Aimez-vous Brahms? Vi piace quella severità vellutata, quella nostalgia pastosa, quel lirismo profumato di caminetto acceso? Nell’esecuzione della Sinfonia n. 1 al Conservatorio Giuseppe Verdi, con l’Orchestra Filarmonica di Torino, abbiamo ritrovato tutti gli ingredienti che ci fanno sentire a casa, accoccolati tra le braccia e sotto la barba del Vater Johannes, ma alzando gli occhi abbiamo scoperto il suo viso dimagrito, la barba rasata, l’aspetto paterno diventato quello di fratello maggiore.
Motivo di tutto ciò è la direzione di Giampaolo Pretto: dopo aver ridotto la grande orchestra romantica di Brahms a poco più di un ensemble barocco (appena due contrabbassi, quattro violoncelli, nessun raddoppio…), si è servito di questo alleggerimento per dirigere la sinfonia con una compattezza e un’energia eccezionale, spremendo dai pochi orchestrali un suono più agile, più scattante, più giovane di quanto avrebbe forse ottenuto diluendolo con un maggior numero di strumentisti. Merito ulteriore di tale scelta è stata la trasparenza contrappuntistica, l’assoluta chiarezza delle linee della forma, che in questa sinfonia, come in un dipinto di Piero della Francesca, reggono sulle loro intersecazioni geometriche le gioie e i dolori della condizione umana. Sinfonia, tra l’altro, scritta da Brahms tardi (il numero d’opus è già 68), forse a causa di un’insicurezza o di un timore nei confronti del modello beethoveniano, al quale comunque guarda nella struttura formale, arricchita di soluzioni dinamiche e impasti timbrici più intimi e meditativi, ma non per questo carenti di drammaticità: basterebbe l’attacco del primo movimento – a parere e conoscenza di chi scrive, uno dei più begli incipit della letteratura sinfonica – a dare un’idea dello sguardo dolente e maturo del Contrappuntista Consolatore (copyright Alberto Savinio).
Alla Sinfonia n. 1 è preceduta l’ouverture Die schöne Melusine di Mendelssohn: dieci minuti di fiaba antica, di incanto ottocentesco, un compendio di tutti i «C’era una volta» quando ancora erano privi delle inquietudini post-belliche ed esistenzialiste che Walt Disney prima e la Pixar poi avrebbero aggiunto. Come al solito in Mendelssohn, la magia si basa sui delicati equilibri dell’orchestra, che ha quindi bisogno di un direttore che sappia creare la tipica consistenza liquida e impalpabile delle sue partiture più riuscite. Anche qui Pretto e l’orchestra hanno fatto un lavoro splendido: nitore dei temi, luminosità del fraseggio e, là dove è richiesta, grande forza espressiva. Un’inaugurazione di successo per la stagione dell’OFT, che quest’anno ha come tema e titolo Time. Questo primo concerto s’intitola It’s time, con riferimento all’«È ora» che si dice quando si comincia a fare qualcosa, che sia svegliarsi la mattina, raccontare una fiaba, scrivere una prima sinfonia o avviare una nuova stagione di concerti. La quale, a nostro avviso, poteva difficilmente iniziare meglio di così.