tutti sollevati in salti e in movimenti liberi da ogni costrizione. Nessuna bocca serrata ma solo cuori che battono all’unisono su canzoni che raccontano, che hanno fatto la storia e che continueranno a farla. L’energia, il divertimento, la forza dei testi e della musica attraversano l’intera sala dell’Hiroshima travolgendo ogni angolo.

Foto di Ottavia Salvadori

Si balla, sì, ma la malinconia e la drammaticità di alcune storie si fa sentire: “Ebano”, “Cento Passi”, “I funerali di Berlinguer” sono solo alcuni esempi di racconti di una realtà che sembra distante ma che è ancora tangibile. Niente effetti speciali – eccetto gli occhiali da vista di Cisco – e niente artifici, ma il palco si colora di rosso: una bandiera Arci con il volto di Berlinguer viene dapprima fatta sventolare da Cisco per poi essere utilizzata a mo’ di mantello diventando un elemento scenico di grande significato simbolico. Sul palco un gruppo di amici e artisti che fa ciò che ama con passione, entusiasmo e divertimento ma anche grande professionalità.

Foto di Ottavia Salvadori

Fortunatamente tra il pubblico «molte facce giovani» e questo è la dimostrazione che c’è un pubblico affezionato ma anche in evoluzione; e chissà… che la presenza di giovani ragazzi – purtroppo però mancano i giovanissimi – a concerti come questo non sia un primo passo verso il vero cambiamento…?

Un viaggio nel tempo – come lo definisce Cisco – ma con qualche salto nel presente con una canzone scritta recentemente e intitolata proprio come l’album d’esordio Riportando tutto a casa: una canzone malinconica che ripercorre il tempo passato. E a completare questo viaggio c’è “Siamo moltitudine” un inedito che «parla di noi, della nostra generazione, di quello che siamo e quello che siamo diventati (e come)».

Un po’ di emozione e nostalgia forse nell’aria c’è… ma queste sonorità e parole non moriranno mai, continueranno a sopravvivere con intensità nei cuori, nei corpi e nelle menti di ognuno.

A cura di Ottavia Salvadori

Le Nozze di Figaro: un inizio frizzante, giocoso ed emozionante per la stagione 24/25 del Teatro Regio

Cosa meglio di Le Nozze di Figaro per aprire la stagione 2024-2025 del Teatro Regio: un’opera giocosa, divertente e ricca di sfumature che incarna perfettamente il leitmotiv di questo cartellone. Una gioventù spensierata, umana, ironica che dà vita ad una vicenda turbinosa in cui l’amore e l’inganno diventano motori dell’azione.

Sul podio, il 21 novembre, per la sua prima direzione d’orchestra al Regio, Leonardo Sini: giovane direttore vincitore del Premio Assoluto nel Concorso «Maestro Solti» e il cui debutto professionale risale al 2019 a Budapest. L’approccio di Sini appare fresco: una direzione molto animata ma che mantiene un equilibrio perfetto tra l’esuberanza drammatica e la profondità dell’opera di Mozart.

Foto da cartella stampa Teatro Regio – Mattia Gaido

La regia di Emilio Sagi si è concentrata sulla fluidità narrativa, sfruttando scenografie semplici ma efficaci che hanno valorizzato l’intimità dei momenti più lirici e l’ironia delle situazioni comiche.
L’allestimento scenico è tradizionale ma con un tocco scenico davvero originale: durante l’ouverture, un sipario semitrasparente ha introdotto il pubblico alla storia in modo graduale, svelando scorci di vita quotidiana di Figaro e del castello prima che la scena si aprisse del tutto. Una scelta che non solo ha creato un effetto visivo affascinante, sfruttato anche successivamente in altri punti dell’opera per regalare l’effetto “vedo non vedo”, ma ha anche incarnato l’essenza del pensiero mozartiano, in cui lo spettatore si immerge in una “tranche de vie” già avviata, spiando un mondo già in movimento.
Una scenografia minimal, sui toni del grigio, ma sempre elegante e di grande efficacia espressiva. L’allestimento del Teatro Reale di Madrid, come affermato durante la conferenza stampa, era in completa armonia con il clima sivigliano settecentesco.

