Sono le 21:30 dell’11 luglio e il maltempo sembrava pronto a boicottare una delle ultime date del Flowers Festival. Dopo qualche speranzosa preghiera, Mazzariello sale sul palco solo mezz’ora dopo, dando così inizio alla terzultima serata del festival.
Il compito del musicista napoletano, accompagnato alle tastiere da Giuseppe Di Cristo, è quello di apertura a Fulminacci. Nonostante si tratti di un incarico sempre abbastanza difficile, Mazzariello viene promosso a pieni voti dal pubblico: ne coinvolge una buona parte grazie alla parlantina spigliata nonostante l’emozione, e riesce a farsi accompagnare da un bel coro. Saluta il pubblico con “Pubblicità progresso” − brano conosciuto in quanto colonna sonora della serie Summertime − che unisce alla cover del brano di Frah Quintale ft Giorgio Poi, “Missili”.
Dopo un (non molto rapido) cambio palco si abbassano le luci, i musicisti si posizionano sulla scena e parte una sorta di messaggio preregistrato. Inizialmente chiede di spegnere i cellulari ma poi, correggendosi, chiede non solo di tenerli accesi e di fare qualche storia per Instagram, ma anche di ricordarsi di taggare tutta la band, compreso il tastierista «che sennò si offende».
Sale sul palco Fulminacci − vestito da un completo giacca gilet + pantaloncino in silver e maglietta della Nasa, con scritto “Spacca” − con la chitarra e, sullo sfondo del ledwall, con “Borghese in Borghese” inizia il concerto.
Fulminacci in live è come l’aglio nell’olio: sfrigolante e un ottimo insaporitore. Di sicuro la band di supporto (composta da Roberto Sanguigni al basso, Lorenzo Lupi alla batteria, Riccardo Nebbiosi al sax baritono e tenore, Giuseppe Panico alla tromba, Riccardo Roia alle tastiere e Claudio Bruno alla chitarra), conferisce il quid in più per trasformare una semplice “Aglio e olio” in una buonissima AglioOlio&Peperoncino. La dimensione del live è curata benissimo: i musicisti si muovono sul palco coreografando dei passetti di danza semplici ma d’effetto, che ben si incastrano con l’atmosfera musicale un po’ anni ‘80. Dal vivo, infatti (più che in studio), sono enfatizzate quelle sonorità underground hip hop e funk con i tempi in levare e l’accompagnamento energico dei fiati.
Ovviamente, non manca il momento malinconico al pianoforte sulle note di “Le biciclette” e “Una sera” e l’arrivo a sorpresa di Willie Peyote per “Aglio e Olio”. Dopo la momentanea uscita di scena, gli artisti salgono nuovamente sul palco per poi congedarsi definitivamente dopo Tommaso e «la canzone con cui ho perso il Festival di Sanremo», “Santa Marinella”, accompagnata dal canto a cappella e ad libitum del pubblico incitato dagli artisti sul palco.
Un live, quello di Fulminacci, degno di essere chiamato tale: buon intrattenimento, buona musica, pubblico soddisfatto e artisti altrettanto. What else?
Venerus è una di quelle scatole di cioccolatini con i gusti assortiti e le combinazioni più improbabili. “Istruzioni”, per esempio − brano d’apertura dell’album Il Segreto − il 3 luglio al Flowers Festival è un cioccolatino fondente (80%) con ripieno all’ananas e cocco. La canzone, come il cioccolato fondente, ha la capacità di farti piangere al primo accordo; ma è stata riarrangiata per l’occasine con una base hawaiana dalle vibes da cocktail nel cocco e ghirlanda di fiori. «Se dovete dichiaravi a qualcuno fatelo adesso», l’ha presentata così al pubblico un po’ stranito dalla (piacevole) dissonanza.
Nella stessa scatola anche il cioccolatino al latte: semplice, mai stucchevole e sempre apprezzato come “Sei acqua” − anche questa riarrangiata per l’occasione − pianoforte e voce. Lui, emozionato e con la voce spezzata sul finale, fa sì che il pubblico si chiuda in un abbraccio collettivo, perché in fin dei conti la canzone – che nella versione originale vede la collaborazione con Mace e Calibro 35 – fa sentire tutti gli ultimi romantici. Poi la cover di “Vita spericolata”, il cioccolatino un po’ liquoroso, quello che rimane sempre alla fine, per gli amanti del genere o per i più temerari che pur di mangiare della cioccolata accettano di ingurgitare il liquidino amaro.
Una box alla tuttuigusti+1 che fa accettare la possibilità di un cioccolatino meno buono, perché l’esperienza di assaggio vale molto di più. Del resto, l’artista ha la capacità di coniugare tantissimi generi musicali spaziando dal R&B, al soul, al Jazz, per creare brani che, come pralinati ben fatti, sono paragonabili a dei gioiellini.
