Il protagonista indiscusso della stagione 2019/2020 dell’Orchestra Filarmonica di Torino è il tempo, e per il secondo dei suoi dieci concerti nessuna cornice avrebbe potuto essere più calzante del Conservatorio G. Verdi. Lo scorso 11 novembre, infatti, gli Archi dell’OFT, diretti da Sergio Lamberto, si sono cimentati con un programma dominato dallo “Studio”, il genere che in musica indica una breve composizione volta al perfezionamento tecnico dello strumentista.
Gli spettatori sono stati da subito immersi nella ben nota atmosfera scolastica grazie ad alcune letture offerte dall’Associazione liberi pensatori “Paul Valéry” e dalla Scuola di Teatro “Sergio Tofano”. Questo ha riportato alla mente di tutti ogni genere di ricordo: il pubblico non è stato parco di sospiri e sorrisi nostalgici, mantenendo un silenzio costante e assorto rotto solo dagli scroscianti applausi finali, strappando all’orchestra ben due bis.
“School Time” è riuscito a catturare l’interesse degli ascoltatori non solo per le grandi capacità tecniche degli esecutori, la cui eccezionalità è stata favorita senza dubbio dalla scelta dei brani, ma anche per la sua complessa architettura. I cinque pezzi che compongono il ciclo di Studi per orchestra d’archi di Frank Martin, infatti, sono stati intervallati da altri quattro brani, di epoche e compositori diversi, che da una cattedra fittizia hanno messo in pratica quanto teorizzato negli studi. In conclusione, la Suite per orchestra d’archi di Leoš Janáček ha riassunto strizzando l’occhio alla musica popolare e folkloristica il senso della lezione, regalando momenti di grande distensione melodica.
Le cinque composizioni di Martin hanno messo brillantemente in luce la scioltezza e le qualità tecniche dei musicisti: tra pezzi di bravura e momenti più rilassati e distesi, gli Archi dell’OFT sono riusciti a dare vitalità e dinamismo anche a melodie non necessariamente concepite per emozionare l’uditorio. Nel modernissimo brano Per il pizzicato, ad esempio, hanno trasmesso brio e allegria grazie all’andamento ridanciano e quasi grottesco del tema, mentre le voci scure dei violoncelli hanno dimostrato con le note Per l’espressione e il sostenuto che anche in uno studio può esserci spazio per il sentimento.
Più che coinvolgenti anche i momenti regalati dalle musiche degli “allievi in cattedra”. Il cinematografico Preludio da Little Suite op. 1 per archi di Carl Nielsen, posto subito dopo lo studio Per il legato, con la sua atmosfera sospesa e fluttuante ha trasportato gli ascoltatori per le vie di Copenaghen, immateriali e leggeri come le note eseguite dai musicisti. Con Pizzicato Polka di Johann Strauss, invece, il languore romantico è stato abbandonato a favore di una danza vivace e divertente, godibilissima nella sua travolgente bellezza e nella sua chiara difficoltà tecnica, che ha fatto brillare il talento degli esecutori. Il delicato Arioso dal Concerto in re maggiore per orchestra d’archi di Igor Stravinskij, poi, ha fatto “squillare” i violini, a differenza del corrispondente studio di Martin, incentrato sugli archi più gravi; non si può in questa sede non spendere parole di elogio per il maestro concertatore, Sergio Lamberto, che ha suonato per tutta la durata del concerto dando con pochi cenni una direzione decisa e precisissima agli altri musicisti. La Fuga del sepolcro di Federico Maria Sardelli, infine, recentissima (è stata composta nel 2011), con il suo senso di urgenza e ineluttabilità, è stato forse il brano più emozionante tra quelli ascoltati nel corso della serata: il veemente trasporto degli interpreti e la drammaticità della melodia erano davvero da pelle d’oca.
La Suite di Janáček ha chiuso il programma, permettendo agli ascoltatori di raggiungere vette emotive altissime già a partire dalla prima delle sei danze da cui il ciclo è composto; il Moderato iniziale, infatti, parte con decisione per poi smorzare in un tema denso di sentimento, così intenso da apparire un pezzo in sé compiuto: un’idea che ha portato l’orchestra per tutta la composizione ad alternare con grazia e raffinatezza momenti onirici e contemplativi ad istanti di vivacità e “azione”. Il concerto, infine, è stato chiuso da ben due acclamatissimi bis: la giustamente nota Eine Kleine Nachtmusik mozartiana e il sentimentale e intenso Det første møde (“Il primo incontro”) di Edvard Grieg.