Gli interpreti sul palco sono stati degni di nota: Giulia Semenzato (Susanna) ha offerto una performance di grande musicalità e sensibilità drammatica; Ruzan Mantashyan (Contessa) ha emozionato con la sua voce calda e vellutata, particolarmente toccante nell’aria Dove sono; José Maria Lo Monaco, nel ruolo di Cherubino, ha saputo restituire la vivacità adolescenziale del personaggio e il turbamento d’amore in “Non so più, cosa son, cosa faccio”. Un cast che ha emozionato, fatto sorridere e ridere gli spettatori catapultandoli in una vicenda ricca di inseguimenti, di gag e di travestimenti: la recitazione dei cantanti e le scelte registiche hanno messo in luce alcuni aspetti tipici della commedia, enfatizzando quell’effetto “slapstick” basato sulla fisicità e il movimento.

Foto da cartella stampa Teatro Regio – Mattia Gaido

Tra gli episodi più vivaci e originali spicca il ballo con le nacchere, durante i festeggiamenti delle nozze, che aggiunge un tocco di colore e dinamismo all’opera. Ideato dalla coreografa Nuria Castejón, questo momento richiama l’atmosfera solare dell’Andalusia. Il ballo non solo arricchisce l’azione scenica, ma riesce in parte ad integrarsi nella scrittura musicale mozartiana.

L’opera ha ricevuto una calorosa accoglienza dal pubblico under 30, con applausi scroscianti per il cast e la direzione musicale. Questo allestimento rappresenta un esempio brillante di come un classico del repertorio operistico possa essere presentato anche ad un pubblico più giovane e contemporaneo senza perdere la sua essenza.

Foto da cartella stampa Teatro Regio – Mattia Gaido

Le nozze di Figaro resterà in cartellone fino al 1° dicembre 2024, un’occasione imperdibile per gli amanti di Mozart, della Musica e del Divertimento… la maiuscola è dovuta!

A cura di Joy Santandrea e Ottavia Salvadori

Holden a Hiroshima Mon Amour: la tappa torinese del tour prima della chiusura 

Con un sold out a poche ore dal concerto, una schiera di fan in attesa dalle 7.30 del mattino e numerosi genitori in veste di accompagnatori relegati al fondo della sala, Holden (nome d’arte di Joseph Carta) è stato accolto a Hiroshima Mon Amour, dove il 26 novembre ha avuto luogo la terzultima data del suo tour. 

Holden esordisce nel 2019, con la pubblicazione del suo primo EP Il giovane Holden (come omaggio al libro da cui si è fatto ispirare nella scelta del nome d’arte), riesce a farsi più spazio nel panorama musicale con la partecipazione ad Amici 23 dove, nonostante le numerose controversie con Rudy Zerbi e la minaccia di lasciare la scuola, non solo pubblica ben quattro singoli, ma accede anche alla finale. 

Baggy Jeans neri, t-shirt nera e scarpe bianche: è salito così sul palco torinese, accompagnato da Simone Ndiaye (basso), Steven Viol (batteria), Ilaria Boba Ciampolini (tastiere) e Federico Ciancabilla (chitarra).

foto di Alessia Sabetta

Il live è durato un’ora, senza la pretesa di prolungarsi oltre il necessario: alcuni brevissimi interventi introduttivi a qualche brano, numerosissimi daje urlati per caricarsi e rimarcare la sua provenienza romanissima e una breve uscita dal palco prima dello special, sono stati gli unici momenti in cui non ha cantato. Per il resto del tempo, i brani in scaletta sono stati sviscerati con l’emozione dell’artista che − nonostante le diverse già diverse date del tour − ha lasciato trasparire l’emozione di trovarsi in quel posto circondato dall’amore genuino di coloro che si trovavano in sala. 

