Questa autrice fa parte della generazione che ha iniziato a vedere Sanremo poco prima che scoppiasse la pandemia da covid-19 e che ha continuato un po’ per abitudine, un po’ perché fra zone rosse/gialle/arancioni non si poteva fare granché, un po’ perché Amadeus e Fiorello alimentavano il trash di edizione in edizione ed era divertente aspettare di vedere fin dove si sarebbero spinti.
La selezione musicale era diventata quasi un’appendice, una piccola postilla in fondo alla pagina di cui ogni tanto qualcuno si ricordava, senza mai prestarci troppa attenzione perché tanto c’era altro da guardare. D’altronde si sa, Sanremo è anche – e soprattutto – intrattenimento, e va bene se qualcuno cerca di renderlo più “attuale”, l’importante è che per gli over 50 ci sia sempre una Giorgia o una Bertè o un Ranieri da poter appoggiare incondizionatamente contro tutti gli altri.
E poi? Che succede quando spogli l’intrattenimento dall’intrattenimento? Quando rimangono solo le canzoni, i volti, le parole? Che succede se ci sono 29 brani in gara ma te ne ricordi giusto tre perché gli altri sembrano uno il prolungamento dell’altro? Su cosa sposti allora la tua attenzione? …Siamo tutti d’accordo che la conduzione di Carlo Conti non sia la risposta giusta.
In un calderone musicale governato dai soliti, cari, vecchi autori – Federica Abbate, Davide Petrella, Davide Simonetta, Jacopo Ettorre –, l’originalità sembra essere stata sostituita dal diktat basta che sia orecchiabile. Niente da dire a riguardo, la maggior parte di questi brani li sentiremo per tutta l’estate e li canteremo in macchina, in spiaggia, sotto la doccia. Manca però una cosa a mio parere fondamentale: l’eredità.
Le canzoni devono essere libere di viaggiare. Devono essere associate a ricordi brutti e ricordi belli. Devono farti venire la pelle d’oca e riflettere e farti piangere. Soprattutto, devono poter passare di generazione in generazione. È questo che rende la musica – e più in generale l’arte – eterna. Senza eternità rimane una progressione di accordi poco pensati, la bozza di un autore annoiato.
Il festival di Sanremo è tante cose. Lo è sempre stato, d’altronde. Sanremo è politica, moda, commedia, pubblicità. Peccato che abbia perso il suo aspetto più importante, il suo sottotitolo: la canzone italiana.
Peppe Vessicchio in un’intervista diceva che Sanremo è diventato ormai il festival dei cantanti, e forse sarebbe il caso di cambiare dicitura.
La conferenza stampa tenutasi questa mattina inizia con le parole del direttore artistico, nonché conduttore, Carlo Conti, il quale annuncia che stasera al suo fianco, per l’apertura, ci sarà Roberto Benigni.
Dopo questa notizia Marcello Ciannamea, il Direttore Intrattenimento Prime Time Rai, condivide gli ottimi risultati della sera precedente con 10,7 Mln di ascolti medi e il 59,8% di share, un successo visto l’incremento di 1 Mln di ascoltatori rispetto lo scorso anno.
Successivamente, il sindaco Alessandro Mager ringrazia le forze dell’ordine per il lavoro che stanno svolgendo per permettere la totale sicurezza dei cittadini e, Marco Bocci, Presidente della Regione, conferma la sua presenza sul palco dell’Ariston per la consegna del Premio Liguria per la migliore cover.
Claudio Fasulo, responsabile Rai, espone il programma della serata, il quale prevede la presenza di ben 144 artisti sul palco, tra cui la performance di Paolo Kessisoglu con la figlia e l’esibizione di Benji e Fede sul palco Suzuki: insomma, si prospetta un grande spettacolo.
È presente anche Settembre, il vincitore di Sanremo Giovani, a cui viene consegnato il Premio alla Critica e il Premio Critica Sala Stampa Lucio Dalla. Il cantante coglie l’occasione per ribadire la forte stima che nutre per Alex Wyse, finalista con lui, ed esprime una forte gratitudine per la vittoria conseguita.