Cioccolatini a parte, Venerus, attualmente è tra le voci e penne più interessanti del panorama musicale italiano e ciò che lo contraddistingue è che incarna l’ideale di libertà.
Sul palco non sembra essere incatenato da codici di comportamento particolari: semplicemente, stabilizzato sulla sua frequenza (cfr Resta qui), si lascia guidare dall’istinto, si muove in balli ondeggianti, si prende qualche istante per un sorso di whisky qua e là, ride mentre canta. Addirittura, interrompe il concerto per una cerimonia di incoronazione del tecnico di palco come principe di Torino. Cerimonia degna d’essere chiamata tale, con una corona (di fiori confezionata meticolosamente da lui stesso, ma sgualcita dopo essere rimasta conservata in tasca) e un’aura tra il sacro e l’onirico, che Buñuel a stento sarebbe riuscito a ricreare.In tutto ciò, il pubblico sembra non essere sorpreso perché da Venerus ci si potrebbe aspettare qualsiasi cosa e proprio per questo nessuno si fa domande, accettando tutto per come viene, perché Vinnie è libero e questo il suo pubblico lo sa.
Quindi si: Venerus è una scatola di cioccolatini di cui non si può fare a meno, anche se ci sono gusti improbabili o c’è il rischio di incappare in quello che ti fa storcere il naso. Ma si tratta pur sempre di (un buon) cioccolato ed è difficile non apprezzarlo.
“L’Isola che non c’è” esiste e l’ultima segnalazione è arrivata l’8 luglio dal Flowers Festival di Collegno, dove si è esibito Edoardo Bennato. Con lui sul palco della Certosa la BeBand, storica formazione che lo segue da anni, composta da Giuseppe Scarpato (chitarre), Raffaele Lopez (tastiere), Gennaro Porcelli (chitarre), Arduino Lopez (basso) e Roberto Perrone (batteria).
Come per un inguaribile Peter Pan, il tempo per Bennato è come se si fosse fermato: nonostante i 76 anni, per tutte le due ore del concerto tiene il palco in modo ineccepibile − d’altra parte gli anni di carriera, in questo caso, si vedono. Il cantautore in jeans, scarpe da ginnastica e t-shirt con la scritta “Campi Flegrei 55”, si veste dei panni di un provetto cantastorie e il pubblico sembra essere stregato. Il parco della Certosa, infatti, è pieno e la platea è abbastanza differenziata: nonostante la maggioranza di fan della vecchia guardia, molti sono anche i giovani e le famiglie con bambini che cantano, insieme a lui, nel nome del rock’n’roll.
È proprio per il rock’n’roll il primo discorso che Bennato pronuncia appena salito sul palco, prima di cantare “Abbi cura”. C’è poi spazio per delle dediche alla sua Napoli e alla sua infanzia, in particolare al “trio Bennato”, il gruppo che aveva da bambino con i suoi due fratelli. Durante il concerto compaiono anche alcune canzoni del suo ultimo album, Non c’è, ma ovviamente non mancano i brani che lo hanno reso celebre e alcuni adattamenti inaspettati come per “Napoli 55”, quando il chitarrista inizia un lunghissimo assolo, che confluisce in quello di “The Wall” dei Pink Floyd. C’è poi spazio per ricordare Ugo Tognazzi, Mia Martini ed Enzo Tortora ai quali dedica un riadattamento de “La calunnia è un venticello” dal Barbiere di Siviglia. E poi rock, ska e blues, un accenno alla smorfia napoletana il tutto insieme alla sua inseparabile armonica e al kazoo.
Da bravo cantastorie, Bennato incanta con i suoi racconti con cui accompagna quasi ogni brano: nessun discorso superficiale e non solo narrazioni sul passato. Tanti gli spunti di riflessione e le critiche (non tanto) velate ai problemi sociali e politici che toccano la nostra quotidianità. Come dopo “Nisida” quando, oltre alla buonanotte, il musicista augura ai presenti di liberarsi dai pregiudizi e dalle convinzioni.
Poi buio e silenzio. Ed emozioni che combattono con nuove consapevolezze. Come quella che un cantautore, di quasi ottant’anni, in due ore ha regalato un’istantanea del mondo che ci circonda in modo secco e duro, ma addolcito con quelle che (non) “Sono solo canzonette”. Per questo “L’Isola che non c’è” esiste. Ed è Bennato stesso a dimostrarlo.
È il primo luglio e il sole sta tramontando sul Parco della Certosa: questo lo scenario della terza serata del Flowers Festival 2023, che vede protagonisti Olly e Rosa Chemical. Entrambi reduci dall’ultima edizione di Sanremo (hanno partecipato rispettivamente con “Polvere”, certificato disco d’oro, e “Made in Italy”, disco di platino), i due cantanti hanno intrattenuto il pubblico di Collegno con due set durati all’incirca un’ora ciascuno.