Il concerto è stato scandito da diversi momenti: dopo l’apertura energica con “roma milano.”, brani come “Ossidiana” e “Cadiamo insieme” hanno preceduto il momento più intimo della serata, quando accompagnandosi alla tastiera ha eseguito un mashup tra “Bella d’estate” di Mango e la sua “Non fa per me”; per poi cantare “Grandine”, uscito solo poche settimane fa, in featuring con Mew (sua compagna nella scuola di Amici), e infine chiudere con un’altra esecuzione di “Grandine” e “Nuvola” per lo special.

foto di Alessia Sabetta

È sempre bello vedere artisti che non bruciano nessuna tappa prima di ritrovarsi in enormi palazzetti senza avere l’esperienza giusta (o l’attitudine) per poter reggere i numeri dell’industria musicale contemporanea. Holden ne è un piacevole esempio: nonostante il successo ottenuto in modo rapidissimo con Amici, è partito da piccoli instore e ora sta facendo il primo tour nei club italiani con diversi sold out, senza l’esigenza di palchi più grandi su cui esibirsi fin da subito.

Si sente la ricerca nella scrittura ed è anche molto preparato tecnicamente (si, visti i tempi risulta necessario far notare quando un cantante è intonato!), però − vuoi l’emozione, vuoi che si tratta del suo primo tour − la presenza scenica risulta ancora un po’ acerba, seppur con un ampissimo margine di miglioramento all’orizzonte. D’altra parte a seguirlo è Marta Donà (la stessa manager di Angelina Mango e Marco Mengoni, tra i vari nomi) che di certo ne saprà trarre la linfa, come ha già fatto in passato con altri!

a cura di Alessia Sabetta

Le Nozze di Figaro aprono la stagione del Teatro Regio

Il 18 novembre si è tenuta la conferenza stampa che ha annunciato l’inaugurazione della stagione 2024/25 del Teatro Regio di Torino con Le Nozze di Figaro di Wolfgang Amadeus Mozart. Un appuntamento che, oltre a svelare i dettagli della produzione, ha raccontato la vivacità di una città in fermento e l’energia di un progetto artistico ambizioso.

Un grande momento per Torino

Il sindaco ha aperto l’incontro con parole entusiaste, ricordando come Torino stia vivendo una settimana straordinaria. Con i 200 anni del Museo Egizio, il Torino Film Festival, l’Assemblea Nazionale dei Comuni Italiani e perfino la partita Italia-Nuova Zelanda, la città è un palcoscenico vivo e pulsante. «Questa produzione di altissimo livello – ha sottolineato – non poteva arrivare in un momento migliore per la nostra comunità».

Non sono mancati i ringraziamenti a chi rende possibile tutto questo: lo staff, gli artisti e i partner, tra cui Italgas, che sostiene il progetto.

Foto di Joy Santandrea

La meglio gioventù sulle note di Mozart

Il direttore artistico ha spiegato il filo conduttore della stagione, “La meglio gioventù” e come Le Nozze di Figaro possano aprire perfettamente questo percorso. «Gli interpreti di questa produzione – ha raccontato – sono giovani e talentuosi. Anche il direttore d’orchestra, pur promettente, debutta sia con quest’opera che sul palco del Regio».

Una curiosità in più: l’allestimento arriva dal Teatro Reale di Madrid ed è alla sua prima rappresentazione italiana. La regia, firmata da Emilio Sagi, restituisce pienamente l’atmosfera solare e vivace della Siviglia di Mozart, spesso trascurata in altre produzioni.

Parole dal cuore degli artisti

L’emozione è stata palpabile anche nelle parole del direttore d’orchestra, Leonardo Sini, che ha descritto l’opera come «un gioiello di freschezza e vivacità». Con un doppio cast pronto a salire sul palco, ha confessato di puntare a trasmettere l’energia della musica al pubblico in sala.

