Si conclude sabato 10 giugno, il ciclo “Anteprima giovani” del Teatro Regio con la messa in scena di Madama Butterfly. Lo spettacolo, con la regia di Damiano Michieletto e Dmitri Jurowski alla direzione d’orchestra e coro, è stato firmato dal regista stesso per il teatro torinese nel 2010 e questa è la terza ripresa dopo quelle del 2012 e del 2014.
Madama Butterfly è l’eterna dicotomia tra la globalizzazione americana contro un Oriente che prova a tenere strette le proprie tradizioni; è una storia struggente di una donna (in questo caso ancora una bambina) sedotta e abbandonata; potrebbe essere uno dei numerosi casi di turismo sessuale (minorile) che continuano a verificarsi nella società odierna. Però Madama Butterfly, prima di ogni cosa, è un’opera in tre atti composta all’inizio del ‘900 da Giacomo Puccini, su libretto di Giuseppe Giacosa e Luigi Illica. E il fatto che continui ad essere ancora così contemporanea fa riflettere.
Dalla cartella stampa del Teatro Regio (ph Andrea Macchia)
Niente abiti tradizionali o la consueta, idilliaca ambientazione ottocentesca: il pubblico è catapultato di fronte a una metropoli asiatica come tante, con cartelloni pubblicitari, insegne al neon, food truck, vestiti moderni e una lussuosissima macchina bianca − al posto della nave − che sta ad indicare lo status symbol di Pinkerton (Matteo Lippi nei suoi panni). Non una tipica casa di legno giapponese con il tatami e le porte scorrevoli, ma una teca in plexiglass − proprio come quelle in cui si tengono le farfalle − piena di peluche e giocattoli, ma anche «pochi oggetti da donna…» che Cio Cio San (per l’occasione interpretata da Barno Ismatullaeva) chiede il permesso al neo-marito di possedere. Anche questi a simboleggiare una dicotomia di una bambina chiamata a crescere troppo in fretta, forse senza neanche volerlo davvero e la donna che sarebbe potuta diventare. E infatti, dopo tre anni in cui è persa nella sua ingenuità, è costretta ad avere la sua metamorfosi (da bambina a donna), in una notte sola, quando, finalmente consapevole di quello che le è successo, si punta una pistola alla tempia −anche in questo caso, non un pugnale, non un coltello, ma una pistola − e pone fine alle sue sofferenze.
dalla cartella stampa del Teatro Regio (Ph Andrea Macchia)
Il tutto è svuotato da qualsiasi sfumatura fiabesca o da quell’esotismo che ha sempre caratterizzato l’opera: la storia si svolge tra il completo cinismo di Pinkerton, che è solo avido di addentare la sua preda e la sua spietata moglie americana pronta a strappare il bene più prezioso di una madre (ovvero la creatura che ha messo al mondo); l’opportunismo di una donna che vende una figlia in cambio di becero denaro; l’indifferenza degli altri protagonisti tra cui Sharpless (Damiano Salerno) di fronte alla realtà dei fatti. Un girotondo intorno ad una Butterfly che, purtroppo ancora oggi, impersona la storia di tante altre farfalle a cui sono state spezzate le ali.
Gli attori sono perfettamente calati nei loro ruoli: coinvolgenti e persuasivi rendono la drammaticità del racconto che, anche grazie alla loro interpretazione, arriva ancora di più agli spettatori in sala. La scelta dell’ambientazione non convenzionale (così come per Il Flauto Magico), esempio di grande coraggio da parte di un regista già conosciuto per il suo spirito provocatorio, viene premiata dal pubblico che, alla fine della rappresentazione, scoppia in un forte e caloroso applauso. Soprattutto, in questo modo, è più facile leggere la vicenda in chiave contemporanea e capire che non è una storia poi così lontana dalla nostra quotidianità. E questo è importante.
La nuova Stagione del Teatro Regio ha compiuto il passo prefissato nella precedente: “Amour Toujours” è il titolo della produzione 2023/2024, dedicata in particolar modo a Giacomo Puccini, per festeggiarne il centenario. A spiegare il perché di questa scelta e a presentare le quattordici opere della Stagione, ci hanno pensato nella mattinata del 7 giugno il sindaco Stefano Lo Russo, il sovrintendente MathieuJouvin e il nuovo direttore artistico Cristiano Sandri, protagonisti della conferenza tenutasi nel Foyer del Toro.
Dal 21 settembre 2023 al 4 luglio 2024 il Teatro Regio ospiterà allestimenti importanti – otto sono i nuovi – ma vedrà anche il ritorno di interpreti che abbiamo già conosciuto durante la Stagione 2022/2023, (come Mariangela Sicilia, Donna Elvira e Riccardo Zanellato, Il Commendatore, dal Don Giovanni). Altro grande ritorno sul palcoscenico del Regio, questa volta con Un ballo in maschera, sarà anche quello del direttore Riccardo Muti. A fianco di titoli già conosciuti, come La bohème (con il contributo di Reale Mutua), ci saranno quelli più ‘di nicchia’, come La rondine (con il sostegno di Italgas; direttore d’orchestra Francesco Lanzillotta, già presente alla Norma nella scorsa stagione), e persino prime esecuzioni a Torino – con Un mari à la porte, di Jacques Offenbach (operetta in un atto) – e in Italia – con The tender Land, di Aaron Copland (opera in tre atti). Entrambi gli allestimenti saranno presentati in lingua originale, così come lo sarà anche Der fliegende Holländer (L’Olandese volante), di Richard Wagner.
dalla Cartella Stampa del Teatro Regio, il nuovo logo
Il Regio non perde occasione di mantenere gli impegni presi nell’anno di piena pandemia da Covid-19, tanto che Mathieu Jouvin precisa che nella nuova Stagione sarà presente anche un titolo che doveva essere allestito in precedenza: Don Pasquale, di Gaetano Donizetti. Non manca lo sguardo rivolto al balletto: tra le produzioni anche La bella addormentata, di Marcia Haydeé – balletto in tre atti basato sulla fiaba di Perrault, con musica di Čajkovskij – che vedrà sul palco solisti e corpo di ballo del Balletto Nazionale di Praga; Don Chisciotte, su libretto di Marius Petipa – balletto in tre atti, tratto dall’omonimo libro di Cervantes –, con il corpo di ballo del Balletto dell’Opera di Kiev; e Le villi, su libretto di Ferdinando Fontana, a richiamare un’altra opera, Giselle. Ad aprire la stagione del balletto nel nuovo anno, però, sarà Roberto Bolle and Friends, a gennaio 2024.
