Carlo Romano: dalla passione per l’oboe all’incontro con Morricone

In questo estratto dell’intervista a Carlo Romano, il celebre oboista racconta il suo percorso tra musica classica e cinema, dagli inizi a Roma fino agli incontri con grandi nomi come Ennio Morricone. Condividendo aneddoti e riflessioni, ci offre uno spunto sul suo amore per l’oboe e la sua carriera straordinaria.

foto di Joy Santandrea

Come si è avvicinato alla musica e perché la scelta dell’oboe?

Mi sono avvicinato alla musica all’età di 6-7 anni a Roma nel coro di San Pietro, la Cappella Giulia, fino al cambio della voce, studiando anche pianoforte. Quando andai con mio padre a fare l’iscrizione al Conservatorio, il direttore gli disse che c’erano troppi pianisti e mi propose l’oboe. Avendo 13 anni non lo conoscevo, ma mio padre, che suonava nella banda dell’aeronautica, lo conosceva benissimo e mi disse che l’oboe mi avrebbe dato molto filo da torcere, ma che era uno strumento molto bello, mi consigliò quindi di studiarlo contemporaneamente al pianoforte per poi decidere quale a me più adatto. Entrai nella classe del Maestro Tomassini, nel Conservatorio di Santa Cecilia a Roma, e già dalle prime lezioni mi affezionai a questo strumento e dopo poco tempo decisi che da grande avrei fatto l’oboista. Continuai studiando anche Composizione e Armonia. 

Tra i grandi compositori della Storia della Musica ha un suo preferito?

Tra i classici amo molto Mozart, Beethoven, Schubert. Ognuno ha delle caratteristiche fantastiche, ma Mozart è quello che ha scritto di più per lo strumento che suono: il concerto per oboe K. 314 per oboe e orchestra, tanti divertimenti e serenate. L’oboe è uno strumento che evidentemente amava molto e che effettivamente dà risalto ai suoi brani. Per il sinfonismo Beethoven è il massimo, Schubert e Mahler sono compositori a me congeniali, che amo suonare. 

Durante gli studi al DAMS abbiamo in più occasioni incontrato brani, in particolare di Morricone, di cui lei è stato esecutore. Ci può confidare a quale brano, o colonna sonora, è più legato o quale le ha dato più soddisfazioni?

Ho iniziato a fare i turni in sala di registrazione con Ennio Morricone nel 1974 per il film Il Mosè. Mi chiamò l’associazione Musicisti di Roma, perché si era ammalato l’oboista di Morricone, primo oboe del Teatro dell’Opera di Roma. Ero ancora studente del Conservatorio, andai al mio leggio di primo oboe molto timoroso. Facemmo la registrazione alla Forum di Roma in piazzale Euclide. Morricone chiese: “Chi è quel ragazzino là? Come suona? Perché qui ci sono parti molto importanti e complesse”. Il Presidente dell’associazione disse: “Ascoltalo, se non va bene ne chiamiamo un altro”. Registrammo per 3 o 4 giorni e Morricone mi guardò per tutto il tempo in cagnesco, come a dire: ‘Voglio capire bene come suoni’, ma piano piano si addolciva nei miei confronti. Alla fine delle registrazioni mi chiese: “Tu da dove vieni?”, risposi “Sono allievo del Maestro Tomassini”. “Ah! Ecco perché suoni bene, ci vedremo ancora, ti farò chiamare”. Nel tempo ho avuto modo di lavorare anche con altri illustri compositori per cinema, come Trovajoli e Piovani. Tutti bravissimi, ma Morricone è quello che più ho nel cuore. Quando scriveva qualche tema importante mi chiamava a casa chiedendomi cosa ne pensassi  naturalmente andava tutto benissimo, ma per me la sua stima era importante. Quando nel 1990 cominciò a fare anche concerti con orchestra, lo seguii. Sono stato il primo a suonare Gabriel’s oboe in concerto.

foto di Joy Santandrea

C’è stata qualche esecuzione che ha messo alla prova la sua tecnica?