Gli interpreti, uno dopo l’altro, hanno dato vita ai personaggi già durante la conferenza. Figaro è stato descritto come un personaggio energico e a tratti ingenuo, ma con una freschezza senza tempo. Cherubino, invece, incarna la gioventù stessa: un paggio in equilibrio tra spensieratezza e scoperta dell’amore. Susanna? Una donna pratica e moderna, con una profondità umana che la rende sorprendentemente attuale. E il Conte, il cui conflitto interiore riflette la difficoltà di accettare il passare del tempo, si muove tra gelosie, tentazioni e un desiderio di redenzione sincero.

Foto di Joy Santandrea

Un’opera contemporanea e senza giudizio

Il sovrintendente, Mathieu Jouvin, ha definito Le Nozze di Figaro un paradosso senza tempo, capace di esplorare i rapporti generazionali e umani senza mai giudicarli. «Mozart – ha spiegato – riesce a mettere in scena i sentimenti e le dinamiche umane in modo universale, lasciando che sia lo spettatore a trarre le proprie conclusioni». È questa capacità di analizzare l’animo umano con leggerezza e profondità insieme che rende l’opera sempre attuale.

Un’energia che unisce

La conferenza si è conclusa con un messaggio di unità e collaborazione.
«Il Regio – ha detto – è un simbolo di eccellenza per Torino, un faro culturale che ci unisce tutti».

E con questa premessa, la stagione 2024/25 è pronta a partire, promettendo di regalare al pubblico emozioni indimenticabili.

A cura di Joy Santandrea e Ottavia Salvadori

Le sfumature dell’amore: orchestra e coro dell’Opéra de Lyon

Che cosa, se non l’amore, ha il potere di elevare l’animo umano verso paradisi incontaminati, dove il tempo si sospende e la realtà diventa sogno? L’amore, con le sue gioie e sofferenze, è da sempre musa ispiratrice dei compositori di ogni epoca e, il 14 settembre 2024, MiTo Settembre Musica ha scelto questo sentimento come filo conduttore della serata, proponendo un viaggio sonoro e immaginifico. Un doppio concerto, all’Auditorium Giovanni Agnelli, che vedeva come protagonista – e artefice della scoperta delle più sottili sfumature sonore ed emotive – l’orchestra dell’Opéra de Lyon diretta da Daniele Rustioni, interprete acclamato dai principali teatri d’opera internazionali.

Foto di Ottavia Salvadori

Cina e Francia (in prima serata) e Grecia (in seconda serata) sono i luoghi da cui provengono le tre storie che stimolano la creatività dei compositori, i cui brani sono stati eseguiti magistralmente e con un’intensità emotiva che spinge verso i limiti dell’immaginazione.

La leggenda cinese del dio del cielo e della dea delle nuvole, narrata nel poema sinfonico Les eaux célestes da Camille Pépin, è una storia d’amore dipinta in quattro piccoli, ma intensi, quadri: i primi movimenti armoniosi degli archi, sembrano subito aprire una porta che fa accedere ad un mondo incantato e naturale. Un tappeto sonoro tessuto da archi e fiati dapprima è caratterizzato da suoni impalpabili e sfumati che fanno emergere progressivamente le note acute dei flauti traversi e, infine, si trasforma in un movimento meccanico, vorticoso, con note reiterate. Scelta musicale che ha radici dirette nella leggenda: un preannuncio all’arrivo degli uccelli, gli unici che attraverso la costruzione di un ponte permetteranno ai due amanti di ritrovarsi e la rappresentazione sonora dell’orditura e tessitura delle nuvole.
Un brano caratterizzato da un climax sonoro crescente che segue l’andamento della storia. La tensione cresce, la densità sonora aumenta, gli archi si fanno più agitati, i colori sembrano sempre oscillare tra scuri e limpidi, dando l’impressione che il mondo fantastico sia sempre un posto felice, sicuro e tranquillo anche nel momento del dolore.

