LA BOHÈME DI PUCCINI INAUGURA I GIOVEDì DEL REGIO IN STREAMING
Passione è forse la prima parola che viene in mente quando si pensa alla vita di un bohémien. Passione per l’arte, passione per i sogni, passione per la passione. Ma a come esprimere questa passione in scena se non fisicamente nessuna Bohème ci aveva mai pensato… fino al 2021, anno in cui, piegato da una seconda (e forse terza) ondata di contagi Covid-19, il mondo ha imparato ad appassionarsi a distanza di un metro. Naso e bocca coperti. Tocco di gomito al posto del tanto amato abbraccio. Ciò che avviene a teatro non è da meno.
La Bohème di Giacomo Puccini riproposta dal Regio in occasione dei 125 anni dal suo debutto nello storico teatro torinese si può proprio riassumere con le parole “passioni distanziate”. Distanziate per noi, che l’abbiamo vista al computer, in streaming, e per gli artisti, che un allestimento così povero di fisicità non l’avrebbero mai immaginato. Ispirata al frammentario Scènes de la vie de bohème di Henri Murger, l’opera del 1896, rivisitata, ma fedelissima, almeno nella scenografia, ai bozzetti di Adolf Hohenstein, dà il via a una serie di appuntamenti musicali online che animeranno il sito del Teatro Regio nei prossimi mesi.
Diretta da Daniel Oren, con la regia di Paolo Gavazzeni e Piero Maranghi, il capolavoro pucciniano si apre e si chiude nella fredda soffitta abitata da quattro artisti bohémien, Rodolfo, Marcello, Colline e Schaunard, la cui grande finestra sembra affacciarsi sui freddi Tetti di Parigi ottocenteschi di Paul Cézanne. Sembra il quadro giocoso e penoso di una vita precaria e scapigliata, nella quale fanno capolino i sentimenti più vari. L’amore, la gelosia, la pena e il dolore. La dolcezza di una giovane e timida Mimì, come decide di interpretarla il soprano Maria Teresa Leva; e l’estro di una brillante e leggera, di registro e di fatto, Musetta (Hasmik Torosyan).
La rappresentazione fisica delle passioni – ciò che più contraddistingue il melodramma all’italiana ed in particolar modo un’opera come La Bohème, che di passioni è intrisa – è però quasi assente. Salta all’occhio, e fa riflettere, l’enorme distanza fisica tra Mimì e il poeta Rodolfo in “Che gelida manina”. Nel famosissimo, e solitamente iper-fisico, duetto “tête à tête” tra i due personaggi, gli interpreti si trovano ai due estremi laterali del palcoscenico, rivolgono lo sguardo alla platea – vuota – e a malapena si toccano.
E ancora, nella scena multidimensionale del Quartiere Latino, al crocevia del Café Momus, notiamo subito le mascherine indossate dal coro; la distanza di un metro mantenuta dai solisti “smascherati”, che fissano quasi sempre la platea e a stento cantano faccia a faccia per proteggersi a vicenda dal contagio; così come il mancato abbraccio tra Marcello e Musetta in coda a “Gioventù Mia”, affidato interamente, come tutto il resto, al potere evocativo della musica. Sta a noi spettatori percepirlo e coglierlo. In una rivisitazione in cui, per forza di cose, manca la possibilità di immergersi completamente, come faremmo a teatro, nella “vie de bohème” dei sei personaggi del libretto di Giacosa e Illica, è la musica altamente visiva di Puccini, eseguita dall’orchestra e dalle voci del Teatro Regio, a trasportarci in una legnosa soffitta, nel colorato Quartiere Latino, e infine alla Barriera d’Enfer, dove all’alba Fiocca la neve (e fiocca per davvero!); per poi ritornare alla soffitta dei quattro scapigliati.
Da brividi è sicuramente l’interpretazione timida e sincera di Leva in “Sempre tua per la vita”, in chiusura al quadro terzo. Così come, nel quarto quadro, è molto ben realizzato, musicalmente e drammaturgicamente, il brusco contrasto tra la suite di danze della scena cameratesca e conviviale tra i quattro artisti, e l’arrivo di Musetta, che conduce Mimì, ormai stanca e morente in soffitta. Complessivamente un bell’allestimento.
Da rivedere però – si spera – dal vivo.
La bohème. Opera in quattro quadri.
- Musica: Giacomo Puccini;
- Libretto: Giuseppe Giacosa e Luigi Illica dal romanzo Scène de la vie de Bohème di Henri Murger;
- Interpreti: Maria Teresa Leva (Mimì soprano); Iván Ayón Rivas (Rodolfo, poeta tenore); Hasmik Torosyan (Musetta soprano); Massimo Cavalletti (Marcello, pittore baritono); Tommaso Barea (Schaunard, musicista baritono); Alessio Cacciamani (Colline, filosofo basso); Matteo Peirone (Benoît, padrone di casa e Alcindoro, consigliere di stato basso); Alejandro Escobar (Parpignol, venditore ambulante tenore); Desaret Lyka (Sergente dei doganieri basso); Gabriel Alexander Wernick (Un doganiere baritono); Franco Traverso (Il venditore di prugne tenore); Matilda Elia (Un ragazzo voce bianca);
- Direttore d’orchestra: Daniel Oren;
- Regia: Paolo Gavazzeni e Piero Maranghi;
- Curatrice delle scene: Leila Fteita;
- Curatrice dei costumi: Nicoletta Ceccolini;
- Bozzetti per la prima assoluta al Regio custoditi dall’Archivio Storico Ricordi: Adolf Hohenstein;
- Pittore scenografo: Rinaldo Rinaldi;
- Luci: Andrea Anfossi;
- Direttore dell’allestimento: Claudia Boasso;
- Maestro del coro: Andrea Secchi;
- Orchestra e coro Teatro Regio Torino