A dare il via alla serata è Olly con il suo brano “Una vita”, traccia di apertura dell’album Gira, il mondo gira. Sin da subito il cantante genovese sottolinea il suo legame con Torino, città dove ha iniziato la collaborazione con il produttore JVLI: questa connessione è ulteriormente consolidata dalla presenza sul palco di Oliver Green, rapper di Nichelino con cui canta “Non ho paura”.
Durante lo spettacolo Olly mantiene un approccio affabile e goliardico con il pubblico, trattando i suoi fan come se fossero amici di vecchia data; a loro volta gli spettatori non si sprecano con i regali, e nel giro di un’ora il cantante riceve tre reggiseni, un paio di sigarette e una bandiera della Liguria. A metà concerto arriva anche una richiesta dalla prima fila: una fan chiede un “balletto” e, dopo un breve scambio di battute, l’intraprendenza della ragazza viene premiata con un invito sul palco durante l’esibizione di “Bianca”. Al termine dello show, concluso con “Polvere”, Olly scende dal palco e dedica qualche minuto ai fan per foto e autografi.
Breve pausa prima dell’arrivo di Rosa Chemical, che viene chiamato con calore dal pubblico: il rapper, nato a Rivoli e cresciuto ad Alpignano, inizia il suo set con “Polka 3”. Gli spettatori saltano e rappano con lui, non mancando di completare i versi delle sue canzoni quando viene loro porto il microfono. Accompagnato da due musiciste e da una pole dancer, Rosa Chemical alterna alle sue hit alcune cover tra cui “America” di Gianna Nannini, “COMINCIA TU” (la versione di “A far l’amore comincia tu” di Raffaella Carrà proposta durante la serata delle cover di Sanremo 2022 come ospite di Tananai) e “50 Special” dei Lunapop.
Rosa Chemical si prende un momento durante il concerto per leggere una lettera scritta prima dell’inizio della tournée estiva: il discorso inizia con un ringraziamento generale per chi l’ha sostenuto in questi mesi e termina con l’incoraggiamento a essere sempre noi stessi, senza badare a occhiatacce e commenti negativi. La serata si conclude con “Polka” e con un bis di “Made in Italy”, già eseguita nella prima parte dello spettacolo. Prima di lasciare il palco, il rapper fa un saluto speciale alla madre e alla nonna, che hanno assistito al concerto dietro le quinte.
Alcuni fan temporeggiano prima di uscire, nella speranza che Rosa Chemical si fermi a scambiare due parole con loro; altri si fermano per prendere qualcosa da mangiare, e c’è chi riguarda i video della serata. Ciò che colpisce di questo pubblico è quanto sia variegato: due cantanti che potrebbero essere associati ad un mondo di giovanissimi, vengono seguiti con veemenza anche durante persone più adulte, che durante lo show ballano e si scatenano.
Con l’arrivo della mezzanotte il Parco della Certosa si svuota, ma nonostante la fine della serata, rimane nell’aria un’atmosfera tutta rosa, sesso e libertà, pronta a cedere il passo agli artisti che si prenderanno la scena nei giorni a venire.
Collegno ha accolto i cuori solitari e ardenti dei bambini cresciuti, con gli anni ‘90 che ormai sono finiti, qualche ricordo di come si era a vent’anni e di come si è oggi. Lo scorso 30 giugno Giancane prima, gli Zen Circus dopo hanno cantato e suonato davanti ad una folla colorata di ombrelli, k-way e giacche impermeabili: al Flowers Festival la pioggia non ferma la voglia di musica.
Reduce dalla gloria internettiana dopo aver firmato le sigle delle due serie Netflix di Zerocalcare (“Strappati lungo i bordi” nel 2021 e l’ultima “Questo mondo non mi renderà cattivo”, 2023), Giancane apre con la sua band e fa un figurone che forse non si aspettava nemmeno lui. Sarà il romanaccio, che fuori dai confini di Lazio, Campania e Umbria, è un passepartout di simpatia a priori, sarà la semplicità, efficacissima, di canzoni che sembrano uscite dalla scuola punk alternativa italiana di fine millennio, Giancane piace parecchio alla folla. Non accade spesso che un opening act non si becchi perlomeno una sbuffata dal fan che vuole soltanto saltellare sul suo gruppo preferito che sta per arrivare. Eppure, a suon di “Vecchi di merda” e le gocce che imperterrite annacquano bionde medie e Spritz Martini, Giancane può lasciare il palco soddisfatto.