Viene poi lasciata la parola alla coppia dei due co-conduttori Geppi Cucciari e Mahmood accomunati non solo dalla provenienza geografica ma anche dalle affinità elettive. Entrambi si augurano il meglio per questa serata: Geppi lo fa con il suo solito sarcasmo mentre Mahmood con il suo ottimismo.
Tra le domande viene chiesta una delucidazione riguardo al perchè la collana sia stata negata a Tony Effe: i responsabili precisano che è stato necessario non far salire sul palco il cantante con il gioiello, in quanto una norma contenuta nel regolamento del festival prevede il totale divieto da parte degli artisti di esibire dei marchi.
Risoltasi tale questione, le domande successive ruotano tutte attorno al ruolo che Geppi Cucciari ha intenzione di ricoprire sul palco dell’Ariston, dove la tv viene intesa come spazio di evasione dalla realtà. L’attrice risponde sempre con la massima eleganza affermando che «ogni giorno ci sono piccole/grandi battaglie da combattere » ma ci tiene ad evidenziare che mostrerà rispetto nei confronti delle decisioni prese dal direttore artistico.
Una cosa è certa: sono state create alte aspettative per questa serata e noi ci auguriamo che non vengano deluse.
Se inizialmente la conferenza stampa del giorno 13 febbraio comincia con toni allegri e discorsi che preannunciano la terza serata del festival, l’atmosfera cambia radicalmente di lì a poco a causa di domande spinose su questioni come la corruzione del televoto.
In un primo momento viene annunciato il dono di uno speciale braccialetto floreale per la serata di San Valentino (quella di venerdì) composto di ranuncoli rossi per le personalità femminili di Sanremo, soprattutto per le giornaliste del Festival.
Vengono poi comunicati i record numerici della seconda serata: gli ascolti medi ammontano a 11.8 milioni, con il 64,6% di condivisioni. La maggioranza del pubblico appare essere quella dei giovani, con picchi di share verso le ore 00.30 da parte della fascia di età 15-24 anni.
Per quanto riguarda i social, la seconda serata ha visto un aumento delle views del +96% rispetto allo scorso anno. Viene confermato che il coinvolgimento è aumentato grazie alla presenza di Bianca Balti e Damiano David.
Gli ospiti della terza serata saranno il cast della serie televisiva Mare Fuori, i membri del Teatro Patologico e i Duran Duran. Quest’ultimi oltre ad esibirsi riceveranno anche un premio alla carriera.
Grande attesa per la finale delle Nuove Proposte dove sono in gara Alex Wyse con “Rockstar” e Settembre con “Vertebre”.
Si crea molto sgomento in sala stampa. Vengono chieste spiegazioni sul rapporto tra il concorrente Fedez e Luca Lucci (il capo degli ultras del Milan arrestato recentemente per spaccio di droga), ma Conti interviene subito spiegando di non essere un giudice, bensì un conduttore televisivo che si avvale della presunzione di innocenza.
La conferenza continua con domande di natura polemica sui conteggi finali dei voti. Molti giornalisti si sono chiesti: se il nostro voto vale il 33%, quanto inciderà sul calcolo finale?
Conti allora tenta di placare gli animi spiegando che quella percentuale è da aggiungere a un altro 33%, che sarà quello delle radio, arrivando al 66% del totale, con una rimanenza del 34% che spetterà al televoto.
Proseguono le domande, questa volta indirizzate a Miriam Leone, perlopiù inerenti al suo nuovo progetto televisivo: la serie TV Miss Fallaci, ispirata alla vita della giornalista Oriana Fallaci. L’attrice risponde che, proprio come la protagonista che interpreta, anche lei è piena di sfaccettature poiché le donne non sono definibili con un unico aggettivo o non possono essere inserite in un’unica categoria. Parla inoltre delle difficoltà incontrate nel portare sullo schermo tematiche forti come l’aborto.
I quesiti finali sono di natura più leggera: viene domandato a Katia Follesa quale sia il suo metodo per mantenere la calma sul palcoscenico, dal momento che in sala stampa appare molto tranquilla. La comica risponde di essere molto estasiata all’idea di portare sketch comici e di improvvisazione sul palco dell’Ariston all’età di quasi cinquant’anni. La sua arma più vincente è senz’altro l’autoironia.