L’oboe è uno strumento sempre importante al quale i compositori danno molto risalto, è come il primo violino degli archi, il soprano di un’opera. In orchestra l’oboe è il principe. Tra i compositori c’è chi scrive più dolcemente e quello che richiede delle peripezie. Quando qualcosa era particolarmente difficile la studiavo minuziosamente anche a casa e arrivavo in orchestra molto preparato con l’apprezzamento di direttori e compositori.

C’è qualche aneddoto che avrebbe il piacere di condividere con noi sul rapporto tra compositore, esecutore e regista? 

Ricordo, nel 1990, il film Amlet, regia di Franco Zeffirelli, sempre registrato alla Forum di Roma. Eravamo in sala con Zeffirelli sempre presente, spesso seduto accanto a me perché apprezzava il mio timbro, il modo di porgere la musica, di fare la frase. In quel film, Ennio Morricone non aveva dato molta importanza all’oboe nella colonna sonora. Dopo una settimana, finito i turni di registrazione, Zeffirelli ne chiese il motivo a Morricone. Rispose che per quel film aveva deciso che il tema conduttore doveva essere portato dalla viola con accompagnamento dell’orchestra. Finito le registrazioni, alle nove di sera, salii in macchina e il tempo di mettere in moto sentii Ennio Morricone che mi chiamava: “Carlo, esci, vieni, vieni in sala!”. Preoccupato chiesi cosa non andasse. Mi disse che tutto era a posto, ma Zeffirelli stava facendo i capricci. In sala sentii che discutevano animatamente tra loro. Zeffirelli diceva a Morricone: “Tu di musica non capisci niente!”, ripeto Zeffirelli a Morricone! Cosa fece Morricone? Lasciò il tema alla viola, ma lo fece fare anche all’oboe e così Zeffirelli si tranquillizzò. Grazie a questa alzata che Zeffirelli ebbe con Morricone, il mio nome girò il mondo. Devo quindi ringraziare anche Zeffirelli.

La scaramuccia che ci ha raccontato restituisce umanità a questi grandi nomi. Tra cameristica, orchestrale e sala di registrazione, quale ambito ritiene più impegnativo?

Tutti e tre gli ambiti. Anche fare una scala di Do maggiore è impegnativo. Amo molto la cameristica. Un mese prima di andare in pensione, sei anni fa, ho formato l’Ensemble dei Cameristi Cromatici… sono andato in pensione dalla Rai ma non dalla musica! Abbiamo costituito questo gruppo di Cameristi partendo con pianoforte, oboe, violino e violoncello. Adesso siamo in 15 strumentisti con un vasto repertorio.

Io sono nato per l’orchestra, il mio primo maestro, Tomassini, mancato nell’87, fino al ‘72 è stato Primo oboe dell’accademia Santa Cecilia e mi ha preparato per divenire, a mia volta, un primo oboe d’orchestra. Ho avuto una grande scuola, per questo amo molto suonare in orchestra: una bella sinfonia di Brahms, Čajkovskij, Beethoven, i poemi sinfonici, Strauss danno molte soddisfazioni. Continuo attualmente a preparare tanti allievi per i concorsi con repertorio orchestrale, sinfonico, lirico-sinfonico.

Anche in sala di registrazione ho avuto grandi soddisfazioni. Ho suonato per i compositori di circa 300 film.

Abbiamo visto, nel corso di Musica per il Cinema, una sessione di registrazione per Christopher Young. C’erano molti momenti di alta tensione per le continue re-incisioni. Lei ha mai provato una sensazione di pressione o ansia prima di arrivare al risultato?

