Qualche parola per registrare l’enorme successo di Kirill Petrenko a Torino, che ha diretto l’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai nella Terza sinfonia “Eroica” di Ludwig van Beethoven e nel poema sinfonico Ein Heldenleben (Vita d’eroe) di Richard Strauss.
Kirill Petrenko, interprete russo che a 43 anni è stato nominato direttore stabile dei Berliner Philharmoniker, collabora da diversi anni con l’Orchestra Rai: l’ultimo concerto risale al dicembre 2016, dove chi scrive ha avuto la fortuna di ascoltarlo dal vivo dirigere una sinfonia Haffner di Mozart e una Patetica di Čajkovskij entrambe di qualità sonora stupefacente, brillante e smerigliata la prima, mai stata così torbida la seconda. Da quella sera fu tutto un continuo seguire dirette streaming di opere da lui dirette (il Parsifal a Monaco!) e ascoltare file mandati sottobanco con le registrazioni dei suoi concerti in giro per il mondo, aspettando il momento di risentire finalmente dal vivo un talento tanto vulcanico e incontenibile. L’occasione torinese era quindi ghiotta; qualche amico e conoscente da altre parti d’Italia ha preso un treno apposta per sentirlo, e finalmente la sera del 27 aprile si era tutti là, nell’Auditorium Arturo Toscanini. Per di più, molti frequentatori dei concerti della città hanno ascoltato poche settimane prima, per la stagione di Lingotto Musica, la stessa Eroica diretta da un artista, celeberrimo come violinista ma ormai affermato anche come direttore d’orchestra, che risponde al nome di Leonidas Kavakos. Interesse doppio, quindi, nel confrontare due versioni recenti di una sinfonia tanto interessante e complessa.
Per parlare del concerto di Kavakos ci si può sbizzarrire a trovare analogie e metafore di ogni genere, visto il suo modo di dirigere quasi cinematografico: lui esegue una sinfonia concependola come una storia, raccontata creando immagini e dosando pause, movimenti di macchina e colpi di scena in vista di una efficacia “visiva” oltre che sonora. Petrenko, invece, è suono puro, ed è qui la difficoltà nel raccontare cosa ha fatto, visto che ha fatto cose non esprimibili a parole o immagini. Un tratto evidente del suo Beethoven è la pulizia, nel senso di ripulitura e scarnificazione della musica, un’operazione per certi versi simile a quella che aveva fatto Herbert von Karajan nella sua rivoluzionaria integrale beethoveniana del 1963: gli strumenti dell’orchestra hanno un suono quasi nudo, non ci sono né orpelli né effetti plateali, tutto è al servizio della musica così com’è, perché quando si tratta di Beethoven l’architettura musicale non ha bisogno di altro che di se stessa. Billy Wilder diceva che un film è riuscito quando il pubblico non si accorge della regia, e sembra che Petrenko abbia applicato lo stesso principio alla direzione d’orchestra: non abbiamo ascoltato l’Eroica di Petrenko, abbiamo ascoltato l’Eroica di Beethoven.
Per quanto riguarda Ein Heldenleben c’è davvero poco da dire: si tratta di un poema sinfonico, che quindi ha una storia ben definita, e che il direttore deve saper raccontare. Petrenko l’ha fatto con perfetta consequenzialità, mantenendo una tensione musicale continua e un’attenzione sempre alta. Il suono del suo Strauss è un enorme prato rigoglioso di piante esotiche, già condannate alla decadenza appena sbocciate: e così il tema dell’eroe-Strauss, il punzecchiare dei nemici-critici, il violino-moglie che rompe le scatole, insomma, tutta la vita del compositore, che si auto-raffigura in musica con poca umiltà ma geniale ironia, nasce e muore con incredibile ricchezza di colori e di timbri. Non era ancora scoppiato l’applauso più fragoroso della stagione in Auditorium che un signore, approfittando dell’attimo di silenzio subito dopo la fine del brano, ha urlato con quanto fiato aveva in gola: “INCREDIBILE!”.