A Elettra Lamborghini viene invece domandato che cosa ne pensi di canzoni con testi di natura spinta, come ad esempio il brano di Tony Effe, definito da molti «di cattivo gusto». Risponde che non bisognerebbe nascondere alcun tipo di parola o linguaggio nelle canzoni poiché in qualsiasi altro medium, ad esempio i videogiochi violenti o i film dell’orrore, appaiono elementi volgari o anti convenzionali.
Carlo Conti, essendo il 13 febbraio la giornata internazionale della radio, onora la figura di Guglielmo Marconi per la sua invenzione e per l’impatto che essa ha tutt’ora nelle vite degli esseri umani. Gli viene inoltre consegnato, da parte dell’emittente radiofonica “Radio Esercito” un attestato onorifico per il suo giuramento di fedeltà alla Repubblica italiana.
Vi è grande fermento per la terza serata del 75º festival di Sanremo, con personalità femminili forti a condurre e ospiti musicali di eccezione, come i Duran Duran che suoneranno assieme a Victoria De Angelis dei Måneskin.
Con tamburi e tamburelli siciliani Alessio Bondì fa il suo ingresso all’Off Topic, attraversando il pubblico per arrivare sul palco e dare inizio a quello che si è rivelato essere un viaggio nella tradizione sicula. È così che il cantautore palermitano classe ’88 dà inizio al concerto che presenta il suo ultimo album Runnegghiè: opera che sintetizza la ricerca di Bondì, insieme al produttore Fabio Rizzo, sul folklore della sua isola.
Il lavoro sui ritmi della tradizione viene esplicitato in primis dalla strumentazione utilizzata, soprattutto per la presenza di una chitarra a dieci corde e di una batteria “scomposta”, che mette insieme elementi moderni – come un pad elettronico – e percussioni “inventate” e ricavate da materiali poveri. Ciò che rimane una costante della musica di Bondì è invece l’utilizzo del dialetto, fattore identitario che non lo abbandona neanche nelle interazioni con il pubblico. Forse richiamare l’attenzione del pubblico usando il palermitano incute più timore? Risulta più autorevole? Ottima scelta comunque.
Tornando al nostro viaggio, possiamo trovare momenti più allegri e di festa che si contrappongono ovviamente a momenti più riflessivi. Brani come “Satarè”, “Santa Malatia”, “Wild rosalia” o “Vucciria” hanno la potenza di trasformare l’Off topic nelle strade di Palermo e portare tutti, sia i grandi che i bambini presenti, a ballare e a saltare in mezzo a quella che diventa Piazza Sant’Anna. Da questi momenti di divertimento e spensieratezza, si passa ad una dimensione di raccoglimento quasi rituale, con il solo accompagnamento della chitarra acustica e a volte di un sintetizzatore vocale. Da “Taddarita” a “Cascino”, brani che fanno riferimento a storie e filastrocche della tradizione, passando anche da pezzi più vecchi come “Rimmilluru’ voti” e “200 voti” si crea un momento di grande emotività.
Il concerto si conclude poi nello stesso modo in cui è iniziato: Bondì insieme agli altri componenti della band – Fabio Rizzo alla chitarra, Donato Di trapani alla tastiera e Carmelo Graceffa alle percussioni- attraversa, con tamburi e tamburelli siciliani, il parterre fino ad arrivare alla regia dei fonici. Questa volta però a cantare «semu na cosa sula» («siamo una cosa sola», per i nordici più incalliti) si è tutti, perché quello che questo concerto e che Alessio Bondì sono riusciti a fare è stato proprio di unire, a prescindere dalla provenienza. Nessuna bandiera linguistica in questo rituale di appartenenza.
Il DJ britannico Daddy G, membro fondatore della band Massive Attack, torna in Italia per una fresca serata all’insegna della creatività e dell’elettronica alle OGR – Officine Grandi Riparazioni di Torino, il 1° febbraio 2025.
Quella di Daddy G è stata la seconda delle tre speciali giornate chiamate Performing Celebration, dal 31 gennaio al 2 febbraio, che prevedevano la possibilità di assistere ad installazioni, laboratori, arti performative e svariati dj set.
