È pubblicato da Orchid Classics il lavoro di Jack Liebeck, che la BBC Symphony Orchestra accompagna sotto la direzione di Andrew Gourlay. Riflettendo sulla Storia e l’esperienza della sua famiglia, Liebeck sceglie l’accostamento dei Concerti per violino e orchestra op. 36 e 77 di Schoenberg e Brahms. Comune la persecuzione: ebreo d’origine, Schoenberg scrisse il Concerto quando lasciò l’Europa, dopo l’ascesa al potere di Hitler nel 1933; Walter Liebeck, il nonno del violinista, nel 1934 fu costretto a fuggire dai nazisti in Sudafrica. Mantenendo un vivo legame con il passato, nell’interpretazione si lega affettivamente, sentitamente al contesto. Pronuncia un discorso della memoria – sull’instabilità e l’intolleranza, che ancora appartengono all’uomo di oggi.
Partecipe della crisi del tempo, Schoenberg compose inoltre nel 1947 Un sopravvissuto di Varsavia op. 46, per voce recitante, coro maschile e orchestra, traendolo dal racconto di un testimone. Lo sterminio in serie; la sua violenza trova il culmine nel momento della conta – quando i tedeschi danno l’ordine di contare il numero di ebrei da inviare nelle camere a gas. L’orchestra si compone di grido e dolore, esprimendo quei sentimenti che essi avevano cercato di cancellare insieme ai loro corpi. La scena, di grande impatto emotivo, è percossa dal frastuono. Il linguaggio dodecafonico descrive nelle dissonanze il terrore; il senso allucinante. Da lui stesso elaborato, rappresenta con l’atonalismo – che negava la distinzione gerarchica tra la tonica e le altre note della scala, ora considerate tutte uguali e di pari importanza – la rifondazione del linguaggio musicale.
Il suo Concerto per violino e orchestra (1934-1936) è pervaso da un ostinato drammatico. In apertura il Poco Allegro, affine al modello formale del tempo classico di sonata. Dal basso il violino sale in un crescendo tragico, mentre l’orchestra lentamente accumula il materiale, lo trascina nel registro grave. Un materiale scuro, che viene continuamente preparato e che incede minaccioso. Come se ci fosse qualcosa sempre sul punto di apparire; e non appare, è solo reboante. Quasi sembra di vederlo, ma poi il suono diviene atono. Si ritira in zone d’ombra imprecisate. Lontane, lungamente ruotando intorno a un’ossessione: fare-disfare, comparire-scomparire, tensione-distensione. Un movimento che attraversa interamente il brano. Il violino stride; siamo appesi al filo che tira, e tira. Nell’Andante grazioso la forma è quella del Lied. Le corde si incrinano; umanissimi scatti. L’orchestra avanza nel nero. Al di sotto, carica la tensione e spinge verso il Finale Allegro. Il terzo movimento è percorso da una frenesia ritmica di carattere marziale. Sviluppa progressivamente l’elemento drammatico. Schianti espressivi, che vedono insieme il solista e gli strumenti orchestrali, concludono il brano.
Scandito da una tensione differente l’Allegro non troppo d’inizio del Concerto in re maggiore op. 77: sembrerebbe aprire alla luce, dopo il buio dell’op. 36. Solennità orchestrale di stampo sinfonico, che equilibratamente si lega all’intimismo del violino. L’intonazione cromatica taglia con decisione le ultime ombre nel finale. Senza peso segue l’Adagio, che dal piano disegna un movimento sinusoidale. Ancora resiste l’idea – rappresentata dall’orchestra – che qualcosa avanzi; stavolta risolta nella chiarezza. L’Allegro giocoso ma non troppo vivace è il terzo conclusivo, che si snoda in note ritmate. La luce conquistata, la possibilità del ribaltamento dell’instabile.