Il rapporto tra colore e musica è da tempo oggetto d’indagine nonché motivo d’interesse per molti artisti: Kandinsky era noto per la forte influenza esercitata dalla musica sulle sue opere. Il termine tecnico per questo fenomeno è cromestesia, ma comunemente si parla di sinestesia, ovvero una percezione visiva unita ad altri stimoli sensoriali. Quest’anno il tema della stagione concertistica dell’OFT si sviluppa proprio a partire da questo concetto sinestetico: associare ad ogni concerto un colore. Per questo l’OFT ha chiesto all’artista torinese Elena Giannuzzo, che è anche musicista, di realizzare nove quadri astratti, pensati a partire dai programmi di ogni concerto, in modo che fosse ancora più interessante addentrarsi in questo unicum di musica e colore. I colori da sempre generano sentimenti ed evocano emozioni. Così la stagione “Colors” si sviluppa in un gioco di rimandi alimentato dalle immagini che accompagnano i singoli concerti.
I due concerti Gold e Platinum del 16 e del 27 aprile sono stati trasmessi in streaming, probabilmente gli ultimi in tale modalità con l’evolversi delle disposizioni sanitarie. Tutte le serate si aprono con la lettura di un componimento poetico del giornalista Lorenzo Montanaro, in tema con il colore della serata. Nella chat dello streaming l’account dell’OFT aggiorna il pubblico su ogni brano con dei brevi messaggi contenenti informazioni sulla storia e la forma del componimento, piccolo surrogato di un programma di sala.
La serata Gold si apre con L’arte della fuga di Bach, l’ultima opera del grande compositore, rimasta incompiuta. L’OFT ci ricorda che la strumentazione non è indicata da Bach, essendo questa un’opera speculativa e teorica. Tutti i contrappunti che sentiamo sono a quattro voci, due fughe e una controfuga. Abbiamo modo, così, di ascoltare il tema principale senza variazioni, per poi ascoltarne l’evoluzione nella controfuga. I musicisti sono disposti a ferro di cavallo, illuminati da pochi faretti, con il palco immerso in una penombra che lascia spazio a un gioco di luci su tinte blu, proiettate sul soffitto con un moto ondivago, più altri flebili sprazzi luminosi alle pareti. Uno schermo luminoso proietta i quadri di Elena Giannuzzo, creando uno sfondo astratto in linea con le molteplici interpretazioni che si possono dare alla musica.
Il programma continua con i Liebeslieder waltzer di Brahms. Originariamente scritti per pianoforte e coro a quattro voci, abbiamo l’occasione di sentirne una versione cameristica, che ci permette di apprezzare appieno le raffinatezze armoniche e contrappuntistiche dell’opera. Sono pagine di un’intessitura melodica corposa e suadente: si ha l’impressione di trovarsi in ascolto di una dimensione a metà fra un valzer dell’epoca e un balletto di fine ottocento, sospesi in una piacevole sensazione di atemporalità.
La serata si chiude con una delle più controverse(al tempo) opere di Beethoven, nonché una delle più celebrate: la Grande fuga (Große Fuge) in Si bemolle maggiore op. 133. Ascoltandola si intuisce perché all’epoca fu accolta negativamente e giudicata troppo ardua per gli esecutori contemporanei. Dopo un inizio cupo ma lento, inizia una frenetica corsa in cui gli strumenti si inseguono, si ritrovano all’unisono e di nuovo si separano. Acute note ripetute creano un senso di apprensione e turbamento, trascinando l’ascoltatore in un vortice di emozioni. A seguito di quest’apertura folgorante, si susseguono più sezioni che variano per ritmo e tonalità, dai toni più distesi, fino ad arrivare progressivamente al finale, che dopo una breve ricapitolazione del materiale tematico, si conclude con una brillante coda in tonalità maggiore.
È ancora più romantico il programma della serata Platinum: si apre con il celebre Concerto per violoncello e orchestra in La minore, op. 129 di Schumann, seguito dalla Serenata in mi maggiore per archi op. 22 di Dvořák. Sul podio c’è Enrico Dindo, in veste di solista e direttore insieme. Figlio d’arte, dopo essere stato primo violoncello dell’Orchestra del Teatro alla Scala, vince il primo premio al concorso Rostropovich. Nel corso della sua carriera, tra gli altri, ha lavorato con Riccardo Chailly, Riccardo Muti e lo stesso Rostropovich.
Il concerto di Schumann è l’esempio più alto di questo tipo di composizione: sarà infatti di ispirazione per molti compositori di epoca successiva. È sicuramente l’adagio il momento più intenso del concerto: una melodia sognante e spensierata del solista si innesta su un pizzicato dei violini, che si alterna a momenti d’insieme dove le linee melodiche si fondono a creare un unico disegno musicale, un’epitome del romanticismo.
La Serenata di Dvořák ci offre uno sguardo sulla musica romantica in chiave boema: nonostante una forma allineata ai canoni della musica occidentale, molti temi richiamano le terre slave. Il più iconico è probabilmente il Menuetto in tempo di valse, che si apre con un motivo di arpeggi discendenti ripetuti, dal forte carattere danzante; difficile non pensare alle Danze Slave.
Il concerto si conclude così come il precedente: una digradazione verso il nero dell’inquadratura con l’orchestra vista dalla platea, il tutto nel silenzio impietoso imposto dallo streaming. Gli applausi arrivano sotto forma di commenti nella chat. Tuttavia, ciò diventerà un vago ricordo già da ora, con la progressiva riapertura delle sale da concerto e dei teatri, dove non manca il pubblico ansioso di poter tornare ad applaudire come prima.