La serata è stata aperta dai Fire A/V Show, un gruppo di ambient elettronica italiano attivo da parecchi anni, approdato su Spotify nel 2023. Il gruppo collabora spesso con Adrian Sherwood, produttore britannico specializzato nel genere dub.
I Fire sono riusciti a coinvolgere il pubblico, già in grande fermento, trasportandolo in un viaggio sensoriale grazie ai loro brani che si rifanno alla natura, ai suoni del fuoco e della pioggia e a sonorità tribali.
Al termine del loro set, anche Grant Daddy G Marshall si è unito alla folla.
Una volta salito sul palco, ha riscaldato la sala con brani molto famosi in inediti remix, come ad esempio la canzone “Paradise Circus” dell’album Heligoland.
Nella prima metà della serata il musicista è sembrato quasi annoiato, poiché il suo atteggiamento è apparso molto distaccato da quello del pubblico. Nella seconda parte del concerto, è riuscito a trasmettere messaggi importanti attraverso le sue canzoni, scegliendo accuratamente ogni suono, ogni percussione e utilizzando la console come una vera e propria tela bianca.
Alla fine, lo show ingrana, le canzoni si velocizzano e anche chi non ha una conoscenza approfondita del genere dell’elettronica o della musica dei Massive Attack si diverte e viene voglia di approfondire meglio la loro discografia.
La maestria di Daddy G è stata quella di distogliere l’attenzione da lui, nonostante fosse il protagonista del palcoscenico, per far socializzare i suoi fan gli uni con gli altri.
I Post Nebbia, che stanno acquisendo sempre più importanza nella scena contemporanea italiana, ci hanno regalato una serata emozionante all’Hiroshima Mon Amour di Torino il 30 gennaio 2025.
Ad aprire il concerto Gaia Morelli, che sale sul palco in duo. Unica pecca, forse, è stata quella di non presentare sé stessa al pubblico, lasciandolo un po’ confuso, non comprendendo chi si stesse esibendo.
Nonostante le sonorità indie, adatte alla Gen-Z, forse Gaia non è stata in grado di scaldare il pubblico al meglio, lasciandolo in un’atmosfera vagamente spenta.
Dopo una breve pausa, entrano in scena, con visual evocative e distopiche, i tanto attesi Post Nebbia, accolti calorosamente. Cominciano con i brani del loro nuovo album, Pista Nera, nell’ordine in cui si presentano nel disco. I loro suoni, che li rendono eredi italiani di Tame Impala (one man band rock-psichedelica australiana), sono in grado di immergere i propri fan in un bagno psichedelico, surreale e visionario, facendo rivivere un sogno di un’infanzia anni 2000.
Un breve problema tecnico alla batteria fa interrompere per poco la loro esibizione, la quale riprende con un animato coro dei fan, che motivano il batterista, con complimenti e fischi. Simpatico l’intervento del cantante, che richiede un pacco di fazzoletti al pubblico per soffiarsi il naso. Inaspettati i poghi che partono su molteplici canzoni, ma apprezzatissimi, poiché manifestazione di un senso di appartenenza a questo genere musicale.
Una volta conclusi i pezzi della loro ultima uscita, abbracciano simbolicamente il pubblico, riportandoci in un safe-place, con “Cuore Semplice”: brano che trascina in un viaggio etereo.
Ogni elemento di questo live sembra alterare l’ordine spazio-tempo, permettendo di buttarsi a capofitto nell’esperienza e nella vibe della band, che spero Torino potrà ri-accogliere presto.
In programma dal 28 gennaio al 5 febbraio 2025, il Teatro Regio di Torino ospiterà L’elisir d’amore di Gaetano Donizetti in un nuovo allestimento firmato da Daniele Menghini.
L’opera, su libretto di Felice Romani, debuttò a Milano nel 1832. Nemorino, un giovane contadino, tenta di conquistare Adina, la donna amata, con l’aiuto di un elisir d’amore in realtà vino rosso venduto dal ciarlatano Dulcamara. Dopo una serie di equivoci e peripezie, l’amore sincero di Nemorino e la gelosia di Adina trionfano.