La prima e l’ultima produzione sono, tuttavia, le più particolari: ad aprire la Stagione 2024 sarà La Juive (l’ebrea), di Halévy Scribe, con regia di Stefano Poda, già scritturato per Turandot nell’allestimento 2021/2022 – partner di quest’anno sarà Intesa San Paolo –, mentre a chiuderla sarà il trittico Il tabarro, Suor Angelica e Gianni Schicchi di Giacomo Puccini, a suggellare questo cartellone all’insegna dell’amore. Stagione che, come detto poc’anzi, si aprirà con un’opera francese, così come lo è il titolo della stessa: “Amour Toujours”, a riprendere – parole di Jouvin – la canzone di Gigi d’Agostino, il dj torinese che (paradossalmente) ha dato l’idea di un’unione tra due paesi, l’Italia e la Francia.
Il nuovo inizio del Teatro Regio è dimostrato anche dal logo che, in occasione del cinquantenario, coglie lo spunto per rinnovarsi. Infatti, il toro – che la faceva da padrone – ora condivide il posto con una musa, che a sua volta tiene una lira tra le mani come simbolo del legame tra la città di Torino e la musica. I tre elementi sembrano protrarsi in avanti, in una corsa verso il futuro, che richiama sempre e comunque al passato: il disegno è stato realizzato da Undesign Agency a partire da un bozzetto originale e inedito di Carlo Mollino, originariamente pensato per il pavimento del Teatro.
A completare la Stagione i concerti 2023/2024: dodici appuntamenti, otto con l’Orchestra, il Coro e il Coro di voci bianche del Teatro Regio e quattro con la Filarmonica TRT, che nel 2024 compirà vent’anni. Ad aprire la Stagione sarà il direttore russo Timur Zangiev; a seguire, salirà sul podio dell’orchestra Nathalie Stutzmann, per il concerto del 25 novembre. Il periodo pasquale vedrà protagonisti il Salve Regina e lo Stabat Mater, diretti da Claudio Fenoglio, e Vetrate di chiesa e Requiem (di Cherubini), diretti da Diego Ceretta. Agli appuntamenti con la Filarmonica TRT saranno presenti il direttore Felix Mildenberg, con la Sinfonia n. 4 di Gustav Mahler, Yutaka Sado, a dirigere la Sinfonia n. 4 di Anton Bruckner e la direttrice sudcoreana Kim Eun-sun, che si cimenterà con Johannes Brahms. Non mancherà nemmeno il consueto appuntamento con il cinema e le colonne sonore, affidate a Timothy Brock: in programma la proiezione con colonna sonora eseguita dal vivo di The Great Dictator, con regia di Charlie Chaplin.
Terzo appuntamento del Jazz is Dead, pomeriggio del 28 maggio: il clima decisamente instabile, fatto di rannuvolamenti e piogge passeggere, non scoraggia i presenti, accorsi all’evento gratuito per godersi l’ennesima giornata di musica. Teatro della kermesse, giunta ormai alla sesta edizione, è il Bunker; la line-up è molto variegata, in accordo con le giornate precedenti e lo spirito del festival (la tematica di quest’anno ragiona sull’identità: “Chi sei?”). Tantissimi gli artisti coinvolti, così come le proposte, i generi, addirittura gli strumenti che figurano sui diversi palchi. Insomma, ce n’è per tutti i gusti, come sottolinea nei suoi interventi il direttore artistico della rassegna, Alessandro Gambo.
Ad aprire le danze all’interno del tendone, primo di due scenari, è l’orchestra Pietra Tonale. Le temperature, elevate in quello che è uno spazio ristretto e stracolmo di gente, non impediscono di godersi lo spettacolo: l’ensemble porta in scena una musica che combina i suoni della tradizione orchestrale con la sperimentazione moderna e contemporanea. Grande enfasi sulla componente ritmica (le batterie sono ben due) e sulla genesi sonora, che culmina in momenti di notevole apertura melodica. L’esibizione è apprezzabile sia per l’originalità dei contenuti che per l’atmosfera creata, a un tempo raccolta e suggestiva, con la proiezione sullo sfondo di immagini vagamente psichedeliche.
Pietra Tonale. Foto: Amalia Fucarino
È dunque il turno del trio del trombettista Gabriele Mitelli, accompagnato dal contrabbassista John Edwards e dal batterista Mark Sanders. Sempre all’interno del tendone, il jazz eclettico dei musicisti incontra sonorità sintetiche ed elettroniche; da questa combinazione traspare la volontà precisa di esplorare, in senso letterale, ogni possibilità esecutiva offerta dalla strumentazione. E soprattutto, di divertirsi nel farlo. Piatti suonati con l’archetto, corde pizzicate sopra e sotto il ponticello, trombe stridenti e trasfigurate, voci solo accennate, quasi suggerite; tutto indirizza a una ricerca condotta sul suono, e lo sviluppo dei brani pare descrivere un vero e proprio flusso di coscienza, intrigante e imprevedibile.
