Anche nelle migliori produzioni, e soprattutto anche quando si fa festa, le cose non sempre posso andare come sperato; è proprio il caso del concerto dell’8 maggio al Conservatorio «Giuseppe Verdi» di Torino.
Il festeggiato, in casa dell’ Unione Musicale, è il trio Debussy. Nato nell'(ormai) lontano 1989 conta premi vinti, tour internazionali e più di un centinaio di brani in repertorio. In occasione dei suoi trent’anni di attività i tre musicisti fondatori ritornano sul palco in cui ebbe inizio la loro formazione musicale, e così la carriera. Non a caso, sostengono gli artisti stessi, è il concerto più importante della loro stagione. Eppure, ciò che doveva essere un momento di festeggiamenti, si è tramutato in un incontro con il destino un po’ spiacevole: Francesca Gosio, violoncellista del gruppo,si trova improvvisamente indisposta a causa di una perforazione del timpano. Lo annuncia Antonio Valentino, pianista, visibilmente dispiaciuto.
Sono proprio questi i momenti in cui professionisti di un certo calibro si distinguono dagli altri. Malgrado lo spiacevole inconveniente sia giunto solamente il giorno prima dell’esibizione, Valentino, perentorio, afferma che il concerto si terrà comunque: non vogliono privare il pubblico dello spettacolo programmato. Insomma, il trio-meno-uno non si lascia spaventare e prosegue diritto per la strada segnata. Non solo recupera l’elemento mancante, presentando Massimo Polidori, primo violoncello del Teatro alla Scala, ma ne aggiunge un altro, trasformando il trio-meno-uno in un trio-più-uno: si unisce il morbido suono della prima viola dell’accademia Nazionale di Santa Cecilia a Roma, Simone Briatore. La formazione iniziale acquista nuovo potere strumentale e diviene quartetto, in grado ora di eseguire la meravigliosa composizione di Mozart per questo ensemble: quello in sol minore, K. 478. Sono circa trenta minuti innervati da complessi dialoghi fra gli strumenti e virtuosismi che rendono alcuni momenti veramente infuocati. L’esecuzione è brillante. Ma non è tutto.
Il trio-meno-uno punta più in alto. Chiama a sé un altro musicista ancora, Daniele Carnio, contrabbasso, esperto navigatore delle maggiori orchestre italiane. Ora sono in cinque. Eseguono il quintetto “La trota” di Schubert, che prende il nome dall’omonimo Lied, trapiantato in forma di variazioni nel finale. Quaranta minuti. Il pubblico stenta a trattenersi. Qualcuno, erroneamente, batte le mani prima della fine dell’ultimo movimento. I musicisti si guardano e sorridono.
L’accordo finale non si è sentito: scrosciano gli applausi, trattenuti probabilmente già dall’inizio quando Valentino annunciava che si sarebbero esibiti ugualmente. Alcuni giovani si alzano, battono i piedi, a luci accese sono ancora tutti in sala. Alla fine si sapeva, il compleanno era il loro, ma il regalo l’abbiamo avuto noi; e cosa c’è di meglio, a una festa, di una sorpresa?