Con la regia di Menghini si ha qualcosa in più. Il riflesso del mondo del protagonista è quello dei burattini: Menghini trasforma Nemorino in un Geppetto contemporaneo che, fragile e sensibile, si rifugia in un mondo di marionette. La sua ricerca d’amore vero è raccontata come una fiaba. Nemorino costruisce un “mondo di legno” in cui tutti i personaggi sono scolpiti dalla sua immaginazione, divenendo demiurgo della sua storia, passando però dall’essere libero burattinaio a succube della storia che sta creando. Con l’integrazione di questo pensiero, il plot dell’opera diventa più approfondito. Un approccio che esplora la fragilità e il sogno giovanile. Il cast vede Valerio Borgioni nel ruolo di Nemorino, Enkelada Kamani come Adina, Lodovico Filippi Ravizza nel ruolo del sergente Belcore e Simone Alberghini interpreta Dulcamara.
Affascinante e suggestiva. Come si imparerà seguendo la vicenda, si sono cercate forti connessioni tra Pinocchiodi Collodi e l’opera di Donizetti.
Foto da cartella stampa del Teatro Regio di Torino.
Ecco che comincia l’ouverture e già si vede qualcosa di diverso dal “tradizionale”. Mentre Fabrizio Maria Carminati dirige l’orchestra, Nemorino fa il suo ingresso dalla platea. Vestito in maniera contemporanea, con giaccone e felpa rossa, si dirige verso il palco e si prepara a lavorare sul burattino di Adina. I costumi per il coro di burattini sono ben pensati. Rimandano a manichini di legno con vestiti d’epoca creando un forte distacco iniziale tra protagonista e chi lo circonda. Inoltre anche la recitazione degli attori-burattini non è lasciata al caso, ricordando proprio i movimenti dei pupi.
Sul palco, oltre agli attori in carne ed ossa, ci sono anche protagonisti in legno e tessuto. In più punti dell’opera compaiono vere marionette e burattini mossi dagli attori; recitano affiancando il personaggio che rappresentano, come per Dulcamara e la sua marionetta nell’aria “Voglio dire, lo stupendo elisir”. Oppure sono usate per raccontare visivamente le storie che vengono citate: come quella di Isotta o nel momento della “Barcaruola a due voci”. La presenza di due tessuti teatrali in scena ci rende spettatori di un teatro nel teatro. A fornire questi “attori” d’eccezione è stata la storica famiglia di burattinai Grilli.
La scenografia è visivamente semplice, ma ben studiata. Una falegnameria con un palco di burattini da piazza: con ciocchi di legno, pezzi di marionette e… un mini frigo. Scenografia che in qualche modo si trasformerà seguendo il percorso del protagonista.
Foto da cartella stampa del Teatro Regio di Torino.
L’apparizione di Dulcamara, nella Scena II dell’Atto I, ha subito un richiamo, per costumi ed atteggiamento, alla figura di Mangiafuoco. Durante l’aria “Udite, udite, o rustici”, dà prova di ciò, ammaliando la folla di attori-burattini. Già il personaggio nella versione originale grazie al suo carisma ingannevole, fa riflettere lo spettatore sulla fragilità di credere a soluzioni facili; il fatto che i suoi “spettatori”, in questa versione, siano burattini, aumenta la percezione della manipolazione. Il personaggio del ciarlatano “comico” di Dulcamara si trasforma così in una critica sociale.
L’unione con i personaggi della fiaba di Collodi diventa sempre più chiara quando, alla fine del primo Atto, emerge, da una bara, portata sul palco da due conigli in abito nero, proprio il burattino di Pinocchio, che durante le danze quasi tribali degli attori-burattino, viene smontato e privato del cuore. Ora Nemorino viene vestito proprio con il costume che caratterizza il personaggio collodiano: cappello a cono e naso lungo. Il burattinaio è diventato burattino.
Il momento più sospirato dell’opera è stata l’aria “Una furtiva lagrima” di Nemorino, dove Valerio Borgioni ha saputo regalarci una commistione di leggerezza e introspezione. Se prima il palcoscenico era spartito su più vicende e personaggi, ora c’è solo lui e tutti ci raccogliamo attorno a quel ragazzo diventato soldato che canta d’amore. Una scenografia svuotata, mangiata dalle termiti… lui in piedi sul bancone da falegname, sotto a una grande mano che tiene i fili di Nemorino ormai burattino.
