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Aurora live a Milano: la luna, l’amore e L’AUTENTICITÀ

Decine di persone che si muovono in strada a ritmo di musica psichedelica, alcune mezze nude, altre travestite da frati, stregoni e altre creature fatate – no, non è un flash mob, né un rave party: è la fila per il concerto di Aurora. É questo il pubblico che attrae la cantante norvegese: appena ventiseienne, Aurora è autrice di svariati brani di grande successo tra i giovani, nel segno di un art pop sospeso tra Björk e Florence + The Machine. Mercoledì 7 settembre, il tour in supporto dell’ultima fatica The Gods We Can Touch (2022) approda all’Alcatraz di Milano.

Il locale è gremito, l’attesa per lo spettacolo viene smorzata dalle artiste di supporto Thea Wang e Sei Selina. Wang, alla vigilia dell’uscita del suo album di debutto, presenta un breve set acustico e intimo, illuminato dai flash dei telefoni. Selina porta l’opposto: un pop moderno di matrice elettronica e latin, intervallato da ballad al pianoforte che spezzano il ritmo del suo set generando notevole attrito.

Thea Wang accoglie il pubblico con le sue ballate folk

A questo punto il palco – allestito con onde, conchiglie e una gigantesca luna di tessuto bianco al centro – si fa scarlatto: dalle quinte emergono i musicisti fasciati da una tunica bianca: un evidente omaggio all’antica Grecia, tematica centrale in The Gods We Can Touch. Allo stesso modo appare Aurora che, tra le urla dei fan, attacca con la suggestiva
Heathens”. La figura della cantante si staglia in controluce davanti alla luna rossa: un effetto che lancia da subito la serata in un’atmosfera mistica. Alternandosi tra momenti ad alto tasso di energia con “Cure for Me” e “Daydreamer”, e brani più intensi come la famosa “Runaway”, Aurora parla al pubblico con il suo candore grazioso e caotico. «Il mondo sarebbe un posto migliore se solo ci concedessimo di essere tristi e di guarire con il giusto tempo» esclama la cantante, prologo per una versione di “The River” che inonda la sala di lacrime, regalandoci uno dei momenti più alti dello show.

La luna di sangue alle spalle di Aurora durante “Heathens”

Non manca il sostegno LGBTQIA+: durante “Queendom”, Aurora raccoglie una bandiera pride e scorrazza tra colori arcobaleno: ormai il pubblico è completamente suo. Sorprende, infatti, che il concerto finisca con una certa rapidità: a chiudere il set è “Giving Into the Love”, seguita da un bis acustico con “Exist for Love” e la struggente “Murder Song”, che lascia i fan in sospeso. Ciononostante, l’amore dei suoi warriors (così denominati dalla cantante stessa) ha riempito l’Alcatraz per ottanta calorosi minuti.

Il momento pride durante “Queendom”

Aurora ha dimostrato che il suo immaginario è luogo di completa accoglienza, amicizia e positività. Lo spazio all’intero spettro di emozioni rende la cantante autentica e per niente pacchiana nel suo essere irrimediabilmente sé stessa, anzi, è proprio questo il suo punto di forza.

A cura di Mattia Caporrella

TOdays Festival – Day Three, atto finale: l’indie rock anglosassone saluta Torino

Torino, domenica 28 agosto: la terza e ultima giornata del TOdays Festival si accende tra il fermento generale, per una serata che si preannuncia densa di musica interessante. La line-up accosta sapientemente le diverse sfumature di un indie rock tutto diviso tra il Regno Unito e gli USA: esordio e chiusura arrivano dalla Scozia, con gli Arab Strap ad aprire e il gran finale con i Primal Scream; i newyorkesi DIIV e gli inglesi Yard Act, nell’ordine, si spartiscono il ripieno dello show.

La golden hour è alle porte: quello che era un piccolo capannello in transenna, nel giro di poco si è trasformato in una folla nutrita ed effervescente. Che l’evento abbia inizio.

Arab Strap: il frontman Aidan Moffat. Credits: Martina Caratozzolo

La band di Aidan Moffat si presenta sui colpi serrati di un ritmo elettronico: è “The Turning of Our Bones”, che prende forma dal suo minimale riff di chitarra. Il frontman, look a dir poco coraggioso – camicia nera e jeans bermuda – attacca con un testo dalla metrica concitata, perfetto per una voce a tinte fosche come la sua. I suoni di chitarra, generalmente puliti, si mantengono su queste coordinate per tutto lo show, mentre il gruppo sfoggia una presenza poderosa nel suo stile caratteristico. I ritmi si infiammano con gli influssi dance in tempo dispari di “Compersion Pt. 1”, per poi distendersi drammaticamente con “New Birds” e riaccendere tutto nel finale, nell’elettronica forsennata di “The First Big Weekend”. Moffat si destreggia anche su un sintetizzatore e su un pad elettronico. Grande performance, contrassegnata in larga misura da mood musicali e testuali vagamente – nettamente, in alcuni casi – sinistri.

DIIV: da sinistra, Colin Caulfield e Andrew Bailey. Credits: Martina Caratozzolo

È poi il turno dei DIIV, che si presentano ostentando un distacco solo di facciata. Zachary Cole Smith prende posto sul palco e presenta con poche parole la band: comincia così “Loose Ends”. La qualità live è ottima e incorpora le peculiarità della produzione musicale del gruppo: protagonisti assoluti gli intrecci melodici tra chitarre effettate, con echi onirici tra lo shoegaze e il dream pop. A prendersi la scena è il chitarrista Andrew Bailey, immerso con lo strumento in un mondo tutto suo, a partire dai capelli annodati in due trecce sulle spalle e dalle smorfie istrioniche che ne fanno un personaggio. Picchi di adrenalina durante “Under the Sun”, scandita a gran voce dai presenti, gli stessi che pogano sfrenati a partire dalla potentissima “Doused”, tratta dall’album d’esordio Oshin (di cui si festeggia il decennale), e fino alla fine della scaletta. Chiusura degna con “Blankenship”; merita una menzione anche la componente ritmica, con la devastante batteria di Ben Newman ed il basso di Colin Caulfield.