Bambini con i tappi per le orecchie sulle spalle dei papà, qualche timido ombrello sparso, la Lavanderia a Vapore che incornicia e protegge la provincia torinese dal volume e i decibel del festival, qualche coppietta smorza l’attesa con bacetti e selfie da postare. E alla fine, il momento di saltellare arriva. Gli Zen Circus sono in ottima forma: una bella scaletta mista, vecchie glorie spaccacuore e le novità dall’ultimo album, Cari fottutissimi amici. Un live che fila liscio dall’inizio alla fine, pochi punti morti, qualche goliardia da toscanacci che fa sempre colore, pure il momento intimo voce e piano per riposare le orecchie dai distorsori.
Tra i capostipiti della prima ondata degli indipendenti in Italia, gli Zen Circus sono sempre stati sostanzialmente fedeli a sé stessi, ai messaggi che hanno sempre voluto veicolare, al sound che hanno sempre voluto avere. E si capisce facilmente perché sembra non esserci stato un ricambio di pubblico da vent’anni: a guardarle, quelle facce estasiate, un po’ contrite mentre cantano “io quando avevo vent’anni ero uno stronzo”, con qualche ruga in più, si vede ancora la stessa rabbia, la stessa fame, lo stesso dolore. E se c’è una cosa che è stata chiara a tutti, in fondo, è che l’anima conta, eccome.
Iniziato il 29 Giugno, il Flowers Festival 2022 si è concluso il 16 luglio 2022 con il concerto della cantautrice Ariete, che si è raccontata sul palco in modo semplice e spontaneo.
Con Specchio Tour 2022 Ariete è già al suo secondo tour a soli vent’anni d’età. La giovane cantautrice ha avviato la sua carriera negli anni della pandemia, e in poco tempo le sue canzoni di carattere intimo hanno fatto il giro di tutta Italia; indubbiamente la sua fama è figlia dei social network: su TikTok vanta 514.7K di followers e negli anni è stata capace di costruire un ottimo dialogo con i suoi fan.
Dalla pagina Facebook del Flowers Festival, foto di Fabio Marchiaro
La platea è gremita di ragazzi, pronti a riprendere con il cellulare il suo arrivo sul palco. Dopo una lunga attesa ecco comparire Ariete (pseudonimo di Arianna Del Giaccio) vestita con una salopette di jeans e un cappellino arancione. Emerge subito la personalità trasparente e priva di ambiguità della cantautrice: caschetto nero, identità gender fluid e voce inconfondibile. Ad aprire il concerto è il brano “L’ultima notte”, cantata e suonata con la chitarra elettrica dalla stessa Ariete, mentre per i pezzi successivi viene raggiunta da Emanuele Fragolini alla batteria, Jacopo Antonini al basso e alle tastiere, e Alessandro Cosentino alle chitarre.
Durante tutto il concerto i fan lanciano e regalano ad Ariete in segno di affetto i più disparati oggetti, tra cui un reggiseno con all’interno delle sigarette, una bandiera della pace, delle ciabatte a forma di unicorno… tutte cose che la cantante userà sul palco durante la sua performance. Ariete si dimostra molto gentile verso tutti, reagendo a ciò che succede con una grande ironia e leggerezza.
Foto di Fabio Marchiaro
A circa metà concerto arriva l’evento più atteso dai fan: come è tradizione nei suoi concerti, Ariete sceglie due persone dal pubblico che abbiano qualcosa di importante da dire, a cui tengano particolarmente, dandogli la possibilità di salire sul palcoscenico. La cantautrice prima suona una versione acustica di “Venerdì” e poi dà la parola a Sara e a Sofia. La prima fa un appello per chi soffre di autolesionismo, e condividendo la sua esperienza, sprona a perseguire il proprio benessere mentale, mentre la seconda celebra l’anniversario di due amici, leggendo la loro storia d’amore. Il pubblico ascolta partecipe e la cantante è in grado di fare da mediatrice, in modo che non sia pura esibizione del dolore, ma piuttosto racconto e condivisione.
Dalla pagina Facebook del Flowers Festival, foto di Lorenzo De Matteo
Uno dei momenti più emozionanti di tutto il concerto è l’esecuzione di “Spifferi”: da sola sul palco, Ariete canta accompagnandosi al piano, e il pubblico, con tutte le luci accese e alzate al cielo, si emoziona e canta il brano con le lacrime agli occhi.
A un primo ascolto potrebbe trasparire dai testi di Ariete una sorta di ingenuità, ma dietro cui c’è anche una grande consapevolezza. Per quanto le sue canzoni sembrino avere poco a che fare con una vera e propria scrittura musicale, ma risultino piuttosto essere dei flussi di coscienza confidenziale accompagnati dalla musica, bisogna riconoscere il grande talento dell’artista che, sostenuta da tutto il suo team, è in grado di far vivere ai fan un concerto in cui si possano sentire a casa; concetto perfettamente espresso dalla frase «Le mie braccia sono il posto in cui potrai ripararti, in cui potrai ripararti» del brano “Cicatrici” scritto in collaborazione con Madame, con cui Ariete chiude il concerto.
