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Pasta, coccole e nostalgia allo Ziggy Club: Gordonzola e i SAAM per Turin Moving Parts

Chiacchiere, birra e vecchi amici: è così che, ancora prima che la musica inizi, la seconda serata dell’anno organizzata dal collettivo Turin Moving Parts si scalda e ci fa sentire a casa. Entrare nello Ziggy Club è come entrare in un mondo a parte: suoni il campanello di una scura porta in via Madama Cristina, sali due rampe di scale poco illuminate, apri un pesante portone e ti ritrovi catapultato in un ambiente accogliente, tranquillo ma sempre in fermento.

Primi sul palco i Gordonzola, che ci fanno ingrassare con il loro sound saturo di colesterolo e schitarrate, tale che forse neanche con il pogo durante i SAAM siamo riusciti a smaltire tutto. Il trio suona in perfetta sintonia sul palco dello Ziggy davanti a uno sfondo formaggioso che recita il loro nome, e senza difficoltà fanno muovere tutte le teste e saltellare tutte le gambe.

Foto di Simone Cossu (@key_pov)

La loro bio su Instagram li presenta come “Instrumental power trio from Turin – devoted to food”, devozione che hanno saputo trasmettere con simpatia ma senza risultare troppo immaturi. Highlights del loro set sono stati “Rigaton”, un punk-reggaeton dedicato all’omonima pasta, “Tomino Banfi”, autoesplicativo, e “Anguria”, in chiusura, un pezzo lungo diversi minuti dal tono più serio: il frutto è simbolo della resistenza palestinese, a cui la canzone è dedicata. 

I SAAM invece con il loro emo-punk ci portano da Genova tenerezza e nostalgia, in un turbine di emozioni accolte e sudate con entusiasmo dal pubblico. Dall’apertura con “Pesca”, singolo del 2020, fino a “Grondaia”, pezzo finale dell’ultimo album Per ogni caduta una terra amata, ogni persona nella sala sembra essere coinvolta in un abbraccio continuo, anche durante i poghi molto partecipati, addirittura dai musicisti stessi.

Foto di Simone Cossu (@key_pov)

L’attaccamento e la reciproca ammirazione tra band e pubblico sono stereotipicamente emo, e hanno il loro momento massimo durante “Sandro”, pezzo richiamato tramite un grande lenzuolo con il titolo scritto in azzurro, sbandierato dai più vicini al palco.

Foto di Simone Cossu (@key_pov)

Una buona serata ha bisogno di pochi ingredienti: divertimento, rispetto, emozione e amore per la musica e per le persone che abbiamo intorno. Venerdì sera i Gordonzola e i SAAM, grazie all’importantissimo lavoro del Turin Moving Parts e della scena che stanno crescendo e mantenendo in vita, hanno portato un evento che ha decisamente avuto successo.

A cura di Enea Timossi

I Selton all’Hiroshima Mon Amour: la giusta dose di divertimento, serietà e intimità

Grazie ai Selton l’Hiroshima Mon Amour la sera di giovedì 23 gennaio ha visto il suo palco animarsi, a partire dagli schermi colorati di verde neon fino al grande entusiasmo del pubblico, che dalla prima nota non ha mai smesso di ballare.

Mentre il gruppo italo-brasiliano sale sul palco e si prepara a suonare, una voce registrata parla di Barcellona, luogo magico in cui i membri si sono conosciuti nel lontano 2005. Ramiro Levy, Daniel Plentz ed Eduardo Stein Dechtiar, dopo aver passato un anno a suonare cover dei Beatles, sono stati scoperti da un produttore italiano di MTV, e la loro carriera è iniziata ufficialmente a Milano con il disco Banana à Milanesa.

Foto di Alessia Sabetta.

La prima cosa a colpire è la disposizione del palco: creando una simmetria, Ramiro e Eduardo sono ai due lati; in centro una batteria doppia, suonata da una parte da Daniel, e dall’altra dalla talentuosa Giulia Formica, che sta accompagnando il gruppo durante questo tour, insieme alla tastierista Daniela Mornati. L’introduzione strumentale ci trasporta subito nel mondo dei Selton: ritmi energetici, melodie pop e una grande sintonia.

Tra italiano, portoghese, inglese e spagnolo, vengono suonate molte canzoni dell’ultimo album GRINGO Vol.1, ma anche vecchi successi, tra cui alcune delle diverse collaborazioni con artisti italiani e non, come “Karma Sutra” (con Margherita Vicario) e “Estate” (con Priestess). Il pubblico, tra chi conosce tutti i pezzi a memoria, e chi può cantare solo i ritornelli più celebri, rimane ugualmente contagiato dai ritmi brasiliani e le sonorità dal pop, passando per l’indie fino al rock: a ballare sono proprio tutti.

Foto di Alessia Sabetta.

Un momento degno di nota è quello di “Calamaro Gigante”, che spezza la leggerezza della serata per aprire una parentesi più seria. Si tratta di un breve monologo scritto dal punto di vista di un mostro marino, che maestosamente tocca l’argomento delicato e tragico dell’immigrazione, ma più in generale parla di natura umana, riuscendo a essere politico il giusto senza cadere in banalità poco originali.

Il momento serio non lascia però l’amaro in bocca, almeno non fino alla fine del concerto, perché i Selton hanno una grande capacità di muoversi fra i sentimenti più disparati in modo fluido e funzionale. Torna un momento danzante, seguito da “Smoking Too Much”, la ballad che conclude l’ultimo album, registrata ad Abbey Road, come a chiudere il cerchio aperto agli inizi della storia del gruppo. Una vera perla.

Foto di Alessia Sabetta.

E quando ci sembra di aver già visto tutto, il palco si svuota e il pubblico viene diviso, formando uno spazio vuoto in centro alla sala. Velocemente compaiono degli sgabelli posizionati in cerchio. I musicisti ci salgono sopra con i loro strumenti, ed eseguono ancora due pezzi. L’atmosfera si fa ancora più intima di prima, ora le persone si guardano in faccia.

I Selton sono una chicca della musica italiana, che ha già fatto tanto ma lascia comunque l’impressione di avere molto altro da offrire, qualche nuova influenza, un diverso sound, un’inaspettata collaborazione…

A cura di Enea Timossi