Yard Act: il frontman James Smith. Credits: pagina Facebook TOdays festival

Gli Yard Act, band più giovane della serata (formatasi 3 anni fa, con album d’esordio lo scorso gennaio), salgono sul palco con personalità: il cantante James Smith si contraddistingue prontamente per il suo fare loquace, prima di immergersi a capofitto nel groove deciso e scanzonato di “Dark Days”. Il batterista Jay Russell e il bassista Ryan Needham compongono un duo tagliente, ed è proprio lungo le coordinate del ritmo che la band inglese si muove, ritmo cui i pungenti riff chitarristici di Sam Shjipstone – apprezzabili e apprezzati – cedono in generale il passo. Molto orecchiabile “Land of the blind”, molto incisiva la title track “The Overload”, molto accattivante “Rich”: il complesso mostra grande grinta, unita ad un atteggiamento spregiudicato di ispirazione quasi punk (o meglio, post-punk). Smith ama raccontarsi e raccontare le storie dietro ai brani, e la folla gli dà tutta la soddisfazione che merita la sua presenza scenica.

Primal Scream: il frontman Bobby Gillespie. Credits: pagina Facebook TOdays festival

Dulcis in fundo, i Primal Scream: le premesse sono ottime, specie se aggiungiamo l’hype generato intorno all’annunciata esecuzione di Screamadelica. La partenza sicuramente ha molta elettronica, con “Swastika Eyes”: Bobby Gillespie ha addosso i colori e il disegno del loro disco più famoso, suona le maracas, e naturalmente accentua il suo ruolo di leader. Anche con “Pills” e “Deep Hit of Morning Sun” – dedicata al compianto Mark Lanegan –la linea continua; a metà dell’esibizione, però, la rotta cambia improvvisamente, abbandonando le sonorità da rave per atmosfere più intime, come in “English Town”, oppure più classicamente rock, come nella celebre “Movin’ on Up” (primo pezzo tratto da Screamadelica) o in “Country Girl”. Morale della favola, i brani dello storico album sono soltanto due, tra cui “Loaded”, suonata in chiusura dopo aver fatto credere a tutti che il concerto fosse finito. Purtroppo, per quanto riguarda i Primal Scream sembra mancare qualcosa: lo si è percepito anche da una certa stanchezza (forse mista a delusione) aleggiante tra il pubblico. Evidente il gap tra le aspettative e l’offerta della band, che ha comunque regalato momenti divertenti e altri di vigore ed esaltazione.

Una timida pioggia ha iniziato a scendere proprio verso il termine dell’evento; nel complesso, una grande serata e una conclusione in bello stile per questa edizione del TOdays, che ha regalato spunti di rara bellezza dall’immenso patrimonio della musica indipendente. I quali, si spera, saranno fonte di ispirazione per migliaia di musicisti, e non solo a Torino.

A cura di Carlo Cerrato

Boyband e solisti: Harry Styles al Pala Alpitour

Dagli anni ’90 a questa parte, per ogni membro di una boy band o girl band che si rispetti è diventata tradizione esordire da solista dopo qualche anno di carriera in gruppo; c’è chi abbandona il progetto perché non ha le qualità necessarie per farcela, e c’è chi invece ha un successo dirompente. Harry Styles fa decisamente parte della seconda categoria.

Martedì 26 luglio il Pala Alpitour ha ospitato la seconda data italiana del Love On Tour, inizialmente prevista per maggio 2020, poi spostata a febbraio 2021 e infine fissata per il 2022; inutile dire come l’aspettativa degli spettatori di Bologna il giorno prima e poi di Torino fosse alle stelle (alcuni di loro hanno persino campeggiato fuori dall’arena per giorni pur di garantirsi le prime file).

LAS VEGAS, NEVADA – SEPTEMBER 04: Harry Styles performs on stage during the tour opener for Love On Tour at MGM Grand Garden Arena on September 04, 2021 in Las Vegas, Nevada. (Photo by Anthony Pham/via Getty Images)

La serata si apre con l’esibizione dei Wolf Alice, gruppo alternative rock britannico nonché opening act di buona parte della leg europea del tour. Da subito la band sembra emanare una forte intesa e una forte energia, riuscendo a coinvolgere anche i più restii. La frontwoman Ellie Roswell si muove sul palco sicura e disinvolta, mentre il pubblico accompagna l’esibizione come se i Wolf Alice non fossero semplicemente un gruppo sconosciuto in apertura, bensì i veri protagonisti del concerto: i fan saltano, prendono l’iniziativa e battono le mani a tempo, accendono le torce durante le canzoni più lente. La band scende dal palco allegra e soddisfatta, mentre gli spettatori continuano ad applaudire.

Le luci si accendono nuovamente ed è impossibile non notare le stravaganti scelte di look dei 14.500 presenti, nessuno escluso: occhiali da sole di tutte le forme, boa di finte piume colorate, camicie dalle fantasie più disparate, stivali texani e una gran quantità di cuori e abbigliamento rosa – questi ultimi due fattori chiaramente ispirati all’estetica di Fine Line (2019), secondo album solista di Styles e inizialmente tema principale del Love on Tour. Qualcuno osa addirittura indossare scarpe col tacco, qualcun altro afferma di sentirsi ad un evento che è un misto fra un Pride e un concerto di Elton John.

Il concerto ha inizio ancora prima dell’effettiva apparizione dell’artista sul palco: sulle note di “Best Song Ever” degli One Direction e “Bohemian Rhapsody” dei Queen, il pubblico balla e canta a squarciagola, creando un’unione fra le diverse generazioni presenti. Qualcuno già piange. Poi le luci si abbassano, la band – interamente vestita di giallo: forse un tributo al nuovo film dei Minions? – si posiziona dietro agli strumenti e le prime note di “Music For a Sushi Restaurant” si diffondono nel palazzetto. La folla sta già urlando a pieni polmoni quando sul palco compare finalmente Harry Styles, vestito per l’occasione con un completo a righe arcobaleno pieno di paillettes.

I look Gucci di Harry Styles per i concerti di Bologna (sinistra) e Torino (destra). @harry_lambert via Instagram

La setlist prevede 20 canzoni tratte dai tre album da solista del cantante, rispettivamente l’omonimo Harry Styles (2017), il già citato Fine Line (2019) e il recente Harry’s House (2022), il miglior debutto in Italia per un disco internazionale dal 2021, con un paio di brani aggiunti apposta per l’occasione.