Dalla pagina Facebook del Flowers Festival
Non ci poteva essere dunque titolo più azzeccato per il primo album della cantante, Specchio, uscito 25 febbraio 2022 con l’etichetta Bomba Dischi: una generazione si è riflessa nei suoi testi, e in ciò va ricercata senz’altro la radice del successo di Ariete. La musica ha aiutato lei e ora, a specchio, aiuta i suoi fan. Le sue canzoni si trasformano in uno strumento per affrontare le montagne russe e le insicurezze tipiche dell’adolescenza, diventando per i giovani ragazzi un modello a cui fare riferimento.
Ad un mese dall’uscita dell’ultimo album, gli Eugenio in via di Gioia non hanno perso tempo per tornare sui palchi italiani, ritrovarsi e recuperare la bellezza derivante dallo stare insieme. Il 15 luglio è la volta del Flowers Festival che li ha ospitati, insieme ai rovere, sul palco del Parco della Certosa di Collegno.
Ad aprire il “doppio” concerto sono stati i Mons, band di Grugliasco, che per l’occasione ha ricevuto una targa di riconoscimento dal sindaco della città. La rock band è in parte conosciuta grazie alla partecipazione al programma RAI “The band”, dove è stata seguita dal cantautore Marco Masini. In pochi secondi i Mons riescono a conquistare anche chi ancora non li conosce e scaldano il pubblico in attesa dell’inizio del concerto. La folla balla e si diverte, rimanendo piacevolmente incuriosita dalla forza espressiva dei cinque giovani sul palco.
I rovere sul palco del Flower Festival (foto di Alessia Sabetta)
Sono le 21:00 quando i rovere salgono sul palco e, dopo i primi accordi di “astronauta” – brano tratto dall’album dalla terra a marte, uscito lo scorso febbraio – arriva Nelson Venceslai, il frontman della band, che con il microfono in mano, un cappellino lilla in testa e un po’ d’ansia in volto, dà “il la” ai fan pronti a cantare con lui. I rovere erano attesi all’Hiroshima Mon Amour (locale torinese ed ente organizzatore del festival) lo scorso marzo, ma a causa della pandemia il concerto è stato posticipato. La band è stata dunque “promossa” a opening act degli Eugenio, all’interno del “tour 2022” della band bolognese.
I rovere provano a coinvolgere i fan con brevi dialoghi che introducono la maggior parte dei brani; il concerto dura un’ora circa e vengono alternati alcuni singoli del nuovo album a brani più vecchi e conosciuti dal pubblico più affezionato.
Foto di Alessia Sabetta
Il gruppo si diverte, nonostante la confessione del cantante di un’iniziale preoccupazione di non essere all’altezza della situazione. Tra una canzone e l’altra, trasformano una gaffe in un momento su cui ridere tutti insieme: per tutta l’attesa prima del concerto (già mentre i fan in fila ascoltavano il sound-check), infatti, si vocifera di un “segreto” non celato, che riguarda Nelson e la sua incapacità di ricordare i testi delle canzoni. Già dal primo brano i più attenti si rendono conto di alcune modifiche estemporanee che vengono sottolineate dai musicisti della band (Lorenzo Stivani alla tastiera, Luca Lambertini alle chitarre) e da Nelson stesso, che urla di aver sbagliato quando se ne rende conto. Il tutto diventa ancora più divertente quando suonano la canzone “looney” in cui un verso recita «Canto una canzone e sbaglio le parole», su cui tutti cominciano a ridere captando la reference. Commovente il momento in cui il palco si svuota e rimangono Nelson e il chitarrista Pietro Posani, che inizia a suonare il brano “crescere” in versione acustica creando un clima molto intimo. Ancora qualche altra canzone e si arriva alla chiusura del concerto, con il brano “peter pan”. Il gruppo si congeda annunciando l’inizio della seconda parte della serata.
Gli Eugenio in Via Di Gioia, come da programma, arrivano sul palco alle 22:30 e aprono la data torinese del tour “Amore e Rivoluzione” con il brano di apertura dell’album omonimo, “Quarta rivoluzione industriale”. Il gruppo si esibisce in casa, nella città che li ha visti crescere negli ultimi dieci anni, durante i quali sono passati dall’essere sconosciuti al distinguersi sul panorama nazionale e internazionale al punto da ricevere addirittura la nomina dal comune di Torino come ambasciatori delle eccellenze.