Da sinistra: Gabriele Mitelli, John Edwards, Mark Sanders. Foto: Roberto Remondino
Ci spostiamo poi all’interno del club, ovvero lo spazio interno del Bunker, dove si esibisce Brandon Seabrook, chitarrista e banjoista americano, accompagnato da due musicisti d’eccezione quali il batterista Gerard Cleaver e il pianista e compositore Cooper-Moore. Quest’ultimo è impegnato con uno strumento molto particolare, ovvero il diddley bow, monocordo originario dell’Africa. Gli intrecci melodico-armonici, spesso rapidi e frenetici, sono i protagonisti assoluti dello show: ne risultano suoni singolari, talvolta aspri, insoliti, apprezzabili anche per il carattere sperimentale e improvvisativo. A farla da padrone sono la grana sonora – materica – delle corde e un dialogo musicale a dir poco acceso, soddisfacente da vedere e ascoltare.
Da sinistra: Cooper-Moore, Gerard Cleaver e Brandon Seabrook. Foto: Amalia Fucarino
I quarti artisti della serata sono i Moin, progetto musicale che vede la collaborazione tra la band londinese Raime e la batterista pugliese Valentina Magaletti. Con i Moin si entra in un terreno del tutto nuovo, lasciandosi alle spalle quasi ogni cenno del jazz finora suonato, così come di quello citato nel nome del festival: il marchio di fabbrica del complesso è un sound elettronico cupo, dove il sintetizzatore si unisce a chitarre distorte e a potenti riff di basso e batteria, con sembianze di matrice post-rock e post-punk. Interessante – anche un po’ inquietante – l’ingresso sul palco del gruppo, con alcune basi di voce registrata in loop; il prosieguo dell’esibizione sviluppa la scaletta sul suddetto mood, muovendo spesso verso un’atmosfera satura di suono e marcando uno stile definito, quasi ritagliato su misura.
Moin. Foto: Roberto Remondino
Ultimo gruppo in programma sono i giapponesi Boris, band attiva da più di trent’anni, che infiamma l’evento in modo definitivo. Protagonisti di una fusione musicale che accosta il metal a generi quali ambient, noise rock e hardcore punk, i musicisti esprimono da subito la loro natura di animali da palcoscenico. Il bassista e chitarrista Takeshi Ōtani sfoggia entrambi gli strumenti in uno, a doppio manico, il che già di per sé ruba la scena; dietro la batteria si staglia un grandioso gong, percosso spesso e volentieri dal batterista nella successione di ritmi serratissimi; il cantante, Atsuo Mizuno, si scatena senza soluzione di continuità, coinvolgendo il pubblico in modo costante e facendosi addirittura portare in trionfo dalla folla a più riprese. A completare la formazione è la chitarrista Wata, la quale si occupa anche delle tastiere, in particolare in “[not] Last Song”. Neanche a dirlo, i presenti si abbandonano a un folle pogo lungo tutta la durata del concerto, facendo sentire il loro entusiasmo specie in pezzi come “Question 1” oppure “Loveless”. Il climax giusto per chiudere la serata e la rassegna.
Boris.Foto: Amalia Fucarino
Il Jazz is Dead si conclude col botto, confermandosi un’importante realtà della scena torinese, aperta più che mai all’incontro tra generi differenti, alla ricerca e alla sperimentazione artistica, dal respiro e dalla portata a tutti gli effetti internazionale. Un appuntamento da non perdere, insomma, che fa dell’inclusione e dell’accessibilità i suoi punti di forza, suggellando il tutto con un’interessante selezione musicale.
Otto concerti, dall’8 al 22 luglio, un repertorio pensato per un pubblico differenziato messo a punto dal Direttore artistico Cristiano Sandri. Protagonisti l’Orchestra Teatro Regio Torino, i Solisti del Regio Ensemble e il Coro di voci bianche del Teatro Regio.
«È un clima positivo motivo di grande orgoglio quello che si respira al Teatro Regio» afferma il Sindaco Stefano Lo Russo in apertura di conferenza stampa il 26 maggio per la presentazione del programma. Dopo i ringraziamenti alla Direttrice dei Musei Reali di Torino Enrica Pagella, il Sovrintendente Mathieu Jouvin sottolinea il clima di accoglienza che caratterizza l’iniziativa. Oltre ai cittadini e ai turisti, l’attenzione sarà rivolta ai giovani con un biglietto ridotto dedicato agli Under30, proseguendo sull’onda di Anteprima Giovani progetto particolarmente riuscito in quest’ultima Stagione 2022-2023. Giovani sono anche i protagonisti scelti dal direttore artistico Cristiano Sandri, i Solisti del Regio Ensemble e il maestro Riccardo Bisatti, interpreti di un repertorio classico apprezzabile da un pubblico non necessariamente di specialisti.
Nella foto: Mathieu Jouvin, Stefano Lo Russo e Cristiano Sandri durante la presentazione a Palazzo Reale. Foto dal comunicato stampa del Teatro Regio.
Ad inaugurare l’evento una selezione di arie d’opera tratte dalla grande tradizione italiana dell’800, con un primo appuntamento previsto per sabato 8 luglio,e interpretato dalle voci dei Solisti del Regio Ensemble – Irina Bogdanova e Amélie Hois (soprani), Ksenia Chubunova (mezzo soprano), Lulama Taifasi (tenore) e Rocco Lia (basso) – accompagnati al pianoforte da Giannandrea Agnoletto. Domenica 9 luglio, condotti dal maestro Claudio Fenoglio, il Coro di Voci bianche e i Solisti del Regio Ensemble Irina Bogdanova (soprano) e Ksenia Chubunova (mezzo soprano) eseguiranno un repertorio di generi e stili diversi, passando da brani del passato a compositori contemporanei. Martedì 11 luglio dirige l’Orchestra del Regio Riccardo Bisatti, in un concerto interamente dedicato al repertorio mozartiano. Sabato 15 e domenica 16 due i protagonisti, Mozart e Schubert, eseguiti dall’Orchestra diretta sempre da Bisatti. Martedì 18 luglio sarà la volta dei Solisti del Regio Ensemble – Irina Bogdanova e Amélie Hois (soprani), Ksenia Chubunova (mezzosoprano), Lulama Taifasi (tenore) e Rocco Lia (basso) – accompagnati al pianoforte da Giulio Lugazzi, si cimenteranno con i compositori della tradizione mitteleuropea. In chiusura gli appuntamenti di giovedì 20 e sabato 22 luglio, con l’Overture da Le nozze di Figaro di Mozart, la Sinfonia in sol maggiore n.88 di Haydn e la Sinfonia n. 2 in re maggiore op. 36 di Beethoven. Sul podio ancora una volta Bisatti.