L’inizio e la fine dell’opera sono speculari. Non solo per il ritorno del protagonista alla sua soggettività: l’amore vero lo sveste dai panni di soldato e lo riveste con il suo giaccone e felpa rossa. Ma anche riprendendo l’espediente scenico dell’ouverture: scende dal palco per uscire dalla platea assieme alla sua amata Adina.
Con un cast che ha particolarmente superato le già alte aspettative e una regia che ha saputo dare una nuova “mano di vernice” all’opera donizettiana, come forse allusivamente richiamato dai gesti dei burattini in alcune scene, l’anteprima giovani è stata ben recepita dal pubblico. Una geniale rilettura ricompensata con sonanti applausi conclusivi e decisamente apprezzata anche da chi si sarebbe aspettato qualcosa di più tradizionale.
Nuovo progetto, nuovo disco, nuovo tour: tre elementi di un percorso che rinnova le stagioni musicali e il rapporto tra pubblico e artisti. Ma le strade si possono percorrere in modi diversi, come nel caso di Biancamaria Scoccia in arte Whitemary, che ha scelto l’elettronica quasi per vocazione, lasciando da parte il canto jazz. Dopo aver presentato il suo ultimo album New bianchini in varie esibizioni in solitaria sotto il titolo di New bianchini sound system, si presenta ora con una band, con un live che partendo dall’ultimo album sintetizza il suo intero percorso.
Foto di Alessia Sabetta
Siamo andati ad ascoltarla venerdì 24 gennaio all’Hiroshima Mon Amour, nella sua prima esibizione a Torino, davanti a un pubblico curioso e partecipe sin dal primo minuto. Sul palco troviamo tre sintetizzatori analogici al centro e due batterie ai lati, sullo sfondo un grande schermo che riporta il nome dell’artista in rosso.
Foto di Alessia Sabetta
Entrano prima i musicisti Sergio Tentella (del duo Ephantides) e Davide Savarese, entrambi con un kilt marrone. Poi arriva Bianca, con in testa un cappellino e corna rosse, si avvicina al microfono e dà il via al concerto con “OH! MADAI”. Così, pian piano, ci tira e ci trascina in un flusso denso, senza interruzioni, in un continuo cambio di luci da vero club techno, in cui si salta e si balla senza mai fermarsi. La scaletta alterna brani dell’ultimo disco e del precedente Radio Whitemary. Vediamo la cantante spesso chinata sui synth, agitarsi nel buio, una silhouette in contrasto con lo schermo su cui scorrono video in loop, con i testi delle canzoni o artefatti generati e manipolati a partire dall’impulso vocale. Non mancano momenti di pausa e dialogo col pubblico, in cui Bianca parla del valore di alcuni brani come “DITEDIME” e “MI DISP”, che prelude al rush finale. Proprio la seconda pausa incide molto sull’intero senso della performance. Il trio esce dal palco, mentre rimangono solo le ‘macchine’ a suonare. Sullo schermo nero vediamo una farfallina blu che gira intorno a un cerchio, iniziano a salire i battiti dei bassi, il pubblico tiene il ritmo, è l’orecchio umano che percepisce la transizione, l’ingresso in nuovo vortice, in uno spazio diverso, alternativo e vertiginoso. Il finale è emozionante ed esplosivo, con “Ti dirò” che chiude in maniera esemplare un concerto folle… ma senza troppa folla. Un peccato: chi non c’era non sa cosa si è perso. Whitemary abbraccia il pubblico, adesso siamo tutti un po’ amici, tutti un po’ “bianchini”. Lei che crea tutto da sola insieme ai suoi synth adesso si inchina di spalle e ribadisce il carattere ludico dello stare insieme agli altri, in modo libero e spontaneo.
Grazie ai Selton l’Hiroshima Mon Amour la sera di giovedì 23 gennaio ha visto il suo palco animarsi, a partire dagli schermi colorati di verde neon fino al grande entusiasmo del pubblico, che dalla prima nota non ha mai smesso di ballare.
