Non sarà più il 20 luglio del ‘69 ma sicuramente è sempre domenica quando c’è Achille Lauro sul palco con la sua Electric Orchestra. E il ritorno in pompa magna di Lauro e i suoi dopo tre anni di lontananza dai live debutta proprio di domenica, 3 luglio 2022 al Sonic Park di Stupinigi.
Salvo gli spendaccioni del biglietto Gold e del Vip Pack – che hanno tutta una serie di vantaggi tipo stare sotto al sole mentre il resto della fila è all’ombra – i comuni mortali si accalcano lungo l’entrata della Palazzina di Caccia. Data la densità di signore sulla cinquantina e di minorenni in età scolare assale il dubbio di aver sbagliato data ed essere finiti in mezzo ad un live di Francesco Renga o nel cortile della scuola il giorno di consegna delle pagelle. Le lamentele per i compiti delle vacanze si confondono con le aspettative sugli outfit di Lauro, sulla tracklist, «ci sarà Boss Doms?» «Inizierà con “Rolls Royce”?» «Mamma perché non mi hai comprato il pacchetto Vip?». Si diffonde la notizia che un violinista ha il Covid. Panico. Scenari apocalittici sulla cancellazione del concerto rimbalzano tra la coda. Compare una storia Instagram di Lauro che garantisce la buona riuscita del live. Pericolo scampato. Si può correre verso il palco dribblando le zanzare e i rimproveri degli addetti alla sicurezza. Tra una goccia di pioggia e un anatema contro i superoni dell’ultimo minuto, arriva la band con una intro elettronica da Club to Club e poi, sulle note di “Delinquente”, all’alba delle 21.40 compare Lauro. Outfit di pelle, capelli scompigliati da malandrino e gli ormoni in platea volano alti.
Lo spettacolo c’è, gli arrangiamenti pure. Lauro è emozionato, sbaglia qualche entrata e qualche parola ma recupera con grande stile. Ha studiato canto e si sente, con buona pace dei boomer che non possono nemmeno più dire che sia stonato. Qualcuno apprezza il viaggio tra pezzi vecchi e nuovi e attraverso gli album – c’è Pour l’amour, c’è 1969 ma ci sono anche Lauro e Ragazzi Madre – ma l’atmosfera generale nel pit è piuttosto deludente. Diventare un fenomeno da Sanremo comporta anche che poi chi viene ai tuoi concerti conosca soltanto quattro canzoni, ignorando tutto quello che è avvenuto prima e tra un festival e l’altro. Rimanere letteralmente soli a sgolarsi su pezzacci come “Pessima”, “Roma” e “La bella e la bestia” lascia a dir poco l’amaro in bocca. La scelta è quella di puntare da un lato su uno spettacolo dai tempi quasi televisivi: 2 ore di live serratissimo senza interruzioni, con tre cambi di outfit, canzoni accorciate e medley. Dall’altro la componente dal vivo è curata, e si vede, la seconda parte dello show ne è la dimostrazione.
Dopo due svenimenti con tanto di sbracciate per far fermare tutto e Lauro assunto a Madre Teresa di Calcutta che si assicura che stiano tutti bene e chiama la sicurezza, arrivano gli orchestrali e i loro passamontagna glitterati. Gli arrangiamenti per orchestra hanno il loro perché, sono ben fatti e funzionano anche nel contesto di un festival all’aperto, che sulla carta mal si sposa con l’acustica di un organico del genere, ma che in realtà sembra un ambiente sonoro in cui Lauro si muove con disinvoltura. Fa sorridere, e anche un po’ riflettere, come sistematicamente il pubblico non riconosca le intro dei brani, arrangiati per orchestra. Parte così un’imbarazzante serie continua di introduzione – silenzio – attacco del testo – urla che dura per la maggior parte del live. Le hit sanremesi si concentrano in questo B-side dello spettacolo, salvo qualche intermezzo piano-voce in cui Gregorio Calculli, pianista e arrangiatore, tenta di improvvisare e Lauro si imbarazza e liquida tutto in un ritornello. L’ultimo saluto con “Rolls Royce” è d’obbligo, ed è la tamarrata sanremese che ci piace. Ma il tocco di classe alla Achille è avere un terzo vestito, un elegantissimo completo bianco, soltanto per il bis. Baci, saluti, grazie, assoli e Lauro si dilegua in una nuvoletta di glitter.
Lo sforzo a cui si è sottoposti per non cedere alla feticizzazione della nostalgia e del “era meglio quando suonava con 1000 persone davanti” è consistente. Forse troppo. Lauro e il suo team hanno costruito uno show in grande, dal punto di vista musicale e scenico. Tuttavia la sensazione che qualcosa si sia perso per sempre è difficile da ignorare. È il prezzo da pagare per quattro Festival di Sanremo di fila, un ultimo album che della qualità, l’inventiva e la scrittura dei precedenti ha davvero poco e una serie di hit radiofoniche una dopo l’altra. Senza dubbio si è ampliato il bacino di pubblico, ma si è anche trasformato e ripopolato di ascoltatori della domenica, distratti, casuali. Chissà se Lauro, quando diceva di volersi prendere tutto, di volercela fare a tutti costi, intendeva proprio questo. O se forse in un piccolo angolo del cuore, un po’ di nostalgia del calore che solo i live piccoli, familiari e un pubblico ristretto ma estremamente fidelizzato possono dare, ce l’ha. Noi sì.
A cura di Clarissa Missarelli