Sarà inoltre possibile per i possessori del biglietto accedere, a partire da un’ora prima dall’inizio dei concerti, al Giardino Ducale per godere di una passeggiata esclusiva in uno dei luoghi simbolo della città di Torino. Per consultare il programma completo e acquistare i biglietti: https://www.teatroregio.torino.it/passaggi-destate
La sinfonia è una forma musicale che ancora oggi può fornire spunti di ricerca e questo ce lo ha dimostrato Nicola Campogrande con la sua seconda sinfonia “Un mondo nuovo”. Opera dedicata all’Europa in tempi di guerra e composta nel 2022 per «dare una risposta musicale all’angoscia che attraversa in questi mesi il nostro continente».
Considerato uno dei compositori italiani più interessanti e importanti di oggi, Campogrande, vanta un corpus di opere alquanto vasto e diversificato pubblicato presso l’editore Breitkopf & Härtel; direttore artistico dell’Orchestra Filarmonica di Torino fra il 2005 ed il 2016, anno in cui ha assunto il ruolo di direttore artistico del festival MiTo Settembremusica, il compositore è ospite nella sua città natale, Torino, al Conservatorio «G. Verdi» il 14 marzo 2023 per il concerto “Argento” della stagione 2022-23 della OFT.
Ripercorrendo la storia della musica, la sua sinfonia è stata affiancata da musiche di Rossini e da Poulenc in un grande concerto che ha dimostrato ancora una volta le capacità dell’Orchestra Filarmonica di Torino diretta dal giovane direttore d’orchestra Alessandro Cadario: ex alunno del conservatorio G. Verdi di Torino, ha proseguito i suoi studi presso l’Accademia Musicale Chigiana di Siena. Direttore anche di moltissimi organici estremamente importanti fra cui l’Orchestra del Teatro Regio di Torino e l’Orchestra Filarmonica della Fenice, oggi ha potuto confrontarsi con i grandi del passato e con un compositore come Campogrande, voce rilevante dello scenario contemporaneo. Stefanie Irànyi, mezzosoprano diplomatasi a Monaco e ospite in importanti sale internazionali, ha affiancato l’orchestra nell’esecuzione della Sinfonia di Campogrande. Con grande maestria, ha incantato il pubblico trasportandolo in una dimensione immaginifica di un possibile futuro.
Stefanie Irànyi & Alessandro Cadario
Il compositore Campogrande presente in sala per ascoltare la sua opera, dopo essere stato intercettato da noi giovani inesperti, si è reso disponibile a rilasciare un’intervista:
Oltre ad essere un grande compositore di musica cameristica e sinfonica, ha composto musica anche per cinema e per il teatro. Quali sono le principali differenze nell’approccio a questi tipi di composizione?La grande differenza, per me, è che se scrivi musica applicata, ad esempio colonne sonore, invece che confrontarti con la storia della musica, hai qualcuno che dice ‘‘mi piace’’, il regista che dice cosa vuole.
Come si relaziona alla storia della musica e come integra gli spunti del passato?Io faccio un mestiere che per sua natura mi spinge ad aggiungere l’ultima tessera di un domino che è cominciato nel Medioevo, quando il canto gregoriano ha cominciato ad essere scritto. Lì è cominciata la Storia della Musica classica, prima noi non sappiamo niente, non la chiamiamo Musica classica perché non era scritta, quindi non abbiamo delle fonti. Nella Seconda Sinfonia non c’è nessuna matrice che io saprei riconoscere, non c’è nessun riferimento reale, però è ovvio che tutte le musiche per questo organico che ho amato o che conosco sono lì dietro le porte. Non lavoro mai dicendo ‘‘voglio farmi influenzare da…’’ o ‘‘traggo un passaggio da…’’. Io sono sempre l’ultimo ad accorgersi che dietro la mia musica ci sono delle tracce di musiche del passato.
Secondo lei perché può ancora avere senso scrivere sinfonie al giorno d’oggi nonostante il genere sia stato ampiamente esplorato nei secoli scorsi? La sinfonia è una struttura che permette una perfetta alternanza tra i diversi movimenti, tra il veloce e il lento, tra una costruzione più articolata – del primo movimento – un momento più riflessivo del secondo, lo scherzo del terzo e poi un finale. Io trovo interessantissimo studiare e acquisire quello che ‘‘è stato’’ per andare avanti, non per rifiutarlo e basta. La sinfonia nel XX secolo ha vissuto due esperienze: il rifiuto di chi la considerava un genere del passato come Webern, Schoenberg, Stockhausen, Xenakis; la fiducia di chi pensava a una rigenerazione, come Prokof’ev, Šostakovič e Mahler.
E cosa l’ha spinta a comporre una seconda sinfonia dopo la prima? Adottando la forma della sinfonia naturalmente rischio di più proprio perché viene accostata alle grandi sinfonie del passato – infatti, mi tremavano i polsi e ancora mi tremano ad ogni esecuzione – tuttavia mi piace l’idea di utilizzare una scatola che conosco, a cui siamo anche affezionati e che ha anche un certo valore, persino un certo prestigio. Penso che il presente abbia il diritto – e si meriti – di essere accostato al passato. Quando io ho studiato al Conservatorio, sono stato addestrato a scrivere musica per interpreti specialisti, che l’avrebbero suonata nei Festival specializzati. Io dicevo ‘‘ma che cosa triste. Perché, poi io vado in sala da concerto e ascolto Chopin e Stravinskij e io vorrei lavorare per quel pubblico, per quella sala, per quegli interpreti’’, quindi personalmente ho masticato amarissimo per molti anni vedendo i miei compagni di Conservatorio nei corsi di composizione che scrivevano musica ortodossa per le vecchie Avanguardie e io scrivevo musica del tutto diversa, ma non la si suonava, perché non era congrua rispetto al sistema. Poi piano piano musicisti sempre più importanti si sono interessati alla mia musica, hanno cominciato a suonarla, e poco a poco adesso sono tra gli italiani più eseguiti, e questo mi fa molto piacere.