In un italiano semplice e grammaticalmente corretto, nel corso della serata Styles racconta di star imparando la nostra lingua «piano piano. Quindi, per favore, siate pazienti con me». Spiega di come abbia vissuto alcuni dei momenti migliori della sua vita qui: non a caso la costiera amalfitana è stata location per le riprese del video di “Golden”, quinto singolo estratto da Fine Line.

Screenshot dal video “Golden” di Harry Styles, via YouTube
Screenshot dal video “Golden” di Harry Styles, via YouTube

Fra balletti che sembrano per lo più tentativi per schivare gli oggetti lanciati dalle prime file e profusi ringraziamenti in italiano e in inglese ai Wolf Alice e a tutti quelli che hanno reso il concerto possibile – i tecnici, la band, lo stesso pubblico –, Harry Styles ci tiene ad assicurarsi che tutti stiano bene e si stiano divertendo, incitando gli spettatori a ballare e ad accettarsi: «stasera vorrei che foste liberi di essere chi volete». I fan intonano “Sei bellissimo”, il cantante risponde intonando a sua volta “Se telefonando” di Mina, mandando il pubblico in visibilio.

A prescindere dalle gran doti canore, dalla qualità dei brani e dalle ottime capacità performative (tutti fattori presenti), è evidente come l’ex membro degli One Direction abbia costruito una comunità vera e propria di persone che lo seguono non soltanto per la sua musica, ma anche per l’atmosfera che si respira entrando a far parte di essa: un’atmosfera all’insegna dell’amore, della libertà e dell’unicità. Durante i suoi concerti Styles esegue cover dei Fleetwood Mac e degli One Direction, canta brani che ha scritto per altri artisti o pezzi mai registrati come “Medicine” o “Anna”, che diventano un grandissimo successo di pubblico proprio perché unici e inseparabili dalla dimensione live.

Harry Styles al Pala Alpitour. @justharried via Instagram

Dopo anni di attesa e continui rimandi, il concerto finisce forse troppo rapidamente, lasciando agli spettatori l’amaro in bocca e la malinconia del momento appena conclusosi. Fra il pubblico ci sono sì genitori trascinati a forza dai figli e gli stessi giovanissimi figli, ma anche chi segue Harry Styles dai tempi degli One Direction ed è cresciuto con lui: chi aveva 12 anni ai tempi di “What Makes You Beautiful” ha ormai passato i 20, e la sensazione è che sia tutto trascorso troppo in fretta.

Speriamo ci sia l’occasione di poter replicare presto, come d’altronde ha detto lo stesso Harry: «vi prometto che non passerà troppo tempo fino alla prossima volta in cui ci vedremo». E chissà, magari allora avrà già un C2 di italiano.

A cura di Ramona Bustiuc

Calibro35 plays Morricone: APOLIDE DAY 4

Prosegue il racconto del festival Apolide nella sua quarta giornata di domenica 24 luglio all’interno dell’area naturalistica Pianezze di Vialfré. Dopo un traumatico risveglio in tenda e reduce dai postumi della sera prima, il pubblico è pronto a godersi l’ultima giornata tra attività, musica e spettacoli. In chiusura di questa edizione di Apolide, un’esibizione magistrale dei Calibro 35 sulle note del maestro Ennio Morricone.

Sono le nove del mattino quando il primo caldo comincia a farsi sentire nelle tende del Joongla Camp, dove «si dorme poco ma si sogna tanto». I più mattinieri inaugurano la processione verso le docce, gli sguardi assonnati si incrociano e la sensazione è quella di far parte di una grande famiglia, seppure per un paio di giorni. Tra un caffè ed un morso ad una brioche si fanno due chiacchiere e ci si scambia qualche opinione sulle serate precedenti.

Fra le prime esibizioni della giornata c’è quella di Lorusso sul Boobs Stage. Spogliato dei suoi strumenti, Lorusso – progetto solista del torinese Claudio Lo Russo, voce e chitarrista degli Atlante – si cimenta nella produzione musicale accompagnandosi con la sua inconfondibile voce mentre il pubblico, seduto a terra, si gode l’esibizione.

Dalla pagina Facebook Apolide Festival, foto di Gabriele Tuninetti

È sufficiente percorrere qualche metro per rendersi conto che il festival è abitato da diverse anime. Contemporaneamente alle esibizioni sono infatti numerose le attività proposte: non è affatto strano imbattersi in sessioni di yoga mattutine, tornei di pallavolo amatoriali e spettacoli irriverenti come quello del burattinaio Rasid Nikolic, in arte The Gipsy Marionettist. Per i più atletici non mancano proposte più estreme come la parete da arrampicata o i tessuti aerei per la danza acrobatica.

Dalla pagina Facebook Apolide Festival, foto di Antonio Roseti

Il pomeriggio scorre veloce e intorno alle 18.30 il main stage comincia ad animarsi, vedendo sfilare in ordine Marco Fracasia, Meskerem Mees, Bluem. Direttamente da Torino, Marco Fracasia porta sul palco di Apolide il suo primo sognante EP, Adesso torni a casa (per 42 Records) in una versione live rockeggiante. Segue la cantautrice belga Meskerem Mees, che colpisce per la voce pura e malinconica, in un accompagnamento minimal composto da chitarra e violoncello.

Dalla pagina Facebook Apolide Festival, foto di Antonio Roseti

Il sole comincia a tramontare e la tappa all’Area Food è d’obbligo per ristorarsi dopo una giornata di sole e musica non stop. I più attendono il gruppo a cui spetta il compito di chiudere in bellezza l’edizione 2022 del festival, ovvero i Calibro 35.

Dalla pagina Facebook Apolide Festival, foto di Antonio Roseti

Il loro ultimo disco, Scacco matto al Maestro – Volume 1, tutto dedicato alla musica di Morricone, viene eseguito sul palco di Apolide in un’atmosfera solenne come solo la musica del compositore sa creare. La band non si limita a ricreare le melodie del “Maestro”: si tratta di vere e proprie reinterpretazioni dei brani alternati con stralci di dialoghi, estratti talvolta dai film, talvolta dal recente documentario Ennio di Giuseppe Tornatore. La folta formazione – che oltre a Massimo Merlotta, Enrico Gabrielli, Fabio Rondanini, Luca Cavini e Tommaso Colliva conta della collaborazione di Paolo Ranieri alla tromba, Sebastiano De Gennaro alle percussioni e Valeria Sturba al theremin, violino e voce – dà vita ad uno spettacolo mai banale e dinamico, con tanto di theremin alternato alla voce per le linee vocali.

