L’intervista a Luca Romeo, curatore della Jam In Da’ Funk
Una delle jam session più rinomate della città di Torino è sicuramente la Jam In Da’ Funk. Un grande concerto di tanti musicisti che suonano a rotazione, riarrangiando brani conosciuti o creandone nuovi, mescolando funk, soul e R’n’B.
Una domenica al mese, per tutto l’inverno, sul palco del Jazz Club Torino aprivano la serata i Survivor In Da’ Funk, band resident composta da musicisti attivi a livello nazionale, per riscaldare subito l’atmosfera. Appena cominciano a suonare, accade la magia: il pubblico comincia a ballare sulle improvvisazioni dei musicisti, in un’atmosfera che sembra far rivivere gli anni ’70 e ’80.
A termine del settimo anno (pensando fosse il sesto), abbiamo intervistato l’ideatore della Jam Luca Romeo aka Bassista Sabaudo, colui che tira la redini delle serate e tiene a bada musicisti impazienti di salire sul palco a suonare.
Come è nata l’idea di questa jam funk oriented?
«È nata nel “lontano” 2011 dopo l’esibizione di un trio jazz funk di San Francisco (The Park), che tramite amicizie comuni eravamo riusciti a portare a Torino per una data (alle Ginestre, storico locale del circuito jazz).
Il giorno dopo il live organizzammo una jam al volo con il bassista della band in piazza Vittorio. Finita la serata a me e Rocco Voto ci si accese la lampadina, della serie: “perché non tiriamo su una jam Funk?”».
Una jam session dove si balla è qualcosa di insolito. Si tratta di una particolarità progettata o capitata per caso?
«In realtà è stata un’evoluzione (per noi) perché nelle funk jam americane già succedeva. Siamo partiti come ogni altra jam: musicisti che si confrontano e improvvisano sul momento. Non è stata una passeggiata, ma ci abbiamo creduto e non abbiamo mai mollato… ti basti pensare che alle primissime jam al Fluido eravamo sì e no 40 persone; menzione d’onore a tutti i musicisti che hanno partecipato alla creazione dell’embrione In Da’ Funk nei suoi primi anni di vita ed a Luciano Contino (storico Dj del Fluido) che ha creduto fortemente nel progetto, infatti la jam si faceva un venerdì al mese prima della sua serata “Cream Night”.
Dopo il Fluido abbiamo cambiato “casa” tante volte, fino ad arrivare alla dimensione perfetta per questo tipo di serata ovvero il Jazz Club».
In quali ostacoli può incorrere chi vuole organizzare una jam a Torino?
«Posso dirti che sono quasi le stesse alle quali si va incontro quando si vuole organizzare una serata. Nello specifico di una jam, e se ci fai caso negli ultimi anni la “moda” jam è letteralmente esplosa, le difficoltà più grandi sono costruire un substrato, un circuito di appassionati (sia musicisti che non) che supportino la serata. Quello che ho sempre cercato di fare con In Da’ Funk è creare una serata partecipativa per tutti i fruitori della serata, cercando sempre l’equilibrio tra le parti… alla fine è sempre intrattenimento!»
Come hai detto qualche volta, una jam session è fondamentale per la crescita formativa dei musicisti. (Avete ricordi della vostra prima jam e quale valore formativo ha avuto per voi?)
«Certo, la ricordo benissimo!! Presi una strigliata proprio in occasione della primissima jam e proprio da quel bassista di San Francisco… lezione che non ho mai dimenticato!! Credo che alla base di tutto ci sia la comunicazione, la musica deve essere comunicazione (tra tutti i generi e livelli) ed il fatto che la jam sia un territorio fertile in cui sperimentarla non può che far bene ad un musicista. Un musicista indeciso, uno saccente oppure un piccolo fenomeno rivela subito il suo “carattere” in jam… come se la jam funzionasse da specchio. La jam ti permette di avere un riscontro immediato, senza filtri e vista l’epoca super veloce in cui viviamo (e super filtrata da social & co) confrontarsi a viso aperto su un palco non può che fare bene (a patto di avere la giusta consapevolezza, ma questo è un altro discorso ancora…)».
I Survivor In Da’ Funk sono nati ad hoc per la jam o avete dei progetti in grande per questa band?
«I Survivor sono nati ad hoc in occasione del Torino jazz Festival del 2015, per suonare da resident band in un contest di ballo. Negli anni prima il collettivo era “a rotazione” ovvero non composto da musicisti fissi, cambiavo spesso formazione per le aperture della jam e questa cosa volente o nolente ha contribuito alla creazione del circuito di cui ti parlavo poco sopra.
Quando poi siamo approdati al Jazz Club con un appuntamento fisso mensile, e con la serata che è letteralmente esplosa, abbiamo rinvigorito il repertorio andando sempre alla ricerca di brani diversi per aprire e chiudere la jam. Occasionalmente suoniamo al di fuori dalla jam, ma siamo sempre tutti super impegnati (e diciamolo, anche un po’ pigri) per dare continuità alla cosa».
Progetti futuri per la Jam In Da’ Funk?
«Prima dell’inizio della prossima stagione comunque vorrei uscire con un video che comunichi, a chi non c’è mai stato, cosa significa l’esperienza In Da’ Funk.
Nelle mie intenzioni future c’è comunque l’idea di riuscire ad esportare il format anche in altre città d’Italia, dato che molto spesso altri musicisti e persone mi scrivono “figata, perché non la fate anche qui?”».
Considerazioni conclusive di questo sesto anno?
«In realtà è il settimo, ma abbiamo sempre fatto male i conti!! [ride]
Come ogni fine stagione cerco sempre di guardare indietro e capire cosa migliorare o come innovare anche di poco il format della serata… sono sicuro che questi due mesi di stop estivi mi porteranno consiglio, ho già qualche idea non male per la prossima stagione!»
Non ci resta che goderci l’estate e aspettare l’inverno per una nuova edizione della jam più calda della città, dove è impossibile non ballare trascinati dal groove funk!