La sua carriera non si limita a quella di compositore, ma anche a quella di saggista. I giovani ritengono che la musica classica sia qualcosa di “antico”, non al passo con i tempi e, proprio nel suo libro “Occhio alle orecchie. Come ascoltare musica classica e vivere felici”, riflette sull’utilità dell’ascolto della musica classica. Secondo lei come si può insegnare ai giovani l’importanza di questa nelle loro vite? Non bisogna preoccuparsi e fare l’ipotesi che la musica classica morirà. Quando avevo ventidue anni e ho cominciato a scrivere su «La Repubblica», la cosa che mi si diceva era ‘‘vai agli ultimi concerti, che poi finiranno. Hanno tutti i capelli bianchi, poi moriranno e sarà finita”. Adesso di anni ne ho cinquantatré e ho capito che in realtà il grosso del pubblico scopre la musica classica in età matura, perché in una certa fase della vita è come se si formasse una mancanza a forma di musica classica nell’anima. In particolare, quando cominci ad essere un po’ alla fine della tua vita professionale, c’è quel senso di insoddisfazione che ti porta a dire ‘‘ho fatto tutto, e adesso? i figli sono cresciuti, il lavoro va bene, c’è la salute’’ e lì la musica diventa sorprendente, perché ti apre degli orizzonti che tu non avevi sospettato.
Quindi possiamo stare tranquilli? Sì, perché le sale da concerto che si costruiscono nel mondo oggi hanno la stessa dimensione di quelle del passato, se non più grandi, e sono piene. Quindi, la musica classica sta benissimo. Io credo che sia importante esporsi alle emozioni. Una persona, avendo la sensibilità per reagire alla musica, una volta tornata da un concerto pensa di averassistito a qualcosa di unico e insostituibile. Esporsi è fondamentale ma questo non deve avvenire in modo didattico o con forme semplificate nemmeno se si parla a dei bambini. Ad esempio, io ho scritto un manuale per la scuola media, ho fatto suonare dei musicisti perché nelle classi ci fossero delle registrazioni, e ho scelto i più bravi. Allora lì porti emozione, porti intensità, porti passione. Quella passa. Praticare. Bisogna fare esperienza nella musica, perché è un linguaggio, ma un linguaggio non referenziale. È come nell’arte figurativa: un quadro posso raccontarlo, ma è meglio guardarlo. Per la musica ci vuole solo un po’ più di tempo: devi andare in sala da concerto e devi ascoltarla dal vivo.
A cura di Enrico Goio, Roberta Durazzi, Ottavia Salvadori
Euphonia Suite nasce nell’ ottobre 2022 dalla collaborazione tra Eugenio Finardi, Mirko Singorile e Raffaele Casarano. Già dallo scorso dicembre, i tre artisti stanno girando l’Italia in un tour dedicato − Euphonia Suite Tour − che ha visto la sua conclusione il 19 aprile al Teatro Colosseo di Torino, città molto cara all’artista milanese, come lui stesso ribadisce durante la serata.
Bisogna fare un passo indietro per entrare al meglio nello spirito della serata: il punto di partenza riguarda l’ascolto dell’album. Non c’è da aspettarsi l’energia rock dei lavori più famosi di Finardi, farlo significherebbe non apprezzare interamente il lavoro, ma soprattutto perdersi tutta la bellezza contenuta in questi nuovi arrangiamenti. L’incontro (frutto di un progetto ormai decennale) si realizza tra la voce calma e distesa di Finardi, il virtuosismo di Signorile al pianoforte e l’accompagnamento pastoso e suadente del sax di Casarano. Tutto si fonde in un unicum musicale che racconta perfettamente quel concetto di “vita lenta”, come in una lava lamp in cui il risultato è un amalgama omogena.
Foto: Alessia Sabetta
Tutti gli stadi di tranquillità percepiti ascoltando l’album ritornano nell’esibizione dal vivo. Tanto per iniziare la scenografia è spoglia: solo le quinte, nere e gli spot che illuminano il telone attribuendo un colore diverso a ogni brano. Sul palco seduti in riga i tre musicisti vestiti di nero (ognuno con il proprio stile, che in qualche modo rispecchia anche la propria musica), che quasi per tutta la durata del concerto non si spostano dal loro posto. Insomma, un’asciuttezza che catalizza tutta l’attenzione sulla musica. Gli spettatori, immersi in un’atmosfera irreale, come fluttuante, sono persino in dubbio sul momento in cui applaudire per non spezzare l’incanto, e si infastidiscono quando il clic compulsivo degli scatti dei fotografi in sala rompe il silenzio.
Il live (che riprende il concetto alla base della produzione, ovvero la suite) si srotola brano per brano senza interruzioni: nella maggior parte dei casi il collegamento viene creato musicalmente da Signorile, nei restanti si fa giusto una pausa prima di riprendere. Finardi, centrale, si passa il microfono da una mano all’altra e con quella libera crea dei giochi di movimento con cui accompagna la sua voce o le melodie dei due colleghi. Sorride al pubblico quando ne percepisce maggiormente il calore e prova a enfatizzare i momenti in cui Casarano e Singorile si liberano in assoli che non sconfinano mai nell’esuberanza.
Foto: Alessia Sabetta
Regala, oltre al consueto bis in cui introduce al pianoforte la celebre “Extraterrestre” mentre gli altri due utilizzano la coda come fossero delle percussioni, un tris.Infatti, dopo essere usciti di scena per la seconda volta, mentre il pubblico in sala è intento a rivestirsi per lasciare il teatro, rientrano tutti e tre e concedono la scelta ai fan che prontamente richiedono “Musica ribelle”. Lui esita un momento, ma dopo essersi giustificato sulla natura musicale del brano nato per un certo tipo di strumentazione, si lascia trasportare e inizia a cantare. Tra intere strofe dimenticate su cui ride di sé stesso e un ritornello in chiave mozartiana riesce a guadagnarsi un nuovo fragoroso applauso del pubblico che si alza per cantare con lui.