Nonostante questo concerto arrivi alla metà del tour, i ragazzi sembrano aver appena iniziato, assaliti da sentimenti di preoccupazione misti ad adrenalina, speranzosi di essere apprezzati ma coscienti di avere di fronte un pubblico pronto a sostenerli. Da subito si appropriano del palco con l’energia che li contraddistingue conquistando il pubblico, piuttosto eterogeneo, composto anche da bambini – in prima fila – e dai loro genitori, con indosso magliette del merchandising.
Eugenio in Via Di Gioia (foto di Alessia Sabetta)
Il concerto prosegue serenamente insieme al gruppo Senza fiato (trombone, tromba, sax e percussioni), che aveva già suonato con la band in altre occasioni. Tra brani del nuovo album e quelli più datati, si presentano sul palco due ospiti: Michelangelo Di Gioia, papà di Paolo Di Gioia (batteria e percussioni), che suona qualche brano alla tastiera e, a sorpresa, Duffy che entra con un tamburello durante la canzone “Plot twist”, di cui è il produttore. Immancabile il cubo di Rubik gigante lanciato alla folla perché lo scombinasse, in modo da permettere a Eugenio Cesaro (cantante) di risolverlo durante l’esecuzione di “Prima di tutto ho inventato me stesso”.
A un certo punto la band chiede il silenzio e il pubblico, come stregato, si calma, permettendo l’introduzione di “Giovani illuminati”, inno che la band aveva regalato − qualche anno fa − ai millennials totalmente assorbiti nel digitale e «illuminati da una realtà a risparmio energetico», come recita il testo del brano. Spiritosa, invece, la presentazione di “Non vedo l’ora di abbracciarti” che vede Lorenzo Federici (basso) ed Emanuele Via (tastiere e fisarmonica) coinvolti in un siparietto in cui impersonano – grazie ad un effetto sonoro– le due vocine in conflitto nella testa di Eugenio. Lo scambio diverte il pubblico ma anche gli artisti sul palco, che improvvisano le battute a suon di botta e risposta prima di lasciare posto al brano. L’emozione coinvolge anche la band: Eugenio si toglie l’auricolare e rimane affascinato dalle voci del pubblico che sovrastano la musica e, suggerisce ai suoi compagni di fare lo stesso, per poter percepire la magia del momento.
Eugenio mostra il cubo appena risolto mentre canta (Foto di Alessia Sabetta)
Il concerto degli Eugenio in Via di Gioia sembra una serata tra amici (migliaia di amici) che si rincontrano ad una festa e cantano insieme, lasciando da parte tutte le preoccupazioni. Non esistono barriere, il palco non rappresenta un impedimento, non pone distanza con il pubblico. Il rapporto con quest’ultimo, sempre molto sincero, rimane una componente importante del gruppo, che coinvolge i fan in qualsiasi occasione possibile. Una delle ultime è stato il flashmob in piazza San Carlo a Torino, quando un pacifico esercito di fan ha creato insieme alla stessa band la scritta “Ti amo ancora” per il videoclip di “Terra”, brano con cui si conclude il concerto.
Foto di Alessia Sabetta
Alla fine della serata, i fan si dirigono all’uscita ancora affascinati dall’amore e dal desiderio di cambiare il mondo con un’azione collettiva. Consapevoli che l’invito da parte della band ad un cambiamento di rotta ha, in qualche modo, attecchito. Non saranno gli anni delle rivoluzioni e della controcultura hippie, ma la potenza trainante degli Eugenio sembra rappresentare il nuovo orizzonte del cambiamento.
Al Flowers Festival di Collegno nella serata del 13 luglio 2022 è stata la volta di Margherita Vicario e Ditonellapiaga che hanno fatto ballare ed emozionare il pubblico. Le due cantautrici hanno portato sul palco con coraggio le loro forti personalità, raccontandosi con le loro scelte stilistiche e i loro testi; in punti diversi delle loro carriere, ma entrambe con alle spalle una formazione anche di tipo teatrale, entrambe si distinguono per i loro progetti mai scontati e frutto di un’autentica ricerca personale.
Foto di Isabella Ravera
Ad aprire il concerto è stata Caffellatte (nome d’arte della cantautrice, attrice e scrittrice barese Giorgia Groccia, classe 1994), che con la sua delicatezza e essenzialità ha regalato al pubblico una golden hour accompagnata da note leggere e malinconiche.
Poi arriva il momento dei set principali, e sul palco sale per prima Ditonellapiaga (pseudonimo di Margherita Carducci, cantautrice romana classe 1997), che apre il concerto con “Morphina” per poi alternare pezzi dalle facce mutevoli – come richiama il titolo del suo album d’esordio Camouflage –, ma che mantengono un’anima comune. Senza grandi scenografie, accompagnata da una band (Benjamin Ventura alla tastiera, Alessandro Casagni alla batteria, AdrianoMatcovich al basso) e con la sua forte presenza scenica, Ditonellapiaga riesce a far vibrare il palco, non risultando mai ripetitiva e coinvolgendo il pubblico.
