La prossima del Teatro Regio sarà una stagione particolarmente ricca. Ben diciassette titoli (un record) distribuiti tra opere italiane, francesi, tedesche, balletti, musical, opere-non-opere, opere celebri, opere meno celebri, persino una prima assoluta per l’Italia. E in tutto ciò c’è pure qualche nome interessante, tra registi, cantanti e direttori d’orchestra. C’è insomma di che farsi venire l’acquolina.
Il taglio del programma, dice il responsabile dell’area artistica Alessandro Galoppini, è schiettamente personale: sono tutte opere che hanno rivestito un ruolo importante nella sua vita. Si parte il 3 ottobre con un nuovo allestimento di I pescatori di perle di Georges Bizet, curato da Julien Lubek e Cécile Roussat, un’opera che manca al Regio da 60 anni, seguita a distanza ravvicinata da una Tosca di Giacomo Puccini «tradizionale, dopo tante Tosche che qui non lo sono state», con Marcelo Àlvarez come Cavaradossi e Anna Pirozzi nel title role. Novembre sarà interamente dedicato alla danza, con due titoli: il primo è La bisbetica domata, balletto nuovo di zecca coreografato nel 2014 da Jean-Christophe Maillot su musiche di Dmitrij Šostakovič, che sarà danzato dalla compagnia dei Ballets de Monte-Carlo; il secondo, portato in scena dalla Compañia Antonio Gades, è Fuego, un omaggio alla tradizione andalusa su musiche di Manuel de Falla, soggetto, regia e coreografia di Antonio Gades e Carlos Saura. L’omaggio all’Andalusia proseguirà anche a dicembre, con la riproposizione dell’Opera Perfetta: Carmen di Georges Bizet, la regia della quale, firmata da Stephen Medcalf, vinse il prestigioso Premio Abbiati nel 2006. Non mancherà, sempre a dicembre, il consueto appuntamento con Roberto Bolle and friends: tre serate di gala con un’antologia di hit parade del balletto eseguite dall’étoile e da alcuni tra i migliori danzatori del mondo.
Nel 2020 la stagione del Regio alternerà titoli celeberrimi e amatissimi con altri forse meno conosciuti, sicuramente molto meno rappresentati (perlomeno in Italia). Tra i primi ci sono Il flauto magico di Wolfgang Amadeus Mozart, Nabucco di Giuseppe Verdi, la nostra (perché nacque al Regio) Bohème di Giacomo Puccini, Don Pasquale di Gaetano Donizetti e Il barbiere di Siviglia di Gioachino Rossini: quattro big della tradizione italiana più il genio austriaco col suo Singspiel esoterico. Gli elementi di maggiore interesse tra questi titoli sono, a nostro avviso, la direzione del Flauto magico di Diego Fasolis, apprezzato interprete e ‘riscopritore’ di alcune pagine del repertorio barocco, e la regia di Bohème che riproporrà le scene originali di Adolfo Hohenstein della prima assoluta del 1896, un po’ per interesse storico e un po’ per curiosità: che effetto faranno dopo 124 anni?
Tra i secondi, quelli meno facili da trovare, si schierano, in ordine, Violanta di Erich Wolfgang Korngold, La damnation de Faust di Hector Berlioz, la Passione secondo Matteo di Johann Sebastian Bach e Simon Boccanegra di Giuseppe Verdi. Ossia, sempre in ordine, la prima rappresentazione italiana di un’opera composta a diciassette anni da un grande musicista, ormai riconosciuto anche in Italia (ne abbiamo parlato qui); un’opera semplicemente incredibile del più visionario dei compositori; un oratorio del grande papà della musica tedesca, nato per le cattedrali ma trasposto sul palcoscenico in virtù di una travolgente potenza drammatica; e un’opera fondamentale nella poetica di Verdi, moderna, profonda, con uno dei colpi di scena finali più commoventi del teatro musicale. C’è di che pascersi anche considerando i nomi che vi si cimenteranno: Pinchas Steinberg, che ha conosciuto Korngold, dirigerà Violanta; La damnation de Faust avrà la messa in scena, che debuttò a Roma nel 2017, di uno dei registi più importanti del panorama contemporaneo, Damiano Michieletto; la Matthäus-Passion vanterà tra le fila dei cantanti il grande tenore Ian Bostridge; l’allestimento del Simon Boccanegra sarà quello, storico, del celebre compositore italiano Sylvano Bussotti.
A maggio verrà proposta, anche l’anno prossimo, un’opera contemporanea di Pierangelo Valtinoni, Il mago di Oz, con la stessa squadra dello splendido Pinocchio di quest’anno: Giulio Laguzzi alla guida dell’orchestra, Luca Valentino per la regia, e tutti gli altri collaboratori per coreografie, costumi e pupazzi. La stagione si chiuderà con un musical: My Fair Lady, testo di Alan Jay Lerner e musica di Frederick Loewe, uno dei più duraturi successi di Broadway, merito, oltre che della musica pazzesca, anche della bravura immensa di Julie Andrews, e reso ancor più celebre dal film di George Cukor. Il cast è ancora da definire, ma la direzione è affidata a Timothy Brock, nome familiare soprattutto ai frequentatori dei cinema d’essai perché suoi sono molti restauri e riarrangiamenti di colonne sonore di film muti.
Concluderemo tralasciando le polemiche che si sono scatenate durante la presentazione circa l’operato del sovrintendente William Graziosi, i fischi ogni volta che Chiara Appendino apriva bocca, gli applausi ogni volta che lo faceva Alessandro Galoppini, gli interventi incazzati, accorati o commossi di giornalisti, abbonati e lavoratori del Regio, di cui si è parlato ovunque. Qui ci occupiamo di musica, e volendo parlare di musica, non possiamo che chiudere complimentandoci con chi ha messo in piedi un programma tanto variegato e invitante. Uniche sonore mancanze, i due big Richard, Wagner e Strauss – i più importanti operisti tedeschi, la cui assenza è equiparabile a quella di un Verdi o di un Mozart – ma non si può avere tutto: speriamo, per loro, nella stagione prossima ventura.