Presentato il 7 aprile 2023 il programma di eventi ideato per celebrare i 50 anni del nuovo Teatro Regio di Torino (progettato da Carlo Mollino dopo il terribile incendio del 1936 e inaugurato il 10 aprile 1973 dopo quasi 40 anni di lavori). Ad illustrare le proposte Stefano Lo Russo sindaco di Torino e Presidente della Fondazione Teatro Regio, il sovrintendente Mathieu Jouvin e il direttore artistico Cristiano Sandri.
Si inizia il 10 aprile con l’accensione della Mole Antonelliana e la proiezione del logo creato appositamente da Undesign per Regio 50 a partire dai disegni originali di Carlo Mollino, dando il via ad un programma ambizioso ricco di appuntamenti.
Il piano di attività, dice Stefano Lo Russo in apertura, si somma alla programmazione ordinaria della stagione e ambisce ad avvicinare a questa realtà coloro che ancora non la conoscono, mandando un forte segnale di integrazione. Duplice è la funzione della manifestazione: esaltare la splendida architettura frutto del genio di Mollino, celebrare l’eccellenza artistica e la rilevanza che ricopre il Teatro Regio nelle politiche culturali della città.
Un compleanno pensato in tre tempi – primavera, estate e autunno – sottolinea il sovrintendente Mathieu Jouvin che a luglio festeggerà il suo primo anno operativo presso il Teatro Regio. Quattro i pilastri su cui si poggia il progetto della manifestazione: il profondo legame tra la città di Torino e il suo teatro, l’esaltazione delle eccellenze artistiche di cui si è fatto portatore, il recupero del passato e la straordinaria figura dell’architetto Carlo Mollino.
Foto di Alessandra Mariani
Il primo appuntamento – la primavera – è previsto per il weekend del 15-16 aprile con due giornate a porte aperte dove sarà possibile visitare gratuitamente il teatro e godere nel frattempo di diverse esibizioni da parte dell’Orchestra, del Coro, del Coro di voci bianche e del neonato Regio Ensemble. Il pubblico “itinerante” avrà la possibilità di assistere a diverse rappresentazioni e sperimentare diversi repertori, per avvicinare nuovi pubblici e favorire l’apertura ad altre generazioni. Il secondo appuntamento – l’estate – celebrerà uno degli avvenimenti più rilevanti nella storia del nuovo Teatro Regio portando in scena il 6 luglioI Vespri Siciliani di Giuseppe Verdi in formato concerto, omaggiando la storica inaugurazione del 1973. Infine l’ultimo tempo – l’autunno – chiuderà i festeggiamenti con una mostra dedicata alle varie personalità della figura dell’architetto Carlo Mollino.
Molte inoltre le sorprese previste durante questo anniversario, che consta di omaggi studiati per l’occasione da parte di diversi sponsor. In primis lo speciale tv Regio 50. Ci vuole molto tempo per diventare giovani realizzato da Rai cultura; l’iniziativa Art in taxi dove per circa un mese i taxi della città di Torino verranno decorati con delle grafiche celebrative, dando vita ad un teatro in movimento; infine lo storico Caffè torinese Baratti & Milano per l’occasione ha ideato due nuove creazioni che entreranno a far parte del menù: la Torta Regio e un uovo di cioccolato fondente con copertura vellutata color rosso volta a richiamare gli iconici interni del Teatro Regio. Per la gioia degli appassionati, all’interno di un uovo soltanto è stata inserita una sorpresa speciale: due biglietti per l’inaugurazione della stagione 2023-2024.
Non resta perciò che annunciare ufficialmente la caccia all’uovo!
Die Zauberflöte, IlFlauto magico, Singspiel di Mozart su libretto di Emanuel Schikaneder, è tra le dieci opere più rappresentate al mondo e dal 31 marzo (dal 30 con anteprima giovani) al 14 aprile, sarà in scena al Teatro Regio di Torino, con regia di Tobias Ribitzki, animazioni di Paul Barritt ideate da «1927», la squadra supervisionata da Suzanne Andrade e dallo stesso Paul Barritt. Alla direzione d’orchestra Sesto Quatrini e Andrea Secchi alla guida del coro, completando i nomi dietro questa produzione.
La trama, ambientata in un favoloso Egitto, racconta la storia d’amore tra Tamino (interpretato da Joel Prieto e Giovanni Sala) e Pamina (Ekaterina Bakanova e Gabriela Legun) e il viaggio dell’eroe che lui deve intraprendere per liberare l’amata aiutato dal fedele Papageno, anch’esso alla ricerca di “ein Mädchen oder Weibchen” (una ragazza o una donna).
dalla cartella stampa del Teatro Regio
In realtà, parlare in questo modo dell’intreccio alla base del Flauto magico è molto riduttivo: l’opera è eclettica, contraddittoria, ricca di significati e forse, proprio per tale motivo, tanto apprezzata dal pubblico. Il rischio che si corre per questo genere di messinscena è di raccontare la vicenda in modo razionale non risultando all’altezza di un racconto che ha il surrealismo come caratteristica principale: le menti creatrici dell’allestimento hanno compreso molto bene questo aspetto. Lasciandosi ispirare dal cinema muto (in particolare quello impressionista), dai fumetti e da altre numerose influenze, hanno ideato una scenografia che sembra prendere vite grazie alle animazioni proiettate sulle quinte del palco.
dalla cartella stampa del Teatro Regio
In un flusso di immagini animate che dialogano costantemente con gli attori sul palco, lo spettatore si ritrova all’interno di un’esperienza immersiva e deve fare i conti con una nuova concezione di opera. Proprio questa necessità di rivalutazione sembra turbare il pubblico dei giovani torinesi presenti all’anteprima. Così come molti alla fine dello spettacolo sembrano entusiasti di vedere finalmente la ricerca di uno “svecchiamento”, molti altri sembrano sbigottiti. Tra i commenti più sostenuti c’è il fatto che un’opera classica debba rimanere tale anche nell’apparato scenico e che un allestimento del genere risulti addirittura troppo azzardato per il maestro del classicismo viennese.
dalla cartella stampa del Teatro Regio
Ma lo spettacolo, nato a Berlino nel 2012, ha già festeggiato il suo decennale riscuotendo successo tra Europa, Usa e Cina nonostante la sua peculiarità provocatoria. Motivo per cui questo allestimento è sintomatico di tantissimo coraggio da parte di coloro che hanno deciso di sfidare le convenzioni sociali: già solo per questo merita una possibilità.