Spiccano indubbiamente le sue capacità performative: molto attento è l’uso del movimento, con momenti di coreografia veri e propri, che sembrano richiamare modelli internazionali come Madonna e Britney Spears. Non da meno è la capacità interpretativa della cantautrice, che emerge sia negli intermezzi recitativi, sia nel canto, e che rende il suo live dinamico e mai piatto.
Elettrica e brillante, Ditonellapiaga lascia il pubblico carico di energia e curioso di vedere quali saranno le sue future evoluzioni come artista.
Foto di Isabella Ravera
A seguire è il momento di Margherita Vicario, che non manca mai nel dimostrare il suo affetto per Torino. Subito prima del concerto scrive in un post su Instagram: «Torino le ho scritte tutte lì da te! Con alti e bassi, è dal 2018 che vuoi bene anche a me.» E il pubblico torinese non può che ricambiare, cantando a squarciagola ogni canzone.
Dietro di lei, a fare da scenografia sono tre pannelli bianchi su cui compaiono le parole “Egalité”, “Fraternité” ed “Abaué”, quest’ultima titolo del primo singolo pubblicato sotto InriTorino e che nel 2019 ha sancito l’inizio della sua collaborazione con Dade, musicista e produttore torinese e fondatore della stessa Inri.
Per chi l’aveva conosciuta agli esordi con l’album Minimal Musical e per brani come “Il bacio” e “Il responsabile”, la pubblicazione di “Abaué” e dell’album Bingo sono stati un mix di stupore e sorpresa. La cantautrice Margherita Vicario di strada ne ha fatta parecchia e, senza mai tradire la sua identità, è passata da suonare in compagnia solamente della sua chitarra, a un progetto completo e maturo, dal sound unico in tutta Italia.
A circa metà concerto le viene portata proprio una chitarra e la cantante introduce il brano “Frollino” così: «Ora posso farvela sentire come l’avevo immaginata, grazie a questa band fantastica». A seguire l’esecuzione del brano, dapprima in versione acustica e poi con l’accompagnamento di tutta la band (Davide Savarese alla batteria, Stefano Rossi al basso, Cristiana Della Vecchia alla tastiera, Elisabetta Mattei al trombone, Riccardo Nebbiosi al sax contralto e Giuseppe Panico alla tromba). Da sottolineare la bravura della corista Micol Touadi, a cui Vicario lascia ampio spazio solistico nel corso del concerto.
Foto di Isabella Ravera
Il motivo di “Abaué” fa da filo conduttore e ritorna più volte durante il live, fino a conclusione. Margherita Vicario incita il pubblico a una sorta di rito di chiusura: un gioco corale a due voci, su cui la cantautrice improvvisa frasi vocali. I fan assistono al suo volteggiare in una danza ricca di espressività, dai caratteri quasi rituali: una donna sicura di sé che può finalmente liberarsi nello spazio che la circonda.
Una cosa è certa: Willie Peyote è uno degli artisti torinesi più amati dai suoi concittadini. Venerdì 8 luglio il rapper e cantautore torinese ha avuto finalmente l’occasione di “tornare a casa” — precisamente nella cornice del Flowers Festival a Collegno —, proponendo un grande live per tutti i suoi fan che lo attendevano da tempo.
Willie Peyote @ Flowers Festival – foto di Erika Musarò
Ad aprire il concerto ci ha pensato Michael Sorriso, rapper classe ’90 originario proprio di Collegno, che negli ultimi anni è riuscito a farsi notare e apprezzare da vari artisti della scena torinese e non. A suon di rime ha riscaldato il pubblico presente, preparandolo al meglio.
Willie Peyote @ Flowers Festival – foto di Erika Musarò
Dopo un’ora di live, tocca al protagonista della serata. Sono le 22:30, il palco è ancora in preparazione ma la gente urla e reclama Peyote sul palco. Un’esplosione di luci e la voce di Michela Giraud aprono il concerto e il rapper finalmente fa la sua comparsa cantando “Fare schifo”, brano che ha anticipato l’uscita dell’ultimo album Pornostalgia (2022) e che vede proprio una collaborazione con la nota comica; è un brano che ricorda il bello di non essere perfetti, soprattutto quando la ricerca della perfezione comporta un perenne senso di insoddisfazione.