Mentre il gruppo italo-brasiliano sale sul palco e si prepara a suonare, una voce registrata parla di Barcellona, luogo magico in cui i membri si sono conosciuti nel lontano 2005. Ramiro Levy, Daniel Plentz ed Eduardo Stein Dechtiar, dopo aver passato un anno a suonare cover dei Beatles, sono stati scoperti da un produttore italiano di MTV, e la loro carriera è iniziata ufficialmente a Milano con il disco Bananaà Milanesa.
Foto di Alessia Sabetta.
La prima cosa a colpire è la disposizione del palco: creando una simmetria, Ramiro e Eduardo sono ai due lati; in centro una batteria doppia, suonata da una parte da Daniel, e dall’altra dalla talentuosa Giulia Formica, che sta accompagnando il gruppo durante questo tour, insieme alla tastierista Daniela Mornati. L’introduzione strumentale ci trasporta subito nel mondo dei Selton: ritmi energetici, melodie pop e una grande sintonia.
Tra italiano, portoghese, inglese e spagnolo, vengono suonate molte canzoni dell’ultimo album GRINGO Vol.1, ma anche vecchi successi, tra cui alcune delle diverse collaborazioni con artisti italiani e non, come “Karma Sutra” (con Margherita Vicario) e “Estate” (con Priestess). Il pubblico, tra chi conosce tutti i pezzi a memoria, e chi può cantare solo i ritornelli più celebri, rimane ugualmente contagiato dai ritmi brasiliani e le sonorità dal pop, passando per l’indie fino al rock: a ballare sono proprio tutti.
Foto di Alessia Sabetta.
Un momento degno di nota è quello di “Calamaro Gigante”, che spezza la leggerezza della serata per aprire una parentesi più seria. Si tratta di un breve monologo scritto dal punto di vista di un mostro marino, che maestosamente tocca l’argomento delicato e tragico dell’immigrazione, ma più in generale parla di natura umana, riuscendo a essere politico il giusto senza cadere in banalità poco originali.
Il momento serio non lascia però l’amaro in bocca, almeno non fino alla fine del concerto, perché i Selton hanno una grande capacità di muoversi fra i sentimenti più disparati in modo fluido e funzionale. Torna un momento danzante, seguito da “Smoking Too Much”, la ballad che conclude l’ultimo album, registrata ad Abbey Road, come a chiudere il cerchio aperto agli inizi della storia del gruppo. Una vera perla.
Foto di Alessia Sabetta.
E quando ci sembra di aver già visto tutto, il palco si svuota e il pubblico viene diviso, formando uno spazio vuoto in centro alla sala. Velocemente compaiono degli sgabelli posizionati in cerchio. I musicisti ci salgono sopra con i loro strumenti, ed eseguono ancora due pezzi. L’atmosfera si fa ancora più intima di prima, ora le persone si guardano in faccia.
I Selton sono una chicca della musica italiana, che ha già fatto tanto ma lascia comunque l’impressione di avere molto altro da offrire, qualche nuova influenza, un diverso sound, un’inaspettata collaborazione…
Volendo racchiudere in poche parole il messaggio che il concerto Sentieri ha trasmesso, si potrebbe affermare che la musica, in fondo, è un rituale che unisce. E non parliamo di un rito noioso, ma di un rito che fa battere i cuori all’unisono, che ti trascina in un sentimento collettivo. Mercoledì 22 gennaio Unione Musicale ha portato sul palco del Conservatorio «Verdi» un quartetto straordinario di artisti, capitanato dall’eclettico Giovanni Sollima, che fa ritorno a Torino dopo il successo in Piazza San Carlo dei 100 Cellos, gruppo fondato dal violoncellista insieme a Enrico Melozzi. Con Sollima c’era Avi Avital, uno dei più importanti mandolinisti del panorama internazionale e il primo ad essere nominato ai Grammy Award per la musica classica. A completare il quartetto la voce autentica e naturale di Alessia Tondo, membro del Canzoniere Grecanico Salentino e, alla chitarra battente e alla tiorba, Giuseppe Copia specializzato in musica barocca e rinascimentale.
