J’accuse di Roman Polanski è tante cose. È un atto di denuncia, una spy story, una meditazione politica, ma è anche una minuziosa immersione storica in un periodo cruciale dove, a partire dall’affaire Dreyfus, si preparano lentamente le due catastrofi che coinvolgeranno il mondo. In questa sfaccettata ricostruzione della Francia di fine Ottocento, attenta ai grandi e ai piccoli fatti, c’è spazio anche per due frammenti dedicati alla musica.
Il primo è all’incirca a metà film: in un elegante salotto di Parigi (dove, come racconta Proust, Dreyfus era il principale argomento di contesa) il tenente colonnello Picquart e sua cugina Pauline assistono a un concerto, scambiandosi un’occhiata tra il pubblico. Polanski, per questa scena, sceglie un compositore contemporaneo ai fatti rappresentati: Gabriel Fauré, e in particolare il primo movimento (Allegro molto moderato) del Quartetto con pianoforte n. 2, op. 45. Questo brano, infatti, fu eseguito per la prima volta nel 1887, appena sette anni prima dell’inizio dell’affaire Dreyfus, e da allora è rimasto uno dei lavori più conosciuti di Fauré. Il suo primo movimento, ancora rispettoso della tradizionale forma sonata coi due temi in contrasto, rispecchia musicalmente la tensione che di lì a poco, quando Zola pubblicherà il celebre articolo su «L’Aurore», si respirerà in tutta la Francia e in tutti i salotti, probabilmente anche in questo, che ora accoglie tra i presenti Roman Polanski himself (il primo da sinistra), munito di un paio di baffoni à la Fauré – che lo impersoni davvero?
L’intera scena dura in tutto meno di un minuto. C’è un altro accenno, più breve e più evocativo ancora, in cui Picquart, rientrando a casa e trovandola devastata dalle perquisizioni, accenna sommessamente al pianoforte il Cigno dal Carnevale degli Animali di Camille Saint-Saëns (di nuovo un compositore francese che visse durante l’Affaire), il primo motivo che gli è venuto in mente con in corpo ancora tutta la frustrazione dell’interrogatorio ingiusto e ipocrita che ha appena subito. Molto raffinata, dal punto di vista storico, la scelta di questo brano: infatti, sebbene scritta nel 1886, la suite del Carnevale degli Animali fu eseguita pubblicamente nella sua integralità soltanto nel 1922, postuma per volontà dell’autore, che permise solo a un brano, dei 14 che compongono la suite, di circolare nelle sale da concerto durante la sua vita: proprio al Cigno. Picquart, che ricevette una buona educazione musicale da suo padre, anche lui funzionario militare, suona senza avere neanche lo spartito davanti a sé, come se il tema memorizzato gli affiorasse inconsciamente dalle dita mentre pensa ad altro. La dolcezza del brano di Saint-Saëns si libra in mezzo al disordine per una quindicina di secondi, interrotto bruscamente da un toc toc alla porta che riconduce immediatamente Picquart alla realtà amara in cui si trova. Forse, con l’incanto sospeso di quelle poche battute, era riuscito per un attimo a dimenticarsene.