Foto di Ottavia Salvadori

Di tutt’altro colore è il poema sinfonico di Schönberg, più oscuro e malinconico. Pelleas und Melisande è una storia d’amore tragica, un dramma che ha stimolato diversi compositori, tra cui Debussy che ne trae un’opera lirica e lo stesso Schönberg che, al contrario, propone un poema sinfonico per orchestra, lasciando spazio ai soli strumenti di rappresentare i sentimenti e il tormento d’amore che porta alla morte. Un giovane compositore, Schönberg, che ancora non ha sviluppato a pieno le tecniche dodecafoniche, ma che crea un’opera intensa e complessa, dove i suoni si intrecciano e scontrano.
Il palco si riempie di strumenti, l’organico si amplia soprattutto nella sezione dei fiati con tromboni, trombe, corni inglesi, clarinetto basso, oboi, fagotti e molti altri.
Alle orecchie del pubblico, l’opera appare come una narrazione fluida che attraversa diversi stati emotivi passando dalla calma melodica – ma sempre incerta – a momenti di massima tensione tragica con cambi rapidi di intensità e motivi dissonanti ricchi di passaggi contrappuntistici. Ogni personaggio sembra avere il suo tratto caratteristico e questo porta ad un continuo mescolamento di motivi differenti per atmosfera e nuance.

Il pubblico, curioso di riascoltare nuovamente l’orchestra, non si è lasciato sfuggire l’opportunità di assistere anche al secondo concerto in programma. Dopo un momento di convivialità, tra cibo e bevande, è il momento di tornare nel luogo dove tutto ha avuto inizio: la sala dell’auditorium che ha rivisto occupate tutte le sue sedute.
Procede dunque la serata; questa volta sul palco anche il coro dell’Opéra de Lyon, composto da una quarantina di elementi, per eseguire Daphnis et Chloe di Ravel: “sinfonia coreografica” – come la definisce lo stessocompositore – che accompagna il pubblico attraverso la storia tragica, ma a lieto fine, del pastore Dafni e della sua amata Cloe.
L’orchestra amplia nuovamente il suo organico con la macchina del vento e nuovi strumenti a percussione, tra cui xilofono e campanelli. Violoncelli prima, e arpe poi catapultano nuovamente il pubblico in un mondo onirico, con note in pppp quasi impercettibili;si aggiungono poi i corni che introducono la linea melodica, proseguita dal flauto traverso. Una melodia intima e serena, ma che porta con sé sin dall’inizio un velo di inquietudine che viene ulteriormente giustificato dalla presenza del coro. La voce, che dà vita ad un canto senza parole, è utilizzata come un vero e proprio strumento musicale che si amalgama e intreccia con l’orchestra. La tensione man mano cresce, così come l’intensità dei suoni che riverberano nella sala arrivando a toccare le corde più intime di ciascuno. La partitura, soprattutto nel secondo quadro, prevede un continuo alternarsi di momenti di calma spirituale a momenti tragici ed energici e la continua mutazione dei temi rende la composizione ricca e mai noiosa.

Foto di Ottavia Salvadori

Daniele Rustioni ha diretto in maniera straordinaria l’orchestra; l’intensità emotiva dei brani non solo si poteva fruire con le orecchie ma anche con gli occhi: i movimenti del direttore, l’energia e la passione espressa dal suo volto hanno dimostrato quanto la musica riesca ad entrare e toccare l’animo di ciascuno. L’orchestra di Lione, così come il coro, è riuscita perfettamente a trasmettere la dolcezza e la tragicità dei brani e i sentimenti, modulando i suoni con grande maestria ma risultando sempre delicati anche nei momenti più intensi.

Due concerti che hanno trasformato la sala dell’auditorium in un teatro d’opera o, per gli appassionati di film, in una sala cinema: uno spettacolo senza immagini e senza attori ma con una musica che è capace di creare reazioni sinestetiche di grande potenza.

