Il sogno d’amore della giovane Madama Butterfly prende vita fin dalle prime note dell’ouverture, intonata dall’Orchestra del Teatro Regio di Torino e forte di una carica inaudita nell’interpretare la famosa partitura. A dirigerla è Daniel Oren, che torna nel teatro torinese per la stagione 2018-19, a più di vent’anni dal suo esordio.
Pier Luigi Pizzi firma regia, scene e costumi del capolavoro di Puccini e, coadiuvato dalle coreografie di Francesco Marzola e dalle luci di Fabrizio Gobbi, ricama il dramma sulle scenografie chiare ed essenziali dell’Associazione Arena Sferisterio Macerata.
Il melodramma del 1904 consiste in due atti su libretto di Giuseppe Giacosa e Luigi Illica. Tratto dall’omonima tragedia di David Belasco e dal racconto di John Luther Long, Madama Butterfly narra l’illusoria storia d’amore della giovane geisha Cio-Cio-San (dal giapponese, Madama Farfalla), ingenua vittima del matrimonio “a tempo” col tenente americano B. F. Pinkerton. Prevedibile è l’esito tragico della vicenda: Butterfly, dopo tre lunghi anni di attesa dedicati alla cura del figlio nato dall’unione, si vedrà privata di ogni affetto e costretta all’harakiri per preservare quel che resta del suo onore.
Il fulcro drammatico della vicenda, ovvero la schiacciante supremazia del continente americano sulla delicata tradizionalità del popolo giapponese, si trasferisce sul discorso musicale grazie all’opposizione di due grandi temi: il pragmatico inno della marina americana e il tema della Butterfly, emblema dell’età “dei giochi e dei confetti”; ad accentuare questo dualismo ecco le beffarde arie di Pinkerton, interpretato da Murat Karahan: il tenore turco incarna uno yankee pienamente capace di dominare la scena, pur risultando un po’ troppo affezionato all’idea di sposare la farfalla. Teniamo infatti presente che arie come “Ovunque al mondo” dovrebbero tradire la superficialità delle sue intenzioni, in opposizione all’idillio della giovane sposa appena quindicenne.
È proprio questa prospettiva illusoria e infantile a condurre l’apparato scenografico e d’illuminazione: agli occhi dello spettatore risulta evidente il primato della luce chiara, simbolo dell’idillio amoroso e illusorio di Butterfly; la semplicità infantile si realizza nella simmetria degli oggetti di scena (lo shoji troneggia al centro, mentre ai due lati sono collocati un ciliegio e un molo). L’allestimento mantiene coerenza con le coreografie degli interpreti (movimenti statici, semplici) e del coro, che rappresenta un insieme compatto ed equilibrato, in particolare nel momento del matrimonio (dove uomini e donne sono simmetricamente disposti ai due lati della scena). Tuttavia, l’equilibrio e la simmetria presenti nella scenografia non sono sempre sfruttati al meglio: più volte nel corso dell’opera i personaggi entrano indifferentemente dalla terra (lato sinistro dello shoji, presso il ciliegio) e dal mare (lato destro, dal molo).
L’arrivo dello zio Bonzo, che porta con sé l’introduzione del tema della maledizione, viene sapientemente fatto corrispondere a un lieve oscuramento della scena. Le tenebre culminano realisticamente al calare della notte, accogliendo la romantica illusione del duetto d’amore.
Il primo atto offre al pubblico un cast di interpreti eterogenei: il console statunitense Sharpless, interpretato da Simone Del Savio, offre un’efficace resa del personaggio, nonostante la sua voce venga inizialmente sopraffatta dalla decisione orchestrale. Il personaggio di Goro (interpretato da Luca Casalin), perde in parte la sua anima di carattere buffo e grottesco, almeno fino alla comparsa di Yamadori nel secondo atto.
Dulcis in fundo, ad indossare le bianche vesti della sposa farfalla troviamo Rebeka Lokar, in sostituzione del soprano coreano Karah Son. La Lokar si dimostra abile nella resa vocale di un personaggio delicato come Cio-Cio-San, ma la sua performance teatrale sembrerebbe incarnare una sposa-bambina fin troppo matura.
Non meno protagonista è il coro del Teatro Regio che, dopo essere comparso con irruenza nella scena del matrimonio, ritorna per intonare il famoso coro a bocca chiusa. Le voci, simili a quelle di lontani spiriti augurali, si incarnano in scena vestite e velate di bianco; l’efficacia di questa soluzione registica può convincere oppure lasciare interdetti, soprattutto prendendo in considerazione il tessuto scelto per la realizzazione dei costumi: questo, troppo consistente e stropicciato, tende a discostarsi dalla rappresentazione dell’elemento soprannaturale.
Di seguito, la performance dei due ballerini Letizia Giuliani e Francesco Marzola approfondisce l’atmosfera onirica introdotta dal coro: il balletto contrasta con la staticità della scena, creando un parallelo con la vicenda drammatica tramite il tema del contatto fra le due culture in scena.
Degni di nota sono infine i personaggi di Kate Pinkerton e Suzuki: Kate, moglie americana del tenente, si erge in scena con un’immobilità spiazzante, pari alla fermezza con cui decide di portare via il figlio di Cio-cio-san; Suzuki, “serva amorosa” di Butterfly interpretata da Sofia Koberidze, rimane fedele alla padrona fino al tragico scioglimento della vicenda. Interessante scelta del regista è quella di portare la solidarietà delle due donne all’estremo fine, lasciando a Suzuki stessa il compassionevole compito di infliggere il colpo di grazia alla geisha.
Concludendo, la Madama Butterfly in scena al Regio sembra lavorare, tramite una decisa staticità scenica, alla rappresentazione di un clima di attesa struggente, inasprito dal contrasto tra simmetria statuaria del palcoscenico e decisione orchestrale.
A cura di Alessandro Petrillo e Zeno Slaviero