Accantonati finalmente le opinioni, più o meno deliranti a seconda dei casi, sul Festival di San Remo e passato il quarto d’ora mediatico conseguente alla kermesse musicale, giungiamo ora al primo, vero piatto forte di questo 2022. Synchro Anarchy dà il titolo al quindicesimo album dei Voivod, una delle più uniche, imprevedibili, anticonformiste, innovative e assolutamente sottovalutate band della storia del metal tutto. Descriverli a chi non li conosce è alquanto difficile vista la camaleontica capacità del quartetto di mutare costantemente negli anni: si parte dal thrash grezzo e dalla forte vena punk di War and Pain (1984) al thrash tecnico e futuristico di Killing Technology (1987) e Dimension Hatross (1988), sino alle sonorità visionarie e di stampo progressive metal acidissimo e talvolta dissonante dei meravigliosi Nothingface, Angel Rat e The Outer Limits usciti nei primi anni novanta. In molti ne hanno apprezzato la musica, pochissimi l’hanno capita e fatta propria a causa della sua natura sfuggente e di difficile interpretazione. La musica dei Voivod si è affinata perfezionandosi negli anni e rimanendo sempre fresca e immediata da una parte, quanto altrettanto ostica, surreale e stramba dall’altra.
Volendo semplificare di molto, potremmo dire che Synchro Anarchy prosegue sulle stesse coordinate creative del precedente The Wake (2018) in quanto scioltezza e urgenza espressiva, ma allo stesso tempo aggiorna al 2022 le scorribande psichedeliche e futuristiche – sia nelle sonorità che nelle tematiche fantascientifiche – di Nothingface. Una volta premuto il tasto play si viaggia nello spazio profondo perdendosi nelle labirintiche ritimiche imbastite da Away (batteria), Chewy (chitarra) e Rocky (basso), ora più punkeggianti e vicine ai primi The Killing Joke, ora caratterizzate da quel thrash metal pieno di cambi tempo, dissonante e bislacco che ha fortemente caratterizzato la cifra stilistica dei canadesi. E in tutto questo l’unico appiglio certo sono le linee vocali spiritate e dalle tematiche super nerd cantate da Snake, che potremmo definire come il Syd Barrett del thrash old school, con meno LSD in corpo ma altrettanto visionario. La grandezza dei Voivod sta nell’inserire sonorità e soluzioni nuove ed inaspettate all’interno di uno stile già di per sé unico, senza ribadire mai lo stesso concetto e senza essere dispersivi e logorroici. In termini pratici per farsi un’idea più precisa – anche perché quanto detto fino ad ora è un insieme di suggestioni più o meno accurate vista la proposta alquanto singolare – basterà ascoltare “Paranormalium”, la titletrack, “Planet Eaters” la delirante “Mind Clock” o i viaggi sonori “Quest For Nothing” e “Memory Failure”.
Nonostante siano passati più di trent’anni dal loro debutto, nonostante le quattordici uscite discografiche precedenti a Synchro Anarchy e nonostante siano orfani da, qualche anno a questa parte, del genio compositivo dell’ex chitarrista Piggy, i Voivod si riconfermano una solida realtà pubblicando un disco contenente semplicemente belle canzoni efficaci e immediate, ma anche opportunamente strutturate e piene di idee interessanti e fresche che si pongono in continuità col sound del quartetto canadese rivedendolo, riplasmandolo e svecchiandolo. Da avere, senza se e senza ma.