Da subito il pubblico dimostra di essere preparato ad intonare a memoria ogni singola canzone della scaletta. Ad ogni nuovo brano un coro si alza dal pubblico, creando un’atmosfera di condivisione veramente unica. Questa sensazione rimane presente per la durata di tutto il concerto, che vede susseguirsi brani tratti da Pornostalgia ma anche pietre miliari della carriera del rapper come “Willie Pooh”, “Porta Palazzo” e “Semaforo”. Non sono mancati i momenti di denuncia sociale, con riferimento a tematiche da sempre trattate anche nelle canzoni di Willie Peyote, come il razzismo e la questione climatica. Tante anche le citazioni nel corso del concerto, dagli Arctic Monkeys a Dr. Dre, sapientemente utilizzate come apripista ad alcuni dei suoi singoli.
Willie Peyote @ Flowers Festival – foto di Erika Musarò
Anche questa volta Willie Peyote ha dimostrato di rimanere coerente con la cifra stilistica che lo ha da sempre contraddistinto: è raro, infatti, che un rapper si faccia accompagnare da una band —in questo caso dalla All Done, band formata da Luca Romeo (basso), Dario Panza (batteria), Daniel Bestonzo (tastiere synth), Enrico Allavena (trombone) e Damir Nefat (chitarra) —. Sicuramente una scelta che contribuisce a rendere ancora più spettacolare ed emozionante ogni suo live.
Sono le 21:30 di lunedì 4 luglio 2022 quando il palco del Flowers Festival di Torino viene invaso da esseri erbacei che serpeggiano in modo minaccioso: non è un’invasione aliena, ma l’inizio del concerto di Caparezza (anche se ci sarebbero poche differenze tra le due).
Caparezza affronta il suo passato sotto forma di musicassetta/gogna, assieme al vocalist Diego Perrone (foto: Mattia Caporrella)
Il festival, organizzato da Hiroshima Mon Amour e ospitato nel Parco della Certosa Reale di Collegno, accoglie la sesta data dell’Exuvia Tour: un tutto esaurito all’insegna dei brani dell’omonimo ottavo album del rapper pugliese. Un pubblico temerario e appassionato, che ha sfidato sole e pioggia sin dalle prime ore del mattino e nell’attesa, ammazza il tempo lanciando aeroplanini di carta verso il palco (non senza esultazioni a bersaglio centrato), fin quando Caparezza apre il suo spettacolo: primi brani in scaletta “Canthology”e “Fugadà”.
Un concerto che si muove tra numerose scenografie e costumi incentrati attorno alla natura, la foresta e i riti di passaggio. Nelle due ore e un quarto dello spettacolo se ne vedono di tutte: da serpenti e mantidi religiose giganti per “Contronatura”, fino all’adulazione del Dio Cicala, insetto simbolo di Exuvia («può sembrare una bestemmia ma non lo è, giuro» sottolinea Caparezza), che introduce “Vieni a ballare in Puglia”. Il siparietto che convince di più è un’allegoria sui social media, avvelenati dalla «fede cieca nelle proprie convinzioni» raccontata attraverso una versione esilarante dell’Orlando Furioso, trampolino di lancio per “Vengo dalla Luna”, immancabile nelle scalette di Caparezza.
Una delle scenografie più di spicco: un castello di carte per “Il mondo dopo Lewis Carroll” (foto: Mattia Caporrella)
Caparezza, oltre alla sua fidata e talentuosa band, si avvale di quattro performer che coprono un ruolo a metà tra ballerini e attori teatrali, trasformando lo spettacolo in un vero e proprio circo della foresta. Non mancano i brani più intimi, in cui spicca molto di più il lato musicale: in particolare l’arrangiamento di “La Certa” dona al brano, già potentissimo, un’energia ancora più folgorante.
Verso il finale, un papà avvicina la lettera di suo figlio per il rapper al palco: con un sorriso sincero, Caparezza ringrazia e chiude il set principale con “Ti fa stare bene”. Il bis è affidato a «una canzone che è stata il mio rito di passaggio, che per un periodo ho anche smesso di suonare perché sono una testa calda. Ve la dedico, perché il vostro rito di passaggio arriverà senz’altro». La canzone in questione, “Fuori dal tunnel”, lascia il pubblico in un’atmosfera gioviale e di sgomento: un po’ per il caldo (nota di merito al festival che ha prontamente fornito acqua gratuita durante tutta la giornata), un po’ per lo spettacolo di altissimo livello musicale, teatrale e culturale che si è appena concluso. Solo Caparezza riesce in questo: i suoi concerti sfiorano l’happening, ma sono molto di più: sono celebrazioni trionfanti del mondo dell’immaginario – del resto «art is better than life», – «l’arte è meglio della vita» -, e questo il rapper di Molfetta lo sa bene.
Caparezza e i suoi performers in preghiera al Dio Cicala (foto: Mattia Caporrella)
Immagine in evidenza: Mattia Caporrella
A cura di Mattia Caporrella
La webzine musicale del DAMS di Torino
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