Foto di Luigi De Palma, da profilo Facebook di Unione Musicale.
Il concerto va oltre i confini, abbatte tutte le barriere: le tradizioni si fondono, la distinzione tra generi musicali viene meno e anche la nota ‘quarta parete’ che separa il palco dal pubblico viene demolita. Nessun muro, nessun limite, ciò che conta è l’armonia e la sintonia che nasce da un incontro sincero tra artisti, pubblico, musica, emozioni e tradizioni. I suoni si trasformano in narrazioni, emozioni, ed energia. Ogni strumento e ogni ‘voce’ si intrecciano alla perfezione dando vita ad una fusione unica di suoni e sensazioni che hanno coinvolto ogni singolo spettatore. I quattro musicisti con le loro individualità diventano un magico superorganismo.
Giovanni Sollima, con il suo violoncello, sfida ogni convenzione: sussurra e urla allo stesso tempo, trasmettendo una profondità emotiva evidente non solo all’orecchio ma anche agli occhi. Le sue mani, i suoi movimenti e le espressioni del viso mostrano un virtuoso del violoncello ma anche un narratore-attore di storie, emozioni e pensieri. Il mandolino di Avital, con i suoi virtuosismi e la sua delicatezza, conferisce al concerto una dolcezza sognante che si contrappone all’energia vitale emanata da Sollima, e allo stesso tempo la completa.
L’interazione con il pubblico nasce da un invito di Sollima a battere a tempo le mani. Il concerto procede e l’interazione diventa spontanea. Da spettatore a protagonista: il pubblico si trasforma in coro – sorprendentemente preciso e intonato –, diretto da Alessia Tondo che gratifica la platea dissipando malinconia e negatività. «Cacciala fore malinconia, cacciala fore è malattia» cantavamo tutti insieme, unendo le voci in un «rito del buon pensiero che funziona solo se viene cantato», un’occasione quindi da non sprecare!
Foto da cartella stampa di Unione Musicale.
Sentieri è stato un viaggio lungo le strade del cuore, dove ogni passo era un incontro, un racconto, una condivisione. È stato anche un viaggio nel tempo che ha attraversato diversi territori musicali, dal barocco di Scarlatti alla musica tradizionale sefardita, turca, macedone, salentina, fino ad arrivare alla contemporaneità con musiche di Sollima – padre e figlio – e di Tondo. Un dialogo intenso tra epoche e tradizioni apparentemente lontane ma sorprendentemente vicine. La Sonata n. 2 di Scarlatti, sebbene affondi le sue radici nel barocco, si è integrata perfettamente con la vitalità della “Pizzica di Aradeo” e la freschezza di “Sta Notte” di Alessia Tondo. Le differenze culturali non sono mai un limite, sono nutrimento e arricchimento che permette alla musica di raggiungere le corde più profonde.
Se il pubblico si fosse alzato per ballare la tarantella, la sala del Conservatorio si sarebbe trasformata davvero in una meravigliosa festa senza fine. Le due ore e mezza di concerto sono volate via in un soffio grazie a una performance coinvolgente che nessuno voleva più smettere di ascoltare e guardare. Al termine del programma ufficiale, l’entusiasmo del pubblico ha spinto gli artisti a tornare sul palco per due bis: la “Pizzica di San Vito” come brano ‘sorpresa’ e la “Pizzica di Aradeo”, brano che pur essendo stato riproposto ha riscontrato lo stesso travolgente successo della prima esecuzione.
Foto da cartella stampa di Unione Musicale.
La sala, animata da un’energia inconsueta, ha visto un pubblico partecipativo ma allo stesso tempo completamente incantato, attratto da un magnete potentissimo. La domanda sorge spontanea: sarà stata anche la presenza di molti studenti del Conservatorio a fare la differenza? Forse è il segreto del fragore degli applausi: una generazione giovane, coinvolta e pronta a condividere un’esperienza che richiama i rituali dei concerti di musica pop-rock.
Un pubblico, insomma, che ha saputo cogliere l’invito al viaggio nascosto in ogni nota e ogni gesto di Sollima e del suo stupefacente quartetto.
A cura di Ottavia Salvadori
La webzine musicale del DAMS di Torino
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