Entrando a un concerto della De Sono, e in particolare al concerto che si è tenuto in Conservatorio il 14 novembre, l’impressione che ha il viandante musicofilo è quello di essersi ritrovato in mezzo a una festa di famiglia: la De Sono effettivamente lo è, nel modo in cui adotta giovani musicisti a cui offrire sostegno economico, morale e un luogo dove esibirsi, senza perderli poi di vista nello sviluppo delle loro carriere internazionali. Ma lo è anche perché aveva una Mamma, Francesca Gentile Camerana, che ne è stata la fondatrice e l’anima per più di trent’anni: scomparsa nel corso di questa estate 2022, la sua figura è stata ricordata prima del concerto a tutti i presenti, membri della famiglia De Sono e outsider che, in un modo o nell’altro, hanno avuto a che fare con lei: e chiedendo perdono al lettore per l’autoreferenzialità, devo rammentare che persino noi, che pure non meritiamo niente, abbiamo avuto la fortuna di godere della straordinaria generosità di Francesca: è giusto che, nel nostro piccolo, la ricordiamo qui.
Veniamo al concerto: organizzato in collaborazione con la Fondazione Renzo Giubergia, che si propone così di aiutare musicisti promettenti, era in realtà un concerto-premiazione, dove il Premio Renzo Giubergia è stato conferito al Trio Eidos, il quale per l’occasione si è esibito con un programma tutto tedesco e compreso nella prima metà dell’Ottocento: Trio op. 1 no. 3 di Beethoven, Fantasiestücke op. 88 di Schumann, Trio op. 66 di Mendelssohn.
Il Trio Eidos, composto da giovanissimi musicisti romani (di 21 e 23 anni) che si chiamano Ivos Margoni (violinista), Stefano Bruno (violoncellista) e Giulia Loperfido (pianista), è stato selezionato per questo premio mesi fa dalla stessa Francesca Gentile Camerana, che a quanto è stato detto ne era entusiasta: dopo pochi minuti di ascolto non si fatica a capire il perché, e alla fine del concerto, mentre si applaude, si è ancora attoniti dalla sorpresa. Il concerto era sorprendente perché i tre, come si è detto, sono giovanissimi, eppure hanno dato una lettura che non ci si aspetta dal luogo comune che vorrebbe i giovani musicisti dare un’interpretazione estrosa, vitalistica, virtuosistica e tutto quel che s’associa alla giovinezza: hanno invece dato una lettura assolutamente apollinea, dove venivano privilegiati l’equilibrio tra le parti, la chiarezza nella costruzione della forma e soprattutto la tornitura del fraseggio, parola misteriosa con cui s’intende il riconoscere che la frase musicale ha un respiro naturale interno, che non è scritto sullo spartito, e che ciascun interprete plasma coi mezzi espressivi a disposizione del suo strumento.
Il risultato è di una politura raffinatissima, che nel Tema con variazioni del Trio di Beethoven ci ha persino riportato alla mente le vette raggiunte, mutatis mutandis, dal sublime Quartetto Italiano, l’equivalente cameristico di Canova: l’orizzonte estetico è lo stesso, e si inserisce in una tradizione interpretativa italiana riconoscibile: se ascoltate gli stessi brani suonati, per dire, da storici ensemble russi, troverete invece privilegiati, nella maggioranza dei casi, l’estro, l’imprevedibilità, l’accentuazione dei contrasti. Siamo lontani anche da quel che oggi viene lodato nei solisti più famosi e lanciati sul mercato internazionale (per intenderci modello Lang Lang), cioè il capriccio e la libertà dell’interprete “geniale”, come s’usava al tempo dei Romantici.
Niente di tutto ciò: a commuovere sono cose fuori moda come la levigatura timbrica, la profilatura dei temi, l’equilibrio dei pesi sonori, ma attenzione: ciò non significa che manchi l’abbandono lirico richiesto da Mendelssohn o l’energia ritmica propulsiva caratteristica di un pezzo come il Finale dei Fantasiestücke schumanniani: semplicemente questi sono elementi fra i tanti che compongono organicamente (ci scusiamo per l’avverbio chic) la grande architettura formale, o la piccola architettura formale nel caso dei pezzi di Schumann. La cosa sorprendente è che a questi risultati si arriva – se ci si arriva – di solito in tarda età, o più raramente in piena maturità, e questi hanno solo vent’anni! Francesca Gentile Camerana ci aveva preso in pieno: l’Eidos è un Trio da tenere d’occhio e da cui non ci aspettiamo grandi cose, perché le hanno già fatte.
A cura di Luca Siri