Lunedì 21 marzo 2022 all’auditorium Giovanni Agnelli di Torino si è tenuto il concerto per i 50 anni dei Dodici violoncellisti dei Berliner Philharmoniker. Il gruppo nasce nel 1972, in occasione della produzione radiofonica dell’Hymnus op. 57 di Julius Klengel, brano con cui hanno aperto la serata.
L’auditorium in penombra e gremito di gente si è chiuso in un silenzio contemplativo appena i musicisti hanno poggiato gli archi sulle corde, regalando da subito emozioni catartiche. Per tutta la durata del brano il tempo sembrava essersi fermato: il pubblico immobile non accennava a nessun movimento, come se non volesse squarciare quell’atmosfera quasi surreale.
Il repertorio della formazione è molto vasto e nel corso della serata si sono alternati momenti più solenni ad altri più leggeri come l’arrangiamento de La strada di Nino Rota. Non sono mancati standard jazz come “Caravan” di Juan Tizol e Duke Ellington o un omaggio a chiusura del concerto con alcuni brani di Astor Piazzolla. Sebbene il programma prevedesse una dozzina di brani, il gruppo ha suonato a sorpresa non uno, ma ben due bis: “L’uomo con la fisarmonica” da C’era una volta il West di Ennio Morricone e “Moonlight Serenade” di Glenn Miller. Tutto a dimostrare la versatilità dell’organico, che non si è risparmiato nella scelta di brani di vari generi a discapito di chi, magari, si sarebbe aspettato un programma più “classico”.
Eleganza, maestria, naturalezza sono gli aggettivi che potrebbero descrivere l’intera esibizione. Ed è proprio sul concetto di naturalezza che bisognerebbe soffermarsi dal momento che ogni arrangiamento – scritto appositamente per la formazione (e in alcuni casi dai musicisti stessi) – ha rivelato una capacità quasi camaleontica di adattarsi a qualsiasi genere non risultando mai forzato o troppo lontano da esso.
Al termine della serata ci si sentiva quasi saziati di ogni singola nota. Lo dimostrava il pubblico esterrefatto da quello che aveva appena ascoltato. Lo dimostravano i violoncellisti stessi che per tutto il tempo avevano continuato a scambiarsi sguardi compiaciuti, quasi a voler dimostrare la propria gratitudine di trovarsi lì, in quel preciso istante, come se fosse la loro prima volta insieme.
E in questa dimensione quasi mistica, la signora seduta accanto a me, appena i musicisti sono usciti di scena, li ha ringraziati pur sapendo che loro non avrebbero potuto sentirla. Il suo era un ringraziamento genuino, così come lo era la motivazione: «Mentre suonavano La strada, mi sono sentita trasportata indietro nel tempo, a quando cinquant’anni fa l’ho visto in Corea, per la prima volta. Per un momento mi sono risentita ragazza, ho rivisto lo schermo su cui era proiettato il film».
Come un cerchio che si chiude, lo stesso silenzio iniziale ha invaso la sala alla fine del concerto. L’applauso ordinato ha lasciato spazio alla quiete di un pubblico che forse voleva conservare ancora per un po’ quel senso di sospensione temporale impregnata di così tante suggestioni.
a cura di Alessia Sabetta
Davvero complimenti per l’ articolo. Magistrale ❤
Grazie per aver descritto sensazioni ed emozioni di una serata catartica