Dalla pagina Instagram Apolide Festival, foto di Antonio Roseti

La varietà del pubblico conferma la transgenerazionalità della musica di Morricone, chiusura perfetta per i quattro giorni di Apolide.

A cura di Alessandra Mariani

Emma Nolde – LNDFK – Venerus @APOLIDE DAY 3

Nell’area naturalistica Pianezze, nel piccolo borgo di Vialfrè, giovedì 23 luglio si è tenuta la terza giornata di Apolide, il festival che unisce musica, natura ed arte nel cuore dei boschi delle Valli del Canavese.

Apolide non è solo musica live, ma molto altro; l’area del festival è vasta: vi sono diversi spazi per lo sport, il campeggio, i workshop creativi e il market di prodotti artigianali. Il pubblico che si riversa nella cornice fiabesca di Vialfrè è lì per godersi l’esperienza a 360° e dall’abbigliamento ricorda lo spirito hippie di Woodstock: vestiti colorati, fiori tra i capelli, bigiotteria vistosa, birra a volontà e tanta voglia di evadere dal caldo torrido della città.

Il festival si svolge in tre spazi principali: la Boobs area, dedicata ai live in acustico, alle interviste e alle presentazioni; il Soundwood, per dare spazio a dj e producer del panorama della musica elettronica underground e il Main Stage, sul quale sabato 23 si sono esibiti tre artisti: Emma Nolde, LNDFK e Venerus.

Sono le 20:00 in punto quando Emma Nolde sale sul palco. La cantautrice toscana attira una timida folla sottopalco, che con il passare delle canzoni via via aumenta. Il suo talento è evidente: si destreggia tra uno strumento e l’altro, accompagnando i suoi brani con la chitarra (sia elettrica che acustica), il basso e il pianoforte. I brani proposti sono quelli del suo album d’esordio Toccaterra, ma c’è spazio anche per due inediti e per il nuovo singolo “Respiro”, prodotto in collaborazione con Motta. Le ballate introspettive e malinconiche si alternano a momenti elettronici in cui scatenarsi. La cantautrice classe 2000 si conferma un nome da tenere sott’occhio per il futuro.

Emma Nolde (credit foto: Martina Caratozzolo)

Dopo una breve pausa sul palco sale LNDFK. La songwriter e producer presenta dal vivo Kuni, concept album che tocca temi di amore e morte. Gli ingredienti della sua musica? Il neo soul, il nu-jazz e il beatmaking tra l’astratto e il lo-fi. Il sound crea un’atmosfera sospesa, fatta di introspezione e psichedelia, come confermano i titoli di due dei brani proposti: “How Do We Know We’re Alive” e “Don’t Know I’m Dead Or Not”. Il pubblico sembra dimenticarsi momentaneamente l’ambiente circostante e fa un viaggio in una galassia lontana.

LNDFK (credit foto: Martina Caratozzolo)

Il terzo artista ad esibirsi – nonché quello più atteso – è Venerus. Il live può essere riassunto con una frase del suo brano “Ogni pensiero vola”, che fa da dichiarazione d’intenti: «Forse è che appartengo a un mondo un po’ magico / vorrei volare via lontano da qui / e a volte sento tutto attorno un po’ strano / chissà se qualcun altro è fatto così». Il tour “Estasi degli angeli” ha un fil-rouge: la musica e l’amore, in tutte le sue forme. La musica è al centro della scena tramite lunghe parti strumentali e assoli; l’amore tramite il clima di libertà che si percepisce sul palco e tra i fan. Il concerto sembra un lungo flusso di coscienza (per dirla alla James Joyce), tant’è che spesso si fa fatica a percepire i passaggi da un brano all’altro.

Venerus (credit foto: Martina Caratozzolo)

Freak e ribelle, Venerus fuma e beve sul palco, si sdraia per terra per suonare la sua Telecaster e invita il pubblico a baciarsi. I brani che si susseguono in scaletta sono tratti dal suo album Magica Musica, ma c’è spazio anche per i brani più vecchi e apprezzati dai fan, come “Love Anthem, No. 1” e “IoXTe”.

Prima di salutare, l’artista annuncia che assieme alla sua squadra gestirà una nuova etichetta musicale dal nome ancora inedito. Il logo, però, è disegnato su una bandiera che lo stesso Venerus sventola tra gli scroscianti applausi dei presenti.

Venerus mostra il logo della nuova etichetta musicale (credit foto: Martina Caratozzolo)

La giornata del festival si chiude con il dj-set di Napoli Segreta, il collettivo che propone brani disco funk degli anni ’70 e ’80. Il pubblico si scatena con le ultime energie rimaste, a conclusione di una giornata perfetta, vissuta senza freni inibitori in nome della musica e del divertimento.

A cura di Martina Caratozzolo

(credit immagine in evidenza: pagina ufficiale Facebook Apolide)

Carl Brave + Mara Sattei @ Stupinigi Sonic Park

Doppietta romana alla Palazzina di Caccia di Stupinigi per questa calda caldissima edizione 2022 del Sonic Park. Lo scorso mercoledì 20 luglio Mara Sattei prima e Carl Brave poi hanno animato un pubblico scarno ma entusiasta. Una sorridente ed emozionata Mara arriva sul palco puntuale, in un outfit total black con giacca a maniche lunghe, che fa un po’ soffrire visti i quarantasette gradi percepiti nel pit. Ma non importa: sono quisquiglie da stories su Instagram e giornaletti di lifestyle della domenica. Lei è raggiante, fresca, brilla anche se il sole è nascosto dietro un cielo velato e un tramonto poco rosa.

