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Tauro Boys @ Hiroshima Mon Amour

I Tauro Boys ci hanno dedicato un tour intero, l’ultimo, ma che internet non renda felici è piuttosto chiaro. Il 26 maggio ci sono almeno tre generazioni diverse nella sala Majakovskij dell‘Hiroshima Mon Amour, a sudare, pogare ed esorcizzare ansie e paure dei
figli di internet. Ci sono gli ultratrentenni che si rifiutano di crescere e gli universitari coetanei del trio romano, in bilico tra Gen Z e Millennials. Ma ci sono anche gli adolescenti che in fila per entrare parlano dell’interrogazione di matematica il giorno dopo e poi urlano a squarciagola di voler morire. Yang Pava, Prince e MXMLN arrivano sul palco in una sala già infiammata non solo dal caldo infernale ma anche dall’entusiasmo di un pubblico che per la maggior parte è al primo concerto dopo la fine delle restrizioni Covid. La voglia di tornare ad
un idealizzato mondo pre-pandemia è tale che non servono grandi doti da animale da palcoscenico per farsi acclamare a gran voce. Ma i Tauro hanno sempre avuto un certo appeal sul pubblico, sanno muoversi bene, interagire con i fan e tra di loro, fare battute col microfono in autotune e tutti quei cliché da cui i trap boys non possono sfuggire. La setlist
pesca principalmente dall’ultimo album, Tauro Tape 3, la cui prima traccia, “Cobain Codeine”, apre anche il live. Ma i successi degli album precedenti, come “Marilyn”, non vengono certo dimenticati e i fan li accolgono sempre con un certo trasporto emotivo a cui il
trio romano non si è mostrato indifferente.


Qualcuno potrebbe rimproverare agli artisti della scena urban e dintorni di non muovere un dito sul palco – in fondo, si tratta di basi e mic in autotune – e chiedersi il motivo per cui si senta il bisogno di andare ad un concerto del genere. La lontananza dei grandi spettacoli pop dalle performance di artisti come i Tauro Boys è abissale, ma è proprio questo il punto. Non si tratta di uno show da ammirare, ma di un momento collettivo, comunitario per cantare insieme quel pezzo che condividiamo su Instagram e ascoltiamo su Spotify in solitudine, con un sostanziale annullamento della distanza artista-pubblico. Un discorso analogo – ma in realtà non così tanto – si potrebbe fare con i cantautori indie, o itpop che dir si voglia, che si pongono in un’ottica di identificazione dell’ascoltatore nei testi delle canzoni e nelle figure degli stessi cantanti. Ma il gap è piuttosto ampio: il cantautore indie non è esattamente “uno di noi”, gode in ogni caso dello status di artista, il più delle volte anche di strumentista, che dà vita alla “magia” della musica e della sua sensibilità e la dona ai suoi ascoltatori. Artisti come i Tauro Boys nella quasi totalità dei casi non suoneranno mai uno strumento sul palco anche se poi lo sanno fare davvero – e non fanno niente che non farebbe anche un fan preso a caso dall’audience. Ecco che un live come questo e come quello di tanti altri rapper e trap boys italiani trova il suo senso, ed ecco che i Tauro Boys, quando salgono sul palco, diventano, assieme al pubblico tutto, la Tauro Gang.