A cura di Ottavia Salvadori

Edoardo Bennato a Bard per Aostaclassica

Aostaclassica inaugura il mese di agosto al Forte di Bard, affascinante nella sua versione serale, con la carica di energia che da sempre Edoardo Bennato trasmette al suo pubblico. Oltre due ore di performance ininterrotta di un musicista, cantautore e polistrumentista le cui canzoni sono parte della storia della musica italiana. L’irriverente intelligenza che lo contraddistingue è al servizio di messaggi mai scontati, sempre attuali, presentati sagacemente per captare l’attenzione in modo ludico su tematiche sociali importanti.

Bennato, indossando la storica maglia Campi Flegrei 55, apre il concerto enunciando: «Coltivate i dubbi, non barrichiamoci nelle nostre certezze!». Accompagnandosi con l’immancabile chitarra, l’armonica a bocca e il kazoo da l’input al pubblico con una serie di evergreen: “Abbi dubbi”, “Sono solo canzonette”, “Il gatto e la volpe” tra le altre. 

foto di Joy Santandrea

Nel crescente entusiasmo salgono sul palco anche gli altri musicisti della band che dimostrano la loro grande professionalità spaziando nei generi musicali, rock in primis, e in assoli o improvvisazioni che energicamente incantano e coinvolgono il pubblico. La bravura emerge in particolare nel brano intitolato “A Napoli 55 è ‘a Musica”, ispirandosi alla smorfia napoletana. Con un linguaggio poetico e diretto Bennato dipinge un ritratto affettuoso e realistico della sua Napoli catturandone l’anima, la vitalità e le sue contraddizioni. Il tutto narrando l’infanzia a Bagnoli e il suo percorso professionale diviso tra gli studi di Architettura a Milano e l’amore per la Musica ancor’oggi condiviso con gli amici del cortile. Si diverte quando, con aria scanzonata, sollecita il pubblico a canzonarlo e additarlo ironicamente come “Rinnegato, sei un rinnegato. Non ti conosciamo più!” o “Tu sei un, ah ah, cantautore” sottolineando la risata sarcastica «ah ah!». 

Immancabile la sua dichiarazione d’amore al genio di Collodi: “Fata”, dedicata alla condizione di molte donne, “Mangiafuoco”, rock satirico e pungente verso i politici di ogni schieramento. Brani sempre attuali nei contenuti che vengono affiancati da new entry quali “Mastro Geppetto” col suo divertente videoclip.

foto di Joy Santandrea

Non può certo mancare il suo taglio critico e provocatorio: da amante dell’opera buffa di Rossini ha riarrangiato in modo rock l’aria “La calunnia è un venticello” dal Barbiere di Siviglia, in un brano dedicato allo scandalo di Enzo Tortora e alla grande Mia Martini. Data questa ‘tirata d’orecchie’, qualche brano dopo, dedica al popolo italiano un ‘dissacrante’ elogio in “Italiani”, canzone meglio conosciuta come “Dicono di noi” mentre, a fondo palco, il visual scorre splendide fotografie di personaggi che hanno valorizzato in ogni campo il Belpaese.

Un’attenzione particolare è rivolta ai temi della guerra e dei migranti. Riferendosi a tutte le guerre nel mondo canta: “A cosa serve la guerra”, col ritmo di walzer scelto proprio per la sua inutile circolarità, o la ballata acustica alla Bob Dylan di “Pronti a salpare”. Entrambe le canzoni, accompagnate con screen di scene intense, sono tra i momenti più toccanti. Riprendendo coi classici “Venderò”, “In prigione”, “Le ragazze fanno grandi sogni”, proseguendo poi coi brani ispirati a Peter Pan, “L’isola che non c’è” e “Il rock del Capitan Uncino”, esalta il suo pubblico intergenerazionale. 

La carica vitale, provocatoria e reazionaria di Bennato, l’ottima organizzazione/performance visuale, un’illuminotecnica di alto livello e la professionalità musicale degli strumentisti hanno reso energetico e indimenticabile questo concerto. Lo sfondo storico del Forte, la scritta Aostaclassica che capeggia a fondo palco e il rock-swing-blues di Bennato: un mix esperienziale travolgente.

a cura di Joy Santandrea