Mara Sattei @ Stupinigi Sonic Park – foto di Clarissa Missarelli

Non è un animale da palcoscenico, ma poco importa. Ha tutto il tempo per imparare una disinvoltura che non per tutti è innata. Non serve atteggiarsi da artisti navigati, quando evidentemente non lo si è. Il pubblico apprezza: è un tutto un vociare di “che carina”, “la amo”, “che brava”. Una carrellata di pezzi più o meno conosciuti, di singoli più vecchi e più nuovi. Qualcuno canticchia e balla, ma l’energia c’è, sopra e sotto il palco. Mara ha una voce potente, squillante, luminosa – come lei – che funziona bene sui pezzi uptempo come sulle ballads.

Mara Sattei @ Stupinigi Sonic Park – foto di Clarissa Missarelli

Fa storcere un po’ il naso vederla relegata alla voce femminile di turno in operazioni come “La dolce vita” di Fedez, in cui Tananai fa Tananai e sono tutti contenti, ma la Sattei è costretta nel ruolo dell’Orietta Berti di turno, e finisce lì. Consiglio spassionato: più collab con suo fratello Tha Supreme, meno hit estive.

Mara Sattei @ Stupinigi Sonic Park – foto di Clarissima Missarelli


È già notte quando iniziano i primi canti spazientiti a suon di “Carlo, Carlo”, le lamentele per l’attesa e per il caldo. E alla fine, dopo l’entrata in scena della sua numerosa band con tanto di sezione di fiati, “Carlo” arriva. Saltella da un lato all’altro del palco, saluta i fan in autotune, tutto regolare.

Carl Brave @ Stupinigi Sonic Park – foto di Clarissa Missarelli

Anche Carl Brave non è un super performer, ma fa quello che deve fare: ha energia, interagisce con il pubblico e con la band quanto basta, canta pezzi dal nuovo album e vecchi successi. Quello che funziona più di tutti è lui: l’atteggiamento da personaggio-macchietta di Roma Sud rappresenta esattamente quella che è la sua narrativa, la sua cifra stilistica e quello che i fan vogliono vedere. Le “tre bire”, guardie di qua, guardie di là – in una malsana ossessione per la Polizia che è tutta da comprendere, goliardici racconti di serate alcoliche al Pigneto e tutto il resto.

Carl Brave @ Stupinigi Sonic Park 2022 – foto di Clarissa Missarelli

Carl funziona molto più sul pop scanzonato e ironico, piuttosto che in romantiche ballad che si prendono troppo sul serio. Apprezzabile il
duetto a sorpresa con la Sattei per la super hit “Spigoli”, che il pubblico canta a squarciagola e sa a memoria. In fin dei conti, la soddisfazione di chi paga un biglietto è quello che conta più di tutto e a giudicare dalle urla, le lacrime, le videochiamate alla migliore amica che non è potuta venire e le coppiette innamorate che ballano, è andato tutto bene.

Carl Brave @ Stupinigi Sonic Park 2022 – foto di Clarissa Missarelli

A cura di Clarissa Missarelli

Luppolo in rock: le nostre impressioni

L’ultima giornata del festival Luppolo in Rock, domenica 17 luglio, è stata una full immersion nelle sonorità metal più classiche e ortodosse. Direttamente dalla Bay Area di San Francisco, si sono esibiti infatti sul palco Cremonese TestamentExodus e Heathen, ovvero tre dei nomi più rappresentativi della scena thrash metal californiana per anzianità di carriera e repertorio. Purtroppo, a causa di ritardi accumulati alla partenza perdiamo l’esibizione dei nostrani Skanners ed Extrema, giungendo al Parco delle Colonie Padane giusto in tempo per lo show degli Heathen.

Il concerto degli Heathen è un evento nell’evento. La band suona per la prima volta in Italia dopo più di un decennio, ma il tempo non sembra aver infiacchito i musicisti, protagonisti di uno show all’altezza delle aspettative. Gli Heathen non sono di certo una band prolifica in termini di repertorio (hanno all’attivo solo quattro dischi in più di trentacinque anni di carriera), tuttavia la qualità dei brani in scaletta, uniti ad una prova energica e chirurgica hanno portato alla giusta temperatura il pubblico. Come ci si poteva immaginare è stato dato ampio spazio alle canzoni di Empire of The Blind, ultimo lavoro in studio del gruppo uscito nel 2020 e che solo ora sta avendo modo di essere testato in sede live a causa della pandemia. Le canzoni tengono assolutamente testa ai classici più datati, come per esempio l’eccellente singolo incalzante e massiccio “Blood To Be let”. Ovviamente però sono i cavalli di battaglia “Goblin’s Blade”, “Death By Hanging” e “Hypnotized” a fare sfaceli tra il pubblico, che entusiasta innesca i primi poghi della giornata. L’affiatamento della band è evidente e a livello puramente tecnico e di esecuzione non ci sono sbavature di alcun tipo da segnalare. Al contrario, nonostante i volumi non ottimali per la resa delle chitarre -da sempre perno e valore aggiunto della proposta degli Heathen – bisogna dire che il gruppo ha saputo dare prova del proprio valore dimostrando di meritare lo status di cult band conquistato negli anni. Bravi!

 Quando gli Exodus salgono sul palco si scatena il finimondo. Il pubblico, già caldo dopo la prova degli Heathen e per la temperatura rovente, implode in un circle pit ininterrotto ed alimentato a birra e thrash metal. È l’atmosfera ideale per assistere al concerto del gruppo, noto sin dagli esordi per le esibizioni energiche e la capacità di coinvolgere la folla. C’è un vero e proprio scambio di energie tra l’audience e gli Exodus e tanto più il pogo diventa scalmanato, tanto più la band suona inferocita. E tutto questo è possibile per pochi, semplici motivi. In primo luogo la scaletta molto intensa e piena di classici come “Bonded By Blood”, “A Lesson In Violence”, “And Then There Were None”, “Strike of the Beast”, “Deathamphetamyne” e l’inno da moshpit per eccellenza The Toxic Waltz da un lato e gli affilatissimi brani estratti dagli ultimi lavori Bood In Blood Out (2014) e Persona Non Grata (2022) che altro non fanno che gettare ulteriore benzina sul fuoco. Oltre ai brani, la band può vantare nel suo organico membri carismatici: il frontman dalla voce alta e strozzata Steve “Zetro” Souza, vero animale da palco e capace di cantare testi chilometrici con un flow quasi rap. O il chitarrista Gary Holt dallo stile tagliente e precisissimo, era molto atteso dal pubblico sia perché le canzoni le ha scritte lui, sia perché era assente dal palco da troppi anni con gli Exodus poiché in prestito ai colleghi Slayer. O ancora il batterista Tom Hunting, autore di una prova maiuscola per cattiveria e precisione nonostante sia reduce da una serie di gravi problemi di salute. E infine perché gli Exodus incarnano l’idea platonica della violenza. Non una violenza gratuita e banale, bensì organizzata, ordinata e perfettamente oliata nella sua cinica efficienza. La loro è un’esibizione che mira alla pancia e all’istinto dell’ascoltatore invitandolo a sfogare catarticamente le sensazioni negative accumulate nel tempo pogando, facendo crowd surfing e l’immancabile wall of death. Al tempo stesso però gli Exodus sanno essere in qualche modo distaccati da tutto ciò sottolineando ironicamente quanto sia solo “a good friendly violent fun in store for all” (da “The Toxic Waltz”).