Quando si registra c’è sempre una base d’ansia. Si rifanno i brani tante volte perché capita spesso che ci sia una notina fuori posto, un corno che ‘scrocca’, un violino a cui fischia una corda, o l’oboe e qualsiasi altro strumento che tentenni. È capitato che per registrare 15 battute abbiamo dovuto suonare due turni per l’intonazione, per qualche rumore, persino per i rumori che si sentono al microfono anche quando nessuno si muove. Abbiamo sbottato nervosi, ma ciò fa parte del mestiere: la registrazione deve essere pulita e perfetta, non ammette scrocchi o rumori di qualsiasi genere, né note sbagliate o stonate o battimenti con altri strumenti.

foto di Joy Santandrea

Nella sua biografia professionale un capitolo molto importante è con l’orchestra RAI: com’è stata la sua esperienza di primo oboe e come è iniziato questo lungo percorso?

Ho iniziato l’esperienza orchestrale vincendo concorsi, al Carlo Felice di Genova o per altre orchestre. Nel 1978 ci fu il concorso per primo oboe alla Rai di Roma. Per me era una meta inarrivabile, da ragazzino avevo sempre ascoltato e ammirato i grandi solisti dell’orchestra Rai: Severino Gazzelloni, Marco Costantini, Giuliani, Stefanato e tanti altri mostri sacri. Da studente di Conservatorio mi chiedevo se un giorno fossi riuscito a far parte di quel mondo. Quando ricevetti l’esito del concorso Rai per primo oboe, fu come essere arrivato in cima al K2 dopo una scalata senza quasi rendersene conto. È stata un’esperienza fenomenale: avevo seduto alla mia destra Severino Gazzelloni e gli altri grandi, toccavo il cielo. Nel frattempo ho avuto anche altre bellissime esperienze con l’Accademia di Santa Cecilia o la Scala di Milano […] suonando per vari direttori: Bernstein, Bern, Sawallisch, Maazel, Muti, Abbado. Cosa si vuole di più?

Curiosità: il rapporto lavorativo con Muti?

Lavorare con un direttore tra i più grandi al mondo è stato bellissimo, giustamente lui è molto puntiglioso e pretende il massimo del massimo da ogni strumentista  tutto deve essere perfetto per avere delle esecuzioni impeccabili. Al di sotto del podio, i grandi direttori sono persone alla mano, simpatiche la cui compagnia è veramente piacevole.

Relativamente al concerto dell’8 dicembre: che sensazione le trasmette sapere che la sua professionalità e passione contribuiscono al progetto della Cardioteam Foundation e alle vite salvate grazie ad esso?

Ho avuto recentemente modo di conoscere Cardioteam e il suo presidente Dr Marco Diena, luminare della cardiochirurgia tra i primi al mondo. Sono stato operato nel mese di luglio, ho incontrato persone speciali da tutti i punti di vista, un’equipe preparatissima. Questo è il motivo per cui ho deciso di omaggiare questo concerto al quale hanno carinamente aderito gli altri 15 orchestrali Rai, per raccogliere fondi per il progetto di prevenzione cardiologica che Cardioteam gratuitamente da tempo porta avanti. 

Per chiudere quest’intervista: ha un messaggio, o magari un consiglio, per noi studenti e artisti in formazione DAMS amanti della musica e del cinema?

Abbinare la musica al cinema è davvero molto interessante, avvicinatevi ai grandi compositori che possono aiutarvi a capire tanti meccanismi all’apparenza facili. Per tutti i compositori, anche i più grandi, è diverso scrivere un brano per le immagini di un film o una musica assoluta. Morricone scrisse il tema Gabriel’s oboe, a mio parere uno dei più belli del ‘900, osservando l’attore Jeremy Irons nella scena in cui è nella foresta con quella specie di pifferetto, fotocopia di un oboe, e per caso fece delle posizioni con le dita ‘la-si-la-sol’: il genio di Morricone capì che poteva dare il via a qualcosa di bellissimo. Il giorno dopo, sull’aereo di ritorno a Roma, scrisse l’intero tema. Ecco i casi della vita!

È importante conoscere la musica, studiare composizione e cogliere ogni occasione per imparare. L’insegnante di Conservatorio ti forgia, ma per trovare questi spunti è utile avvicinarsi ai compositori cinematografici.

a cura di Joy Santandrea

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