Come dopo ogni anteprima lo spettacolo si è spostato nel foyer del teatro per la rassegna Contrasti. La scelta per questa data è ricaduta su Napoleone (cantautore di origini campane, ormai stabile a Torino) è stato presentato sui social del format come portatore di magia grazie al dialetto campano e la tradizione del funk partenopeo. L’artista già noto ai più grazie a un duetto con Guè, durante la sua esibizione ha presentato in anteprima il suo nuovo singolo “Il giardino di Maddalena”, insieme a Kaze, in uscita a mezzanotte. A differenza del Flauto magico il cantautore ha ottenuto il consenso di tutte le persone presenti, concludendo degnamente uno spettacolo che lascerà parlare ancora molti.
I grandi virtuosi dell’Ottocento riuscivano ad incantare le platee con il loro modo di stare sul palco. Oggi, 13 marzo 2023, a stregare il pubblico sul palco del Conservatorio «Verdi» di Torino non sono i grandi del passato ma due giovani musicisti che sin da piccoli hanno abbracciato la strada della musica come bambini-prodigio: Riccardo Porrovecchio e Martina Consonni, un violinista ed una pianista poco più che ventenni che si esibiscono per la De Sono con un repertorio intenso e di ardua esecuzione.
Porrovecchio ha tenuto in mano il suo primo strumento musicale a soli quattro anni, un violino giocattolo ma che presto si è trasformato in un violino Guadagnini del 1849. Il gioco trasformatosi in una vera passione, lo ha portato a studiare in molte città europee. Musicista acclamato in festival e in rassegne internazionali nonché vincitore di numerosi concorsi, si esibisce come solista e in formazioni cameristiche. Consonni, invece, si è avvicinata al pianoforte in maniera naturale all’età di sei anni diventando la più giovane vincitrice al concorso Premio Venezia, tappa e sogno di molti giovani pianisti. Ha suonato in tutto il mondo, ma continua a perfezionarsi a Berlino e a Kronberg.
Passando da un virtuosismo espressivo ed energico come quello di Paganini fino al virtuosismo più intimo di Chopin, il duo ha dimostrato la sua grande capacità di alternare momenti decisi ad altri più intimi e delicati, rimanendo sempre affiatati l’uno con l’altro. Con grande scioltezza e naturalezza Porrovecchio è riuscito a gestire i cambi di ritmo e di tecniche di produzione del suono passando da pizzicati con la mano destra a pizzicati con la mano sinistra, da un colpo d’arco legato ad uno saltellato, da un glissando ad uno staccato. Una grande abilità tecnica che il “diabolus in musica” Paganini richiede.
Foto di Francesca Cirilli
Paganini, Chopin e Liszt: tre musicisti capaci di trasformare i virtuosismi in emozioni, in sentimenti o in ritratti dettagliati di personaggi operistici. Esempio ne è la Parafrasi sul Rigoletto che ha dato conferma della grande abilità di Consonni di gestire fiumi di note, e di immedesimarsi nel personaggio divertendosi con esso.
Nel Gran duo concertant sur “Le marin” di Liszt, la corsa concertante tra violino e pianoforte ha creato continui giochi musicali lasciando a bocca aperta tutti gli spettatori che non riuscivano a togliere lo sguardo dai fluidi movimenti del duo. Attraverso un dialogo equilibrato tra i due strumenti, il tema principale si è trasformato in variazioni che hanno messo in evidenza l’energia lisztiana.
Consonni è riuscita ad entrare nei brani e ad immedesimarsi nei vari sentimenti espressi dalle melodie. Energica ma allo stesso tempo leggera, ha suonato muovendosi velocemente nell’ampio registro sonoro. Entrambi, con semplicità, hanno suonato gli strumenti “ai limiti dell’umanamente possibile” proprio come l’estetica del virtuosismo romantico richiedeva.
Foto di Francesca Cirilli
Allontanandoci dalle città dei grandi musicisti, con un brano di Pablo De Sarasate il concerto ha assunto un tocco di esotismo. Il pubblico, trasportato in un mondo spagnoleggiante, ha ascoltato temi popolari fusi ad un virtuosismo spettacolare che il Duo ha dimostrato poter essere ricco di sentimento.
Come ha affermato la pianista Consonni durante la lezione concerto tenuta all’Università di Torino la mattina del concerto «Le accademie di perfezionamento italiane sono tutte private. Anche all’estero ci sono numerosi costi da sostenere». La De Sono, in questo senso, sta dando un grande supporto a molti giovani musicisti che vogliono studiare e vivere per e di musica. Per ringraziare l’impegno dell’Associazione, i due giovani talenti hanno concluso il concerto dedicando a Francesca Camerana, fondatrice della De Sono, un brano intimo e dolcissimo ma di grande potenza evocativa: l’Intermezzo dalla Cavalleria Rusticana.
Continua la stagione del Teatro Regio con le anteprime delle opere rivolte ai giovani under 30. Il programma che vuole avvicinare i ragazzi al mondo dell’opera funziona molto bene: biglietti sold out in quattro giorni. Ancora una volta i giovani si vedono avvicinati ad una realtà che sembra a loro distante e inaccessibile ma che viene sfruttata come occasione di crescita.