Il concerto dei Testament è certamente meno irruente rispetto a quello degli Exodus, ma ugualmente valido perché vede protagonista quella che è attualmente e probabilmente la migliore formazione thrash metal sulla piazza. Chuck Billy (voce), Alex Skolnick ed Eric Peterson (chitarre), Steve Di Giorgio (basso) e Dave Lombardo (batteria) dominano la scena potendo contare esclusivamente sull’altissima padronanza tecnica dei rispettivi strumenti, sull’estrema nonchalance con cui eseguono i brani impegnativi per chiunque e su un’intesa reciproca sul palco derivata da anni di tour. Personalmente avevo già avuto modo di vedere i Testament nel 2017 quando al posto di Dave Lombardo suonava Gene Hoglan e le impressioni sono grossomodo le stesse, con la differenza che con l’ex Slayer dietro le pelli i nostri hanno guadagnato in termini di groove e potenza. Le rullate e i fill di Lombardo sono sempre nervosi e venati da un approccio hardcore che rende le canzoni vibranti, energiche, vive. Per carità, Gene Hoglan gli è probabilmente superiore tecnicamente, ma nei Testament si è sempre limitato ad essere un turnista di lusso perfetto per macinare le ritmiche senza cedimento alcuno e nulla di più. Lombardo è il batterista metal per eccellenza ed è perfetto in questo contesto perché, oltre ad essere impeccabile, riesce in qualche modo a personalizzare ciò che suona col suo particolare stile esecutivo. E si sente. Soprattutto quando i Testament si lanciano a testa bassa sull’esecuzione dei loro classici da “The New Order” a D.N.R (Do Not Resuscitate), a “Souls of Black” fino alle acclamate e conclusive “Over the Wall” e “Alone in the Dark” riproposta in una versione allungata pensata appositamente per far cantare l’ultimo coro del festival al pubblico.

Nel complesso l’ultima giornata del Luppolo in Rock è trascorsa in modo molto piacevole e per una volta, ci è sembrato quasi di non essere ad un tipico festival musicale italiano. L’ottima selezione musicale unita all’offerta gastronomica e alle buone birre artigianali vendute a prezzi onesti ci hanno fanno intendere che eventi di questo tipo possono svolgersi anche nel Belpaese, dando ai metallari tricolori un modello di festival di cui andare finalmente orgogliosi. 

A cura di Stefano Paparesta

Stromae in concerto: un ritorno “formidable”

Dopo una pausa di quasi otto anni, Stromae torna a far ballare i suoi fan portando in tour il suo ultimo disco Multitude. Abbiamo assistito alla data del Milano Summer Festival nella torrida e polverosa serata di mercoledì 20 luglio, presso l’Ippodromo Snai San Siro.

Un ritorno molto atteso dal suo pubblico, che in diverse occasioni durante il concerto ha manifestato l’affetto nei confronti del cantante. A scaldare l’atmosfera prima dell’arrivo del maestro ci hanno pensato Rhove e Margherita Vicario.

Sono circa le 21.30 quando il palco del Milano Summer Fest si appresta ad accogliere il protagonista della serata. Dopo quasi cinque anni di assenza Paul Van Haver, in arte Stromae, aveva annunciato il suo ritorno ad ottobre 2021 con l’uscita del singolo ”Santé” e la pubblicazione
del suo terzo disco Multitude prevista per marzo 2022. Un disco dalle tematiche complesse, frutto di un periodo di disagio psicologico e riflessioni che Stromae racconta all’interno dei suoi testi.

Le luci si spengono e la folla viene catturata da un elaborato apparato scenografico dalle tinte futuristiche. Su un’imponente parete di led viene proiettato un filmato d’apertura in stile cartoon che vede come protagonista Stromae; sul palco i musicisti prendono posto dietro agli strumenti e finalmente fa il suo ingresso l’artista con un outfit che riprende il videoclip del singolo ”Santé”.

Dalla pagina Facebook di Milano Summer Festival, foto di Fabio Izzo

Nonostante la scenografia imponente, lo spettacolo pone al centro la musica: Stromae è un fuoriclasse capace di trascinare il pubblico in un’altalena di emozioni. All’esecuzione dei brani del nuovo album, dai toni più cupi rispetto ai suoi precedenti lavori, alterna alcune delle hit più note di Racine Carrée. Brani che, nonostante la diversità nel genere, sono tutti accomunati dalla profondità delle tematiche trattate e che hanno fatto di Stromae un sincero narratore della contemporaneità. Il coinvolgimento del pubblico è totale, lo dimostrano diversi episodi in cui l’unisono delle voci protrae la durata delle canzoni oltre la loro naturale conclusione. A far esplodere la folla verso la fine del concerto e a rendere la location del Milano Summer Festival una discoteca a cielo aperto è
”Alors on Dance’’, inno EDM che invita a dimenticare i problemi quotidiani per una sera e che ha reso celebre Stromae a livello mondiale. A chiudere è una versione a cappella di ”’Mon Amour”, che porta il pubblico in uno stato di religioso silenzio culminando in un fragoroso applauso di commiato.

Dalla pagina Facebook di Milano Summer Festival, foto di Fabio Izzo

Stromae dedica una particolare cura nel nominare tutti coloro che hanno reso possibile questo tour, tanto da proiettare a concerto concluso, come nei titoli di coda di un film, il nome di ciascun membro del suo team. Ciò che rimane dopo uno spettacolo di tale portata è l’impressione di aver preso parte ad un evento unico nel suo genere, frutto della genialità di un artista con la a maiuscola.

A cura di Alessandra Mariani

Ariete al Flowers Festival, un elogio all’adolescenza

Iniziato il 29 Giugno, il Flowers Festival 2022 si è concluso il 16 luglio 2022 con il concerto della cantautrice Ariete, che si è raccontata sul palco in modo semplice e spontaneo. 

Con Specchio Tour 2022 Ariete è già al suo secondo tour a soli vent’anni d’età. La giovane cantautrice ha avviato la sua carriera negli anni della pandemia, e in poco tempo le sue canzoni di carattere intimo hanno fatto il giro di tutta Italia; indubbiamente la sua fama è figlia dei social network: su TikTok vanta 514.7K di followers e negli anni è stata capace di costruire un ottimo dialogo con i suoi fan. 

Dalla pagina Facebook del Flowers Festival, foto di Fabio Marchiaro

La platea è gremita di ragazzi, pronti a riprendere con il cellulare il suo arrivo sul palco. Dopo una lunga attesa ecco comparire Ariete (pseudonimo di Arianna Del Giaccio) vestita con una salopette di jeans e un cappellino arancione. Emerge subito la personalità trasparente e priva di ambiguità della cantautrice: caschetto nero, identità gender fluid e voce inconfondibile. Ad aprire il concerto è il brano “L’ultima notte”, cantata e suonata con la chitarra elettrica dalla stessa Ariete, mentre per i pezzi successivi viene raggiunta da Emanuele Fragolini alla batteria, Jacopo Antonini al basso e alle tastiere, e Alessandro Cosentino alle chitarre.

Durante tutto il concerto i fan lanciano e regalano ad Ariete in segno di affetto i più disparati oggetti, tra cui un reggiseno con all’interno delle sigarette, una bandiera della pace, delle ciabatte a forma di unicorno… tutte cose che la cantante userà sul palco durante la sua performance. Ariete si dimostra molto gentile verso tutti, reagendo a ciò che succede con una grande ironia e leggerezza. 

Foto di Fabio Marchiaro

A circa metà concerto arriva l’evento più atteso dai fan: come è tradizione nei suoi concerti, Ariete sceglie due persone dal pubblico che abbiano qualcosa di importante da dire, a cui tengano particolarmente, dandogli la possibilità di salire sul palcoscenico. La cantautrice prima suona una versione acustica di “Venerdì” e poi dà la parola a Sara e a Sofia. La prima fa un appello per chi soffre di autolesionismo, e condividendo la sua esperienza, sprona a perseguire il proprio benessere mentale, mentre la seconda celebra l’anniversario di due amici, leggendo la loro storia d’amore. Il pubblico ascolta partecipe e la cantante è in grado di fare da mediatrice, in modo che non sia pura esibizione del dolore, ma piuttosto racconto e condivisione. 

Dalla pagina Facebook del Flowers Festival, foto di Lorenzo De Matteo

Uno dei momenti più emozionanti di tutto il concerto è l’esecuzione di “Spifferi”: da sola sul palco, Ariete canta accompagnandosi al piano, e il pubblico, con tutte le luci accese e alzate al cielo, si emoziona e canta il brano con le lacrime agli occhi.

A un primo ascolto potrebbe trasparire dai testi di Ariete una sorta di ingenuità, ma dietro cui c’è anche una grande consapevolezza. Per quanto le sue canzoni sembrino avere poco a che fare con una vera e propria scrittura musicale, ma risultino piuttosto essere dei flussi di coscienza confidenziale accompagnati dalla musica, bisogna riconoscere il grande talento dell’artista che, sostenuta da tutto il suo team, è in grado di far vivere ai fan un concerto in cui si possano sentire a casa; concetto perfettamente espresso dalla frase «Le mie braccia sono il posto in cui potrai ripararti, in cui potrai ripararti» del brano “Cicatrici” scritto in collaborazione con Madame, con cui Ariete chiude il concerto.

Dalla pagina Facebook del Flowers Festival

Non ci poteva essere dunque titolo più azzeccato per il primo album della cantante, Specchio, uscito 25 febbraio 2022 con l’etichetta Bomba Dischi: una generazione si è riflessa nei suoi testi, e in ciò va ricercata senz’altro la radice del successo di Ariete. La musica ha aiutato lei e ora, a specchio, aiuta i suoi fan. Le sue canzoni si trasformano in uno strumento per affrontare le montagne russe e le insicurezze tipiche dell’adolescenza, diventando per i giovani ragazzi un modello a cui fare riferimento. 

A cura di Stefania Morra

Collisioni 2022: Tutto Normale

Cosa c’è di meglio per battere il caldo della pianura Padana che cinque ore di concerto non stop sotto al sole, precisamente sull’asfalto rovente di Piazza Medford ad Alba, nel cuneese? Difficile immaginarlo.

Il 16 luglio si è tenuta la terza giornata di Collisioni Festival. Nato a Novello (CN) nel 2009 e poi trasferitosi a Barolo e – quest’anno – ad Alba, il festival è organizzato da Associazione culturale Collisioni con il patrocinio di Regione Piemonte, Comune di Barolo, Agenzia Regionale per lo sviluppo rurale, Regione Friuli-Venezia Giulia e Agenzia Nazionale per i Giovani.  In particolare, la giornata di sabato si è tenuta all’insegna dello slogan Tutto Normale, inaugurato nel 2021 con un programma dedicato interamente ai giovani, particolarmente trascurati durante la pandemia. Il cartellone 2022 ha visto susseguirsi le performance di Madame, Tananai, Sangiovanni, Frah Quintale e Coez, artisti divenuti ormai virali fra gli ascoltatori under 30.

Il pubblico a Collisioni 2022 – Foto di Ramona Bustiuc

La prima artista ad esibirsi è Madame, che alle 20, puntualissima – la puntualità durante i festival non è mai scontata – sale sul palco di fronte a un pubblico entusiasta. Accompagnata alla console da Estremo, dj e producer che ha co-prodotto “Voce” insieme a Dardust per la partecipazione della stessa Madame al Festival di Sanremo 2021, la cantante ha alternato brani meno conosciuti a hit (“Marea”, “Sciccherie”, “L’eccezione”) e featuring (“Mi fiderò” con Marco Mengoni, “L’anima” con Marracash, “Il mio amico” con Fabri Fibra), in quest’occasione realizzati in maniera virtuale. Nonostante la maggioranza del pubblico viaggiasse fra i 15 e i 30 anni, capitava spesso di scorgere persone over 40 cantare a squarciagola e ballare ininterrottamente, non preoccupandosi di fare video o di far cadere la birra in mano.

Madame a Collisioni 2022 – Foto di Ramona Bustiuc

Dopo quarantacinque minuti di performance e un rapido cambio di strumenti è la volta di Tananai, ovvero l’incubo peggiore degli addetti alla sicurezza. Il cantante straripa di energia da tutti i pori, salta e corre da una parte all’altra del palco, si affaccia alle transenne e cerca di prendere tutto quello che il pubblico gli lancia – cappelli di paglia, cartelloni, ventagli, fiori. Sparisce e riappare continuamente e seguirlo in un mare di 15.000 persone diventa complicato, e tuttavia particolarmente divertente, perché è impossibile non sentirsi contagiati da tutto questo entusiasmo. Alberto Cotta Ramusino (nome di battesimo di Tananai) è giovane, umile, si è appena affacciato al successo e ringrazia più volte – a volte in modo sconnesso e imbarazzato – chi lo ha seguito finora, chi lo sta accompagnando nella sua carriera ma anche il personale di Collisioni che sta facendo impazzire, dedicando poi al cameraman (inciampato mentre camminava di spalle per filmarlo) “Sesso occasionale”: «Marco, questa è per te». Incita il pubblico e scherza con autoironia: «Non ho più scuse per fare schifo» dice, dopo essersi seduto alla tastiera  per cantare “Giugno” e aver chiamato soccorsi per risolvere un problema tecnico. E Tananai non fa assolutamente schifo, anzi. È bravo, carismatico e ha voglia di distinguersi.

Tananai a Collisioni 2022 – Foto di Ramona Bustiuc

Le ultime luci del giorno svaniscono, le prime stelle compaiono in cielo ed è la volta di Sangiovanni, che incarna perfettamente l’esempio di come un talent non sia in grado di fornirti gli strumenti necessari a diventare un vero performer. Nonostante gli importanti successi radiofonici come “Lady” e “Malibu” – entrambi risalenti alla sua partecipazione nel 2021 ad Amici di Maria de Filippi – e la partecipazione al Festival di Sanremo 2022 con “Farfalle”, è chiaro che al cantante manchi quella tanto spesso citata [JT3] gavetta, ma che ancora oggi riesce a fare la differenza fra un prodotto destinato a durare e uno confezionato per essere semplicemente alla moda. I giochi di luce e le proiezioni dall’atmosfera futuristica non colmano le mancanze causate da una scarsa presenza scenica e dall’intonazione vacillante.
Ad esclusione di qualche gruppetto di undicenni innamoratissime, Sangiovanni non riesce a convincere gli spettatori di Piazza Medford.

Sangiovanni a Collisioni 2022 – Foto di Ramona Bustiuc

Un’altra breve pausa e poi Frah Quintale arriva sul palco con un’energia pari a quella di Tananai – che nel frattempo ricompare sottopalco in qualità di fan –, ma con meno mal di testa per il personale di Collisioni. Il pubblico è in visibilio, le canzoni si susseguono senza interruzioni – fatta eccezione per l’apparizione di Coez, che sale sul palco senza preavviso e senza un particolare motivo – e il pubblico non smette di cantare nemmeno un secondo nonostante la stanchezza accumulata. Nelle brevi pause fra un brano e l’altro il cantautore sorseggia un calice di vino, dedicando un brindisi a tutti quelli che stanno bevendo insieme a lui in piazza e continuando poi a esibirsi senza fare una piega. Non mancano momenti romantici e suggestivi con le torce del telefono accese come durante “Nei treni la notte”, così come momenti di pura energia durante brani come “Amarena”, “Sì, ah” o “Due Ali”.

Frah Quintale a Collisioni 2022 – Foto di Ramona Bustiuc

È da poco passata la mezzanotte e Collisioni si prepara per accogliere l’ultimo e più atteso artista della serata, Coez, che per il 90% del pubblico è servito da colonna sonora in alcuni momenti importanti della vita; non si tratta di un dato scientifico, ma l’intera redazione dichiara di non conoscer persona che non abbia ascoltato il suddetto cantante almeno una volta con la sua dolce metà, pensando alla sua dolce metà, in viaggio con gli amici verso il mare o a chiusura in discoteca nelle notti estive. D’altronde Coez è attivo come solista dal 2009, e negli ultimi 13 anni ha avuto modo non solo di costruirsi una solida fanbase, ma di capire come farsi apprezzare anche dagli ascoltatori occasionali.
Il cantante è consapevole della stanchezza del pubblico, come lui stesso ammette, ma chiede a tutti un ultimo sforzo, e cioè di saltare e cantare insieme a lui. Fra una comparsata di Frah Quintale con una bottiglia mezza vuota in mano e le variazioni dei testi delle canzoni usando il nome di Tananai (che è ancora sottopalco), gli spettatori accolgono la richiesta di Coez e non vengono meno all’impegno richiesto, ballando e cantando fino all’una inoltrata.

Coez a Collisioni 2022 – Foto di Ramona Bustiuc

Filo conduttore delle cinque ore di concerti è stato sicuramente la serie di svenimenti fra il pubblico, accalcato dalle 16:30 davanti al palco e sopravvissuto per la maggior parte grazie ai pompieri che periodicamente azionavano la pompa dell’acqua sugli stessi spettatori. Non sono mancati nemmeno i cori in segno di gratitudine, decisamente molto più forti di quelli durante le esibizioni della serata: «Il corpo nazionale dei vigili del fuoco…».

I pompieri bagnano la folla a Collisioni 2022 – Foto di Ramona Bustiuc

Decisamente una serata – o meglio, una giornata – memorabile.

A cura di Ramona Bustiuc