Torino il 24 febbraio 2023 ospita nuovamente l’Aida di Giuseppe Verdi, questa volta diretta da Michele Gamba, un giovane direttore d’orchestra attivo in ambito sinfonico e con un interesse per la musica contemporanea. Creando brevi interventi tra un cambio di scena e l’altro e rivolgendosi al pubblico con un linguaggio diretto, semplice e comprensibile, Gamba ha aderito pienamente alla proposta del Regio.
Riccardo Fracchia decide di riprendere la regia di William Friedkin, regista Premio Oscar di cui si ricorda il celebre film L’Esorcista, che curò l’allestimento dell’Aida nella stagione 2005-2006: una scelta particolare per un regista dedito alla cinematografia horror e thriller.
Foto dal linkhttps://www.teatroregio.torino.it/area-stampa/comunicato-stampa/aida-anteprima-giovani
Un’introduzione all’opera è stata offerta nel foyer del toro dall’attrice Chiara Buratti sostenuta al pianoforte da Giulio Laguzzi, direttore musicale del palcoscenico del Regio. Con grande dimestichezza e a mo’ di “jukebox”, Laguzzi ha suonato al pianoforte alcuni dei temi principali dell’opera e, con voce soave, ha riprodotto il canto del soprano Aida trasportando gli spettatori nel clima e nella disperazione della protagonista. Il pubblico, tra cui pochi neofiti, attraverso il racconto della vicenda e piccole curiosità su Verdi, ha avuto la possibilità di entrare nella trama di Aida, di conoscerla e ammirare dal suo interno elementi fondamentali per la sua lettura. L’idea che il melodramma sia uno spettacolo polveroso sta forse pian piano sparendo dalle menti dei giovani? Come dice il direttore d’orchestra Gamba «L’opera non è un cumulo di cenere, è qualcosa di rilevante per noi…parla di noi e dell’oggi».
«L’opera lirica è l’unione di quasi tutte le forme d’arte di cui l’uomo è capace, è l’unione della musica, del canto, del recitativo, della poesia, della scenografia, dei trucchi, dei balli…» ha detto Buratti, e Verdi, uomo di teatro, ci dimostra la sua capacità di utilizzare tutti questi elementi per creare uno spettacolo che colpisce per la sua grandezza. Un’opera, dunque, maestosa ma allo stesso tempo intima, in cui le fragilità vengono affrontate con forza. Grandi masse vocali che hanno travolto il pubblico con potenza, si contrapponevano a frasi sottili, in pianissimo e ancora più piano trasportando la mente in un sogno onirico, quello della pace tra i popoli. La dinamica è una caratteristica fondamentale delle composizioni verdiane, ma talvolta è stata trascurata in funzione di altri aspetti della scrittura musicale. Durante i suoi interventi il direttore d’orchestra ha affermato che «…la musica ci evoca qualcosa… l’evocazione di un’atmosfera è più di una semplice pittura di paesaggi…» gli spettatori, infatti, hanno condiviso insieme ai personaggi le vicende e le emozioni. La musica ha rievocato ambienti a noi estranei, mai vissuti. Eppure, tutto sembrava essere così familiare.
Anna Nechaeva (Aida), Gaston Rivero (Radamès) e Silvia Beltrami(Amneris) https://www.teatroregio.torino.it/area-stampa/comunicato-stampa/aida-anteprima-giovani
Musiche che risuonavano lontane alla vista ricreavano una spazializzazione e un’ambientazione che riprendeva le maestose architetture visibili sul palco. Statici e imponenti edifici si stagliavano sulla scena, rendendo i personaggi piccoli e quasi impotenti. Nonostante questo, con grande abilità i cantanti sono riusciti ad emergere dalla possente scenografia. In particolare il soprano Anna Nechaeva che con grande capacità e poco preavviso ha sostituito Angela Meade nel ruolo di Aida: con la sua performance, è riuscita a trasmettere abilmente al pubblico le emozioni e il dolore della protagonista.
La scenografia e la regia ci sono parse troppo statiche nonostante i cambi di scena abbiano continuamente variato le dimensioni del palco. Hanno trovato comunque modo di alleggerirsi con momenti coreografici eleganti che, con la raffinatezza e leggerezza del corpo di ballo, hanno donato movimento e dinamicità all’opera. Pochi colori hanno contraddistinto il palcoscenico. Luci calde gialle e rosse si alternavano a luci fredde sulle tonalità del blu per donare una particolare atmosfera ai diversi quadri. In particolare la scena del trionfo ha visto contrapposti il bianco delle tuniche dei sacerdoti e il grigio della pietra ad uno sfondo blu acceso, poco funzionale alla vicenda, e alle luci calde che hanno creato un’ambientazione fedele all’Antico Egitto, ma un clima poco maestoso. Una marcia trionfale, più efficace nella scenografia che nella musica, ha accompagnato l’ingresso vincitore di Radamès nella città di Tebe. Con stendardi e trombe ai lati del quadro, la scena è risultata infatti di grande impatto visivo, con una geometria e simmetria che probabilmente vuole ricordare anche il grande interesse di Verdi per l’architettura non solo musicale ma anche legata allo spazio.
Baobab! e gli Atlante https://www.teatroregio.torino.it/area-stampa/comunicato-stampa/aida-anteprima-giovani
Come da programma, la serata si è conclusa con Contrasti, format che vede unire drammi del passato a protagonisti della scena Torinese. Ospiti in questa serata gli Atlante e Baobab! che, con pochi brani, hanno commosso molti dei presenti con canzoni che hanno visto unire voce, chitarra acustica ed elettrica, basso, pianoforte e sintetizzatori.
Ancora una volta il Regio ottiene un grande successo permettendo ai giovani di vivere il teatro e di farlo vivere.
A cura di Ottavia Salvadori e Roberta Durazzi
Immagine in evidenza: https://www.teatroregio.torino.it/area-stampa/comunicato-stampa/aida-anteprima-giovani
La